La Siria “condannata” all’Onu

Pubblicato il 28 Maggio 2012 in , da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Un cardinale tra i sospettati”. “L’inchiesta del Vaticano sui ‘corvi’ è solo agli inizi. Il Papa: viviamo in una nuova Babele”. Il sospettato sarebbe un italiano. “Il maggiordomo arrestato sta parlando”. Approfondimento sulle indagini: “Portate via 4 casse dalla casa di Gabriele. ‘Non ho agito da solo'”.
A centro pagina un’altra inchiesta, quella in Lombardia sulla giunta Formigoni: “Il bonifico di Formigoni e la grande villa di Daccò comprata in Sardegna”.

La Repubblica: “‘Ecco chi sono i corvi del Vaticano'”. Il quotidiano apre con una intervista con “una delle spie”, “uno dei protagonisti dell’intrigo”. E’ un “delatore”, come lo defiisce lo stesso quotidiano. “Confesso, uno dei corvi sono io, lo facciamo per difendere il Papa e denunciare il marcio della Chiesa”. A centro pagina: “Formigoni nella bufera: non cedo ai ricatti”.

L’Unità: “Formigoni non può restare”. Il titolo del commento firmato da Rinaldo Gianola è “Presidente incompatibile”. La foto di prima pagina è per il leader siriano Assad: “La condanna di Assad divide il mondo”. Di spalla: “Il Papa parla di ‘Babele’. E’ caccia ai complici”. Spazio in prima pagina anche per il Pd: “La sfida di Bersani: un Pd più aperto”

La Stampa apre con la politica internazionale: “L’Onu condanna la Siria. La dichiarazione dopo la strage di Hula, ma la Russia fa ammorbidire il testo. Obama chiede l’esilio del Presidente. Intervista a Terzi: ‘Superato il limite. Servono corridoi umanitari'”. In alto: “Scuole, caserme, trasporti: arriva il ‘piano città’. Il governo: interventi su aree degradate e alloggi popolari. Giarda e le spese: tagli su 100 miliardi”. Piccolo il richiamo sui “veleni in Vaticano”: “Il Papa: viviamo in una Babele. Si allarga la rete delle spie”.
In prima pagina il quotidiano dà spazio anche al gran premio della Giuria del festival di Cannes per il regista italiano Matteo Garrone.

Il Giornale: “Niente Imu, ora si può”. Il quotidiano apre con la spending review: “Il ministro Giarda: presto tagli su 100 miliardi di spesa. Ma allora non serve la tassa sulla casa. Santanché: “Cancelliamola”. E poi: “Da domani riforma presidenzialista in Senato. E il Pd non sa cosa fare”.

Vaticano

“Chi sono i corvi del Vaticano? ‘La mente dell’operazione non è una sola, ma sono più persone. Ci sono i cardinali, i loro segretari personali, i monsignori, pesci piccoli. Donne e uomini, prelati e laici. Tra i ‘corvi’ ci sono anche le eminenze. Ma la Segreteria di Stato non può dirlo e fa arrestare la manovalanza. ‘Paoletto’, appunto, il maggiordomo del Papa. Che non c’entra nulla se non per aver recapitato delle lettere su richiesta’”. L’anonimo intervistato, su La Repubblica, precisa che i corvi agiscono “in favore del Papa”. La fuga dei documenti nasce dal timore che il potere accumulato dal Segretario di Stato Bertone possa “Non essere conciliabile con altre persone in Vaticano”. Nel 2009-2010 alcuni cardinali hanno cominciato a percepire una perdita di controllo centrale: un po’ dai tentativi di limitare la libertà delle indagini che monsignor Carlo Maria Viganò stava svolgendo contro episodi di corruzione, un po’ per il progressivo distacco del Pontefice dalle questioni interne”. Secondo l’anonimo, Viganò scrive al Papa “denunciando episodi di corruzione. Chiede aiuto, ma il Papa non può fare nulla”. E anzi, “pur di tenere unita la Chiesa sacrifica Viganò”, o meglio “finge di sacrificarlo”, spostandolo a Washington. Su Gotti Tedeschi: anche lui sarebbe stato fatto fuori da Bertone. “Non rispondeva a nessuno, ma lo faceva direttamente al Papa, a cui mandava anche dei memorandum per descrivere la situazione interna allo Ior”. “Bertone si ingelosisce, accusa Gotti, e decide di tagliargli la testa. Quando giovedì scorso il Papa ha saputo del licenziamento, si è messo a piangere per ‘il mio amico Ettore”. Poi però si è anche “arrabbiato moltissimo”, e “ha reagito che la verità in questa vicenda sarebbe venuta fuori”. Il giorno dopo, con l’arresto di “Paoletto”, il Papa  è stato “nuovamente colpito”, e “il Papa è disperato”.
Lo stesso racconto è offerto da Andrea Tornielli, in un retroscena de La Stampa: una “persona che lavora Oltretevere” e che “chiede l’anonimato assoluto”, che racconta della sconfitta del cardinal Viganò, e la consapevolezza – a quel punto – che il Papa non avrebbe potuto imporsi su Bertone. Un “vero e proprio movimento sotterraneo, che parte dal basso, ma arriva a coinvolgere persone vicine a vescovi e cardinali, intenzionati ad aiutare il Papa. Anche se l’esito di questa battaglia sarà quello di indebolirlo”.

Ieri, nel giorno della Pentecoste, Benedetto XVI ha invocato per ben otto volte – ricorda La Repubblica – verità, unità, comunione, avvertendo che si rischia di cadere in una nuova Babele per un “senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco che serpeggia tra gli uomini”. Poi ha spiegato: “Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura. In questa situazione pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo vivendo la stessa esperienza di Babele”.

Il teologo ribelle Hans Kung, intervistato da La Repubblica, elenca quelli che considera sintomi della crisi dell’intero sistema vaticano: lo scandalo delle fughe di notizie ad opera del servitore di camera, le questioni relative alla banca Ior, e “l’intenzione apparente di Papa Benedetto di andare alla riconciliazione con la confraternita dei fratelli di San Pio X (gli ultraconservatori epigoni di Lefebvre). E precisa: “Io parlo del sistema della Curia romana”, e “questi eventi contemporanei danno l’impressione di una incapacità papale”. Kung ritiene indispensabile una riforma della Chiesa, spiega che l’incapacità papale sta anche nel fatto che Ratzinger dedichi “ore e ore ogni giorno alla scrittura di libri, anziché governare la Chiesa”, ma il fatto chiave è che “il Vaticano nel suo nocciolo è restato ancora oggi una corte. Una corte al cui vertice siede ancora un regnante assoluto, con costumi e riti medievali”. Sul fronte del problemi della banca vaticana, è necessario chiedere quanto fu chiesto al Cremlino, ovvero glasnost, trasparenza.
Intanto lo sfiduciato presidente della Ior, Ettore Gotti Tedeschi, come racconta La Stampa, chiede una commissione di inchiesta che lo ascolti, presieduta da una figura indipendente, di indiscussa autonomia e autorevolezza (potrebbe essere l’ex cardinale vicario Ruini, l’arcivescovo di Milano Scola, o il decano del sacro Collegio, Sodano). Un soggetto terzo, insomma, rispetto allo scontro che lo ha contrapposto al segretario di Stato Tarcisio Bertone. Alla commissione chiederebbe di comparare la sua legge antiriciclaggio con quella del board e di valutare il report dello scorso aprile di Moneyval, il gruppo del Consiglio d’Europa che sta vagliando le normative della Santa Sede.
All’interno dello Ior affiorano circostanze che sembrano illuminare la defenestrazione del banchiere: alcuni dipendenti raccontano come non sia solo JPMorgan ad aver chiuso i rapporti con lo Ior dopo l’inchiesta per violazione della normativa antiriciclaggio della Procura, “ormai lavoriamo quasi esclusivamente dalla Deutsche Bank, da cui proviene l’ex vicepresidente che ha sostituito ad interim Gotti Tedeschi”, spiega un funzionario. Si ricorda poi che a dicembre, durante un pranzo natalizio con i dipendenti, il bertoniano Paolo Cipriano e Gotti Tedeschi fecero due discorsi antitetici in termini di prospettive dell’Istituto, ma ciò su cui Gotti vorrebbe essere ascoltato dalla Commissione è l’operazione che lo ha portato il rotta di collisione con Bertone, cioé il gravoso salvataggio dell’Ospedale San Raffaele, poi sfuggito al controllo dello Ior e andato al miglior offerente, il re delle cliniche Giuseppe Rotelli.
Gianfranco Svidercoschi, già vicedirettore dell’Osservatore Romano, intervistato da L’Unità, dice che la Curia ha troppi poteri e che è necessario tornare al Concilio. Poi spiega: “Guardiamo gli ultimi due concistori, entrambi tenuti con il cardinale Bertone segretario di Stato”,. Il suo parere ha indubbiamente pesato nella scelta dei cardinali. “Oltre il 40 per cento dei nominati sono italiani, e il 50 per cento della Curia Romana”. “E’ stato lo stravolgimento del volto del collegio cardinalizio che ha eletto Papa il cardinale Ratzinger, dove gli europei non avevano la maggioranza”. Sulla vicenda del maggiordomo, Svidercoschi esclude che sia stato il solo a tirar fuori i documenti, anche perché “non poteva arrivare da solo a tutti i documenti usciti”. “Ci deve essere qualcuno dietro, e questa è una dimostrazione di caduta di leadership della Chiesa. “C’è chi pensa di creare in Curia ‘territori privati’ riservati agli italiani”. Come è accaduto sulle ultime nomine, fortemente influenzate dal Segretario di Stato: “Questo può aver causato una reazione da parte di chi tende a resistere a quella che possono ritenere una prepotenza”, “vi sono cardinali che hanno chiesto a Papa Ratzinger le dimissioni di Bertone”.

Internazionale

La Stampa racconta che dopo una rovente seduta di tre ore il Consiglio di sicurezza, riunitosi per condannare la Siria dopo il massacro di Hula, che avrebbe portato anche alla uccisione di 49 bambini, la battaglia diplomatica si è conclusa senza una risoluzione ma con una dichiarazione non vincolante della presidenza di turno, ricoperta dall’Azerbaijan. Vi è contenuta una condanna di Damasco “per l’uso della artiglieria pesante”, ma affiancata ad un identico giudizio per “l’uccisione di civili da breve distanza”, come richiesto da Mosca, per avvalorare la tesi che le vittime sarebbero frutto di “gruppi armati non governativi”. Il viceambasciatore russo ha infatti sottolineato che la maggioranza delle vittime (108 persone complessivamente, tra cui 34 donne) “sono state uccise con coltelli e da distanza ravvicinata, e dunque l’artiglieria pesante non c’entra”,
Nel tentativo di trovare un accordo con Mosca il presidente Obama propone un piano basato sulla “opzione yemenita”, ovvero una transizione interna favorita da una mediazione araba (in questo caso potrebbe essere la Lega Araba a giocare un ruolo).
Si ricorderà che lo scorso febbraio, grazie all’intervento del Consiglio di cooperazione del Golfo, il presidente yemenita Saleh è andato in esilio lasciando le redini al suo vice. Usando una espressione russa, gli americani la chiamano Yemenskii variant. Consentirebbe ad Assad di mettersi in salvo, e al partito Baath di recitare un ruolo nella transizione.
“Yemen as a model for Syria”, titola l’International Herald Tribune.
Sul Corriere della Sera anche lo scrittore dissidente Khaled Khalifa nega che sia utile un intervento armato: “Forse la via d’uscita è come in Yemen”, dice.
La Stampa intervista il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi che dice di esser pronto a sostenere la creazione di corridoi umanitari e dice che se è necessario verrà rafforzata la missione di monitoraggio.

La Repubblica intervista il presidente tunisino Moncef Marzouki, che invita l’Europa a non aver paura delle rivolte arabe, e dice che dovrebbe essere molto contenta: “Per la prima volta il vecchio continente e il sud del Mediterraneo condividono gli stessi valori di democrazia. Anche le nazioni europee sono dovute passare attraverso la guerra per liberarsi delle dittature”. Sull’affermazione dei movimenti islamisti: “Non è corretto parlare di trionfo dell’islamismo, è la vittoria della democrazia. Una parte molto importante del mondo islamico ha accettato il sistema democratico, tenendo ferma l’identità musulmana. Da noi Ennahda è un po’ come in Italia era la Democrazia cristiana. Poi ci sono altri piccoli partiti, pericolosi dal punto di vista dei diritti umani, dei diritti delle donne. Ma chi usa la democrazia ne diventa ostaggio. Ci vorrrà un periodo di transizione, altre elezioni, per arrivare a un regime stabile e democratico”. E aggiunge: “Una parte della popolazione tunisina è laica, secolare, modernista. L’altra è più tradizionale, legata all’identità islamica. Contrariamente a quel che succede in Egitto queste due parti convivono tranquillamente. Io voglio essere presidente di tutti i tunisini”, “oggi siamo una democrazia, c’è il diritto a manifestare il pensiero e anche i salafiti lo possono sfruttare. Anche se le loro idee mi disgustano, rispetto il loro diritto di esprimerle. La linea rossa è la violenza, che non sarà tollerata”. E ancora: “Se i salafiti vogliono la rappresentanza politica, perché no? Così seguono le regole della democrazia, urlando forte, ma non credo siano un pericolo reale. La società tunisina è fondamentalmente moderata, i salafiti sono giovani poco istruiti, poveri, a volte disperati. Non sono un movimento politico, ma sociale. La reazione deve essere tolleranza, sviluppo, difesa dei diritti. Ben Ali usava la repressione, ma non ha funzionato”.

E poi

Le pagine R2 Cultura de La Repubblica ospitano una pagina dall’ultimo libro del sociologo Ulrick Beck dedicato alla crisi dell’Europa e alle minacce incombenti: innanzitutto l’ostilità verso gli stranieri, poi l’antisemitismo e l’antiislamismo, infine l’ostilità verso la stessa Europa. Poi si sofferma sulla memoria della colonizzazione, presente in maniera assolutamente marginale nella Costituzione dell’Unione Europea, che invece potrebbe esercitare un ruolo nell’atteggiamento di fronte agli eventi della Primavera Araba.

Dalle pagine R2 de La Repubblica segnaliamo anche il reportage di Adriano Sofri dalla Grecia. Parla dei mendicanti che si vedono numerosi ad Atene. Sdraiati a terra, dormono o fingono di dormire. La trojka ha deciso solennemente di raddrizzare le gambe ai cani di Atene, che si dividono in tre categorie: i cani con padrone, quelli di strada, i cani anarchici, i quali vivono bensì con umani ma insofferenti di dei e padroni.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini