Da vedere al cinema: “Tutto quello che resta di te”, di Cherien Dabis

Pubblicato il 17 Settembre 2025 in , da Pierfranco Bianchetti
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Il dramma di tre generazioni di palestinesi, una tragedia che ormai dura da ottant’anni, raccontata con commozione e partecipazione dall’attrice, regista e produttrice palestinese-statunitense Cherien Dabis nel suo ultimo film. Il cinema palestinese, nella sua storia, è essenzialmente documentario, legato alla necessità della lotta

Jaffa 1948. Sharif (Adam Bahri), un insegnate palestinese vive serenamente con la sua famiglia, la moglie e i suoi tre figli, in una bella casa circondata da un’ampia coltivazioni di aranci. Ben presto però Sharif deve fare i conti con gli echi sempre più vicini di esplosioni e di colpi d’arma da fuoco, sparati delle organizzazioni paramilitari sioniste del nascente Stato di Israele, decise a cacciare dalle loro terre gli abitanti che li vivono da secoli (saranno oltre 700.000 gli sfollati, ndr), dopo che le truppe britanniche hanno lasciato al loro destino la regione, ormai immersa in un caos politico-militare. L’uomo, spaventato, convince moglie e figli a fuggire in auto verso la Cisgiordania, dove saranno ospitati dalla famiglia di suo cognato.

Inizia così il dramma di tre generazioni di palestinesi, Sharif, suo figlio Salim (Saleh Bakri), la moglie Hanan (Cherien Dabis) e il nipote Noor (Muhammad Adeb Elrahman); una tragedia che ormai dura da ottant’anni, raccontata con commozione e partecipazione dall’attrice, regista e produttrice palestinese-statunitense Cherien Dabis in “Tutto quello che resta di te” (2025).

Quarant’anni dopo, nel 1988, Noor è un adolescente che corre tra le vie di Nablus in Cisgiordania. È uno dei tanti giovani arabi intrappolati in una condizione di umiliazione, sotto il sole cocente e il degrado delle abitazioni in cui tutta la comunità palestinese è costretta a vivere. Il ragazzo, sempre più frustrato dalla passività del padre, si unisce alle proteste contro l’occupazione israeliana, ma durante uno scontro con i soldati viene ferito alla testa e poi trasportato, tra mille difficoltà burocratiche, all’ospedale di Jaffa per essere sottoposto a un intervento chirurgico al cervello. Quando la sua situazione clinica è ormai critica, i suoi genitori saranno costretti a prendere una drammatica decisione…

Nata nel Nebraska il 27 novembre 1976, Cherien Dabis è considerata dalla rivista “Variety” una delle 10 registe più interessanti. Lo dimostra questa sua ultima pellicola, uscita in un particolare momento drammatico, quella della tragedia di Gaza. Un racconto cinematografico da non perdere, quello firmato dalla Dabis, sull’identità palestinese, che colpisce profondamente lo spettatore suscitando profonda commozione.

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“Tutto quello che resta di te”, di Cherien Dabis

Hollywood e la questione ebraico-palestinese

Certo oggi il mondo è cambiato, il cinema è cambiato e sarebbe molto complicato realizzare una pellicola come “Exodus (1960) di Otto Preminger, il celebre kolossal avvincente, ma retorico, incentrato sulla figura di Ari Ben Canaan, leader israeliano interpretato da Paul Newman. “È il primo degli affreschi storici di Preminger; le sue intenzioni e quelle dello sceneggiatore Dalton Trumbo sono didascalico-oratorie più che epico-avventurose, ma gli si deve rimproverare, nell’analisi delle varie posizioni umane e politiche esistente in Israele, di aver omesso le ragioni dei palestinesi non moderati” (“Il Morandini Dizionario dei film e delle serie televisive” di Laura, Luisa e Morando Morandini – Zanichelli).

E ancora nel 1966 è Kirk Douglas (proveniente da una famiglia di salde origini ebree) il protagonista di “Combattenti nella notte” per la regia di Melville Shavelson, tratto da un libro di Ted Berkman, la storia della vita e della morte del colonnello David ‘Mickey’ Marcus. Avvocato di origini ebraiche e ufficiale americano, guidò le truppe israeliane nella guerra successiva alla proclamazione dello Stato ebraico nel 1947. Il film, una costosa produzione della United Artists, si avvale della partecipazione di divi di Hollywood quali Frank Sinatra, John Wayne e altri.  

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“Exodus” (1960) di Otto Preminger, con Paul Newman

La nascita del cinema palestinese

Il 5 giugno 1967, con l’inizio della Guerra dei sei giorni, il panorama medio-orientale viene sconvolto. Le truppe israeliane invadono nuovi territori della Palestina. È in questo drammatico contesto che nasce di fatto il cinema militante palestinese. Nello stesso anno nasce la prima sezione cinematografica di Al Fatah, fondata da Hani Jawharie che morirà in combattimento nel 1976. Dal 1972 è attivo l’Istituto del Cinema Palestinese, che vuole raccontare a tutto il mondo la tragedia di un popolo che, dal 1948, è privato delle sue terre, delle sue case e costretto a rifugiarsi nei campi profughi o emigrare all’estero. “La frammentazione in diverse organizzazioni – scrive Fiorano Rancati in ‘Il cinema della speranza’, otto film sulla situazione palestinese – e l’evolversi della situazione che non certo consente riflessioni sul mezzo cinematografico, determinano un proseguire stento e strumentale delle esperienze citate.

È comunque sin dalle origini un cinema essenzialmente documentario, legato alla necessità della lotta. Quando non è mero strumento di propaganda, è un valido contributo alla conoscenza e all’analisi degli avvenimenti. In questo contesto un’individualità a parte appare Michel Khleifi, che partendo dal cinema militante, realizza nel 1980 il fondamentale ‘La memora fertile’, intenso documentario sulle donne palestinesi dei territori occupati, e si conferma autore di grande rilievo con il bellissimo ‘Nozze in Galilea‘ (Cannes 1987, Tanit doro a Cartagine 1988), la più acuta sintesi sinora apparsa sugli schermi del rapporto occupante-occupato”.

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“La memora fertile” (1980) di Michel Khleifi

Michel Khleifi, nato a Nazareth il 3 novembre 1950, ma poi esule da decenni in Belgio, afferma in un’intervista del novembre 1988: “Si dice Palestina e si evocano immagini che vengono dal profondo della memoria, dal subconscio collettivo. Anche Israele è nato da un mito: la terra promessa da Dio. Ma se Dio esiste come professione non fa l’agente immobiliare, costruendo ovunque. Per capire il problema palestinese bisogna partire da un concetto semplice: la realtà non è una torta di cui ognuno mangia solo il pezzo preferito. Non si può essere favorevoli alla libertà degli ebrei in Russia, contro quella dei palestinesi, essere contro l’antisemitismo per poi essere razzisti su altri argomenti. Il cinema può aiutare dicendo una cosa semplice: se volete la vostra libertà pensate a quella degli altri…”.

Qualche anno prima, nel 1972 era stato girato il primo film significativo sulla questione palestinese, “I bidonati” dell’egiziano Tawfik Saleh, la storia di tre palestinesi di diverse generazioni che cercano di emigrare nel Kuwait, seguito l’anno dopo da “Kafr Kassem” di Borhane Alaouie, che ricostruisce la strage dei palestinesi compiuta dall’esercito israeliano nel villaggio di Kafr Kassem, nell’ottobre 1956. Di notevole interesse è ancora la pellicola “Il giardino dei limoni– Lemon Tree” (2008) di Eras Riklis, in cui si racconta di una vedova palestinese Salma Zidane (Hiam Abbass) di un villaggio della Cisgiordania che coltiva la limonaia piantata dal padre. Quando il Ministro della difesa israeliano si trasferisce di fronte alla casa della donna, i servizi segreti decidono di abbattere gli alberi nel giardino di Salma per motivi di sicurezza. Inizia allora una battaglia legale messa in atto da parte della vedova che arriverà fino alla Corte Suprema.

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“Il giardino dei limoni- Lemon Tree” (2008) di Eras Riklis