Acqua, la sicurezza di quella che sgorga dai rubinetti di casa

Pubblicato il 7 Luglio 2025 in , da Giovanna Gabetta
acqua

L’Italia è uno dei Paesi al mondo che consuma la maggior quantità di acqua in bottiglia. Ma quella del rubinetto, nella maggior parte del Paese, non solo è assolutamente sicura da bere, ma è anche una delle migliori in Europa

A fine gennaio sono stati resi pubblici i risultati di alcune analisi a campione eseguite da Greenpeace sull’acqua potabile in Italia, e in particolare su Pavia e provincia, che hanno dato origine a una serie di discussioni e polemiche comparse su diversi giornali, tra cui in particolare “La Provincia Pavese”, con l’articolo del 26 gennaio scorso: Inquinanti chimici nell’acqua: Pavia promossa, Voghera no.

L’argomento è particolarmente delicato e difficile da trattare, anche perché si presta a interpretazioni schierate in modo ideologico. Il Comune di Voghera ha accolto l’invito dell’Associazione Voghera è a riunire un tavolo di discussione con alcuni esperti che hanno avuto la possibilità di spiegare diversi aspetti della questione.

L’acqua e i PFAS

La analisi di Greenpeace riguardavano l’inquinamento da PFAS, di cui ultimamente si parla spesso. Cosa significa questo acronimo? Per-and Poly-Fluoroalkyl Substances, cioè un gruppo molto ampio di sostanze, che sono sostanze di sintesi, cioè sostanze sintetiche, nate negli anni ’40 per rispondere alle esigenze industriali di materiali con proprietà idrofobiche e oleorepellenti, stabili e resistenti agli agenti chimici, fisici e… biologici. I PFAS sono caratterizzati da una catena alchilica nella molecola, generalmente costituita da 4 a 16 atomi di carbonio, e da legami con il fluoro. Possono essere suddivisi in tre classi di sostanze: perfluoroalchiliche (PerFASs) con catena alchilica completamente fluorurata, polifluoroalchiliche (PolyFASs) con catena solo parzialmente fluorurata, e polimeri fluorurati.

A loro volta, le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) comprendono oltre 4.000 molecole diverse. Il PTFE (politetrafluoroetilene) è uno dei PFAS più noti e più ampiamente utilizzati, noti sotto il nome commerciale Teflon®. Viton® è invece il nome commerciale della gomma fluorurata. Il database del National Institutes of Health, PubChem, contiene oltre 7 milioni di composti classificati come PFAS, secondo la definizione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Si tratta quindi di sostanze molto utilizzate (anche perché molto utili, direbbero i produttori). A cosa servono? Uno degli usi più importanti – per cui sono stati inizialmente studiati e prodotti alla fine della Seconda guerra mondiale – sono state le schiume antincendio. Questi prodotti venivano usati per spegnere gli incendi particolarmente difficili, quelli che interessavano i depositi di carburante e altri materiali oleosi. Le schiume antincendio sono molto più efficaci rispetto alla semplice autobotte dei pompieri con i suoi getti di acqua, e sono ormai utilizzate dappertutto. Ma una volta finita la guerra, sono stati trovati molti altri usi, come i rivestimenti idrorepellenti e anti-macchia per tessuti e tappeti, i rivestimenti resistenti all’olio per prodotti di carta per uso alimentare, i rivestimenti antiaderenti. Sono presenti nei lubrificanti, nelle vernici per pavimenti e negli insetticidi, nei detersivi, nei cosmetici…

La caratteristica comune di queste sostanze dal punto di vista chimico è il legame carbonio-fluoro, che, appunto, non si trova spontaneamente in natura, ed è estremamente forte. Questi composti, quindi, non vengono degradati in modo apprezzabile in condizioni ambientali, e si sono accumulati nell’ambiente fin dall’inizio della produzione alla fine degli anni ’40. Si accumulano anche all’interno del corpo umano, anche se secondo alcuni potrebbero “passare”, invece, senza conseguenze. Un articolo scientifico pubblicato nel 2022 e basato su misure sperimentali, conclude che “A causa della diffusione dei PFAS, la contaminazione dei terreni e delle riserve idriche del Pianeta è destinata a superare i livelli di sicurezza per la salute umana indicati dalle linee guida ambientali, e ormai possiamo farci ben poco (Ian T. Cousins, Jana H. Johansson, Matthew E. Salter, Bo Sha, Martin Scheringer: Outside the Safe Operating Space of a New Planetary Boundary for Per- and Polyfluoroalkyl Substances (PFAS). Environ. Sci. Technol. 2022, 56, 16, 11172–11179.)

 

acquaDal 12 gennaio 2026 saranno attivi i limiti proposti dalla UE, che stabiliscono i valori massimi accettabili per gli PFAS nell’acqua potabile (Direttiva (UE) 2020/2184 dicembre 2020: vengono introdotti i parametri PFAS Totale e Somma di PFAS da ricercare nelle acque destinate al  consumo umano con obbligo di garantire i limiti dal 12/01/2026.).

Nel convegno è intervenuta Pavia Acque, che gestisce l’acqua potabile a Voghera: ha sostenuto, prima di tutto, che l’acqua potabile della città è di ottima qualità, e in seconda battuta che l’azienda fa già l’analisi dei composti fluorurati, e può farsi carico di qualunque tipo di analisi, in quanto le spese da sostenere vengono inserite nella tariffa pagata dai clienti.

In effetti, il costo  dell’acqua in bottiglia che si può acquistare al supermercato è abbastanza noto a tutti (mediamente si parla di  € 0,15 al litro), ma non tutti fanno un confronto con il costo al litro dell’acqua del rubinetto di casa, che, facendo una stima approssimativa, costa 0,002€ al litro, cioè circa 75 volte di meno rispetto ad un litro di acqua in bottiglia. Si possono, perciò, chiedere maggiori controlli perché si può sostenerne il costo. L’acqua in bottiglia per di più è classificata come “bevanda”, e quindi è molto meno controllata dell’acqua potabile. Si può capirlo guardando le etichette, come quella qui accanto.

Notare che l’analisi in questa etichetta (fotografata alla fine maggio ’25) è stata fatta il 27 maggio 2022. Le sostanze analizzate sono 9. Non sono stati analizzati i composti fluorurati. Nel sito di Pavia Acque si trovano analisi mensili fino a Giugno 2024, e si tratta di analisi ad ampio spettro, che comprendono anche i composti fluorurati e molto altro. Qui è possibile visionare le analisi di Pavia, mentre qui le analisi del comune di Milano, che ne fornisce di molto più recenti per le diverse zone della città.

L’uso dell’acqua potabile in Italia

Non è facile perciò capire per quale ragione l’Italia è uno dei Paesi al mondo che consuma la maggior quantità di acqua in bottiglia. L’Italia è il maggior consumatore di acqua in bottiglia in Europa e il secondo a livello mondiale dopo il Messico – dove l’acqua del rubinetto non è sicura da bere quanto nel nostro Paese. Ogni italiano consuma in media 208 litri di acqua in bottiglia all’anno. Solo il 29,2% delle persone in Italia beve acqua del rubinetto e il 43,3 per cento beve esclusivamente acqua in bottiglia.

L’acqua del rubinetto nella maggior parte dell’Italia non solo è assolutamente sicura da bere, ma è anche una delle migliori in Europa. Quasi il 29% di coloro che bevono solo acqua in bottiglia dicono di farlo perché non amano il sapore dell’acqua del rubinetto, mentre  altre quattro persone su dieci dicono di non “fidarsi” dell’acqua del rubinetto, e circa tre su dieci considerano l’acqua in bottiglia più sicura.

Si potrebbe continuare a lungo su questo argomento, che peraltro è molto complesso e ha molti aspetti diversi; si possono, però, trarre alcune conclusioni. Prima di tutto, il problema dei composti fluorurati è molto importante e va sicuramente affrontato. Sembr, però, che l’utilizzo che ne ha fatto Greenpeace per demonizzare l’acqua potabile non sia per nulla corretto. Greenpeace ha utilizzato un metodo di prelievo non affidabile (bottigliette di plastica che potrebbero rilasciare proprio le sostanze che si volevano monitorare, prelievi fatti senza far scorrere l’acqua, utilizzo di un solo campione…). Sicuramente sono più attendibili le analisi fatte dai gestori dell’acqua potabile.

Bisogna tenere presente che i composti fluorurati sono ormai presenti ovunque, è molto difficile e costoso fare dei trattamenti per eliminarli, e non è ancora chiara la loro pericolosità. La prima importante azione è quella di diminuirne l’uso, soprattutto quando non sono indispensabili. Un esempio? La carta da forno può essere efficacemente sostituita da un sottile strato di burro e farina spalmato sulla teglia. Si potrebbe poi dire che anche il burro fa male, forse di più dei microgrammi di sostanza fluorurata che possono essere rilasciati dalla carta da forno. E allora? Allora si lasci agli studiosi il tempo di capire cosa sia meglio fare, e ci si concentri su qualcosa di più macroscopico e di cui si conoscono con certezza le conseguenze. Cioè utilizzare l’acqua del rubinetto anziché le bottiglie comperate al supermarket.

Si deve puntare, in tutta Italia, alla diffusine di progetti per la valorizzazione dell’acqua potabile. L’acquedotto Pugliese, che nel 2024 ha lanciato “Acqua in Brocca”, una campagna di comunicazione con un duplice obiettivo: rendere l’acqua di rubinetto la prima scelta e al contempo ridurre il consumo di plastica e vetro, abbattendone anche i costi ambientali di produzione e trasporto. Si vogliono rendere riconoscibili le attività, gli esercizi e le strutture in cui è disponibile l’acqua corrente, affinché si possa consumare acqua fresca, sana e sostenibile non solo quando si è a casa, ma anche quando si è in giro per le città, i paesi ed i borghi della Puglia.

Altri approfondimenti a questo link

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.