La conferenza COP 30 conferma: il cambiamento climatico sempre appeso a un filo

Pubblicato il 16 Dicembre 2025 in , da Giovanna Gabetta
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Si è appena conclusa la COP 30, la Conferenza delle Parti, che è l’incontro annuale delle Nazioni Unite per discutere e adottare decisioni sul cambiamento climatico. Un dibattito sempre più ideologico, con due atteggiamenti diversi: per alcuni, il cambiamento climatico non esiste, per altri sarà la principale causa di catastrofi

La COP 30 si è riunita a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre scorso. COP significa Conferenza delle Parti, ed è l’incontro annuale delle Nazioni Unite per discutere e adottare decisioni sul cambiamento climatico. Nelle COP si riuniscono rappresentanti di governi, scienziati e società civile per definire e monitorare gli impegni dei diversi Paesi per ridurre le emissioni di gas serra e limitare l’aumento della temperatura globale.

Le COP sono organizzate dalla Nazioni Unite e partono dal presupposto che i cambiamenti climatici sono ormai ben noti, con le loro modalità e soprattutto con i rimedi che consisterebbero nella transizione energetica. Nei fatti, però, le cose non sembrano così semplici. Ci sono moltissimi scienziati che studiano il clima, scrivono in Rete e propongono le loro idee, ma il dibattito si fa sempre più ideologico. Semplificando molto, si possono riconoscere due atteggiamenti diversi: per alcuni, il cambiamento climatico non esiste o per lo meno non è importante. Queste persone, che alcuni definiscono – semplificando in modo eccessivo e poco accurato – “negazionisti”, ritengono che soltanto la crescita continua potrà garantire in futuro lo sviluppo dell’umanità e l’estensione del benessere a una quantità sempre maggiore di esseri umani. Per la maggior parte degli economisti non ci si deve preoccupare per le risorse, perché la crescita permetterà di risolvere la maggior parte dei problemi.

Altri invece sostengono che il problema climatico sarà nel prossimo futuro la principale causa di catastrofi per l’umanità. Queste persone – che partecipano attivamente alle Conferenze delle Parti e che possiamo chiamare, semplificando, “catastrofisti” – ritengono di avere già in mano la soluzione: tutto dipende dai gas serra, in particolare dalla CO2, e per frenare l’aumento di temperatura basterà diminuire le emissioni, utilizzando energie pulite e energie alternative. In pratica, sia i negazionisti sia i catastrofisti ritengono che si possa continuare a consumare sempre più energia: la differenza è solo sul modo in cui proseguire, in particolare sul tipo di energia da utilizzare.

Le riunioni COP si tengono ormai da 30 anni, a cominciare dal 1995, e hanno prodotto molti accordi e documenti. Prima di tutto il Protocollo di Kyoto, che fu adottato nella COP3, svoltasi nel dicembre 1997 nella città giapponese. Molte nazioni concordarono su riduzioni legalmente vincolanti delle emissioni di gas serra, in media del 7% rispetto ai livelli del 1990, fra gli anni 2008 e 2012. In particolare gli Stati Uniti avrebbero dovuto ridurre le loro emissioni totali del 7% rispetto ai livelli del 1990. Il sito One World in Data nella sezione “CO₂ emissions” illustra quali sono stati i cambiamenti nei valori delle emissioni di CO2 dal 1990 al 2012: le emissioni globali sono cresciute da 23,21 a 34,95 miliardi di tonnellate (pari ad un aumento di circa il 50%); quelle degli Stati Uniti sono cresciute ‘soltanto’ del 6% circa, da 5,13 a 5,33 miliardi di tonnellate. Sembra perciò che il protocollo di Kyoto non sia stato efficace, o quanto meno che non sia stato applicato in modo efficace.

Va anche ricordato che la diminuzione delle emissioni che si registra nei Paesi più ricchi dipende dal fatto che molte attività industriali sono state trasferite nei Paesi in via di sviluppo, dove il costo del lavoro è più basso. I prodotti vengono poi acquistati nei Paesi più ricchi. Tutto questo non è una reale diminuzione delle emissioni; provoca un maggiore utilizzo dei trasporti, con conseguente aumento delle emissioni, e può avvenire perché il costo dell’energia per i trasporti resta basso.

La COP21, tenutasi a Parigi nel 2015, ha prodotto l’Accordo di Parigi, il primo trattato internazionale universalmente vincolante sul clima. Tra gli obiettivi principali di questo accordo c’era:

  • limitare il riscaldamento sotto i 2°C e possibilmente a 1,5°C
  • raggiungere il picco delle emissioni globali di CO2 il prima possibile, e poi ridurle rapidamente per arrivare nella seconda metà del secolo a un equilibrio tra emissioni assorbite (da foreste, oceani) e quelle emesse.

Anche in questo caso non sembra che – dopo 10 anni – siano stati ottenuti grossi risultati. Per quanto riguarda l’aumento della temperatura, il problema maggiore è come definirla e misurarla. Per quanto riguarda la riduzione delle emissioni mondiali di CO2, basta dire che nel 2024 hanno raggiunto i 38,60 miliardi di tonnellate: nessuna diminuzione, anzi ancora un aumento rispetto al 2012.

Non ci si deve meravigliare quindi di trovare in Rete commenti di questo tipo: “La risposta della COP30 è estremamente debole. Sarebbe stato necessario un appello a tutti i Paesi per migliorare significativamente i loro piani climatici. Invece ci sono stati tiepidi incoraggiamenti e la decisione di avviare nel 2026 nuovi negoziati e iniziative per ridurre il divario – con esito incerto”.

Il consumo di energia, altre osservazioni

A livello mondiale, il consumo di combustibili fossili non tende a diminuire: dal 2018 al 2024 c’è stato un aumento pari a 8,5%. Nello stesso periodo, le emissioni di CO2 sono aumentate del 9,6%. Questi numeri confermano che le emissioni di CO2 e il consumo di combustibili fossili crescono più o meno di pari passo. Risulta comunque abbastanza difficile capire se veramente le cosiddette energie rinnovabili non portano nessun contributo alle emissioni di CO2, dato che per il momento (si può fare riferimento al 2024) si tratta soltanto del 3% dell’energia che viene consumata.

Occorre poi ricordare che il consumo di energia, e quindi di combustibili fossili, è alla base del benessere. Per ora il benessere, come lo si sperimenta nei Paesi occidentali, interessa soltanto un quarto della popolazione umana: gli unici che potrebbero rinunciare a qualcosa, ma non sembrano particolarmente propensi a farlo.

Ci si trova di fronte a un problema molto difficile da risolvere. Nel Rapporto uscito nel 2019 e intitolato “Decouplig debunked” si sostiene che la crescita è associata a un maggiore consumo di energia e di risorse, e in un mondo finito questo tipo di sviluppo non può essere sostenibile. Sono passati sei anni, e per la maggior parte delle persone – soprattutto la maggior parte degli economisti – disaccoppiare la crescita dal consumo di risorse sembra possibile e auspicabile. Anche le ultime edizioni delle COP sembrano ancora muoversi in questa direzione, convinte che trovare una soluzione sia relativamente semplice. Non viene fatto un confronto tra le intenzioni, i documenti emessi e i risultati ottenuti; si continua a parlare di riduzione delle emissioni (in particolare delle emissioni di CO2) a livelli inferiori a quelle prodotte nel 1990, anche se si è visto da tempo che queste riduzioni non sono realistiche. Negli ultimi tempi sono state fatte proposte alternative, come per esempio la possibilità di acquistare crediti di emissione o investire nella conservazione: tutte iniziative che fanno aumentare il debito.

Forse per questo c’è una diminuzione di interesse verso le COP. Comincia a serpeggiare una certa sfiducia verso quelle soluzioni che erano state presentate come certezze. Purtroppo, si è in un’impasse: la soluzione che andrebbe perseguita è la diminuzione della crescita e dei consumi, cominciando da quelli di energia, soprattutto nei Paesi più ricchi. Ma questa soluzione non piace a nessuno. Bisognerebbe ragionare sul fatto che se non lo si saprà fare tutti insieme, in modo razionale, sostituendo la competizione con la collaborazione, il resto del mondo lo imporrà: i cambiamenti economici e politici in corso, le guerre e i conflitti, lo stanno dimostrando.

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