Nell’ambito della fabbricazione digitale delle case con stampa 3D, ci sono esempi internazionali che hanno saputo superare la fase del prototipo per entrare nel patrimonio costruito di comunità reali. Ma costi e tempi realizzativi sono grandi ostacoli
In precedenti articoli si sono analizzate, partendo dai temi proposti dalla 19a Biennale di Venezia, alcune delle principali tecnologie alla base delle attuali tendenze verso la fabbricazione digitale delle case, dall’edilizia vera e propria con le sue tecnologie costruttive (robot, stampanti 3D), ai nuovi sistemi gestionali per la progettazione e manutenzione integrata (BIM), fino agli arredi intelligenti (IoT). Se, come anticipato, molte di queste attuali tendenze mantengono a oggi una carica utopica ancora molto distante dalla pratica della costruzione, ristrutturazione e arredo delle abitazioni, è indubbiamente utile, però, includere in quest’esame anche esempi internazionali, a vari livelli, che hanno saputo superare la fase del prototipo o del progetto pilota per entrare nel patrimonio costruito di comunità reali.
In apertura: il costruttore statunitense ICON ha terminato la prima villa unifamiliare realmente abitabile ad Austin, in Texas
Se, infatti, corre d’obbligo riconoscere l’importanza di molti progetti realizzati in diverse aree del mondo che hanno saputo tradurre in realtà molte idee all’avanguardia, queste si sono frequentemente limitate alla dimostrazione delle potenzialità di una tecnologia o di un’azienda o, nei casi più interessanti, allo sviluppo di ricerche applicate.
Un caso interessante sotto questo profilo è, per esempio, quello della svizzera DFAB House, che ha saputo concentrare le energie ed i fondi dell’istituto elvetico NCRR, insieme agli istituti di ricerca EMPA ed EAWAG (materiali, scienze e tecnologie), a svariate aziende (non solo svizzere), nonché all’università ETH di Zurigo. L’edificio in questione è, infatti, una costruzione dimostrativa abitabile di tipo avanzato in grado di assommare in sé diverse tecnologie d’avanguardia. Oggi a disposizione dei ricercatori, DFAB House è nata fin dal principio come un’eccezione non replicabile che, ancora in larga parte frutto di edilizia tradizionale, ospita diverse e significative addizioni ad alta tecnologia che hanno richiesto circa tre anni di costruzione (dal 2016 al 2019 circa) e sono tutt’ora in fase di studio e ulteriore approfondimenti: dal solaio intelligente ai casseri a rete, alla prefabbricazione robotica di strutture lignee, fino ai robot di cantiere e la gestione digitale.

Le diverse pubblicazioni scientifiche dell’Ente di ricerca svizzero che vi è ospitato, nonché dei gruppi di ricerca che hanno partecipato allo sviluppo dell’opera, chiariscono del resto che lo sbocco più verosimile di queste tecnologie resta probabilmente quello dell’autofabbricazione di futuri insediamenti lunari, più che l’effettivo aggiornamento del patrimonio edilizio svizzero.
Sotto questo profilo, infatti, il risultato più concreto raggiunto da uno dei promotori è stato quello dell’inaugurazione a maggio di quest’anno della Torre Bianca di Mulegns. Questa piccola frazione di 25 abitanti del Comune svizzero di Surses, nel Canton Grigioni, ospita, infatti, da pochi mesi la più alta struttura del mondo mai realizzata in stampa 3D: un avanzato esempio di prefabbricazione di ultima generazione basato su una nuova miscela di calcestruzzo, dotata di viscosità e tempi di presa fuori standard e tali da consentire la stampa di elementi finiti senza alcun cassero né armatura interna. Anche in questo caso, però, come accaduto per le analoghe esperienze di prefabbricazione con stampa 3D in Olanda, le foto di cantiere dimostrano un lavoro di elevata complessità sia per le dimensioni sia per le procedure di posa in situ, che poche aziende specializzate sarebbero in grado di gestire in un futuro prossimo. Infine, date le dimensioni contenute in planimetria, l’investimento generale sembra decisamente al di fuori della portata dell’edilizia residenziale e della gran parte dell’edilizia civile: il progetto è stato, infatti, portato avanti, nell’arco di circa quattro anni, grazie a fondi pubblici stanziati per lo sviluppo di un nuovo polo culturale destinato alle arti performative (ed evidentemente calibrato su un pubblico nazionale e internazionale ben oltre i confini dei 25 residenti).
Anche questa seconda storia di successo dimostra pertanto un ulteriore avanzamento tecnologico fruibile per i cittadini, ma di fatto ancora confinato all’ambito delle eccezioni alla regola. Il nodo centrale sembra, infatti, essere in questo caso il necessario ricorso a un tipo di progettazione pionieristica che si accompagna non tanto all’uso di macchine avanzate in fase di stampa, quanto soprattutto a cantieri complessi a opera di lavoratori a elevato tasso di specializzazione, che comportano oggi tempi lunghi di realizzazione e costi fuori mercato, anche solo pensando alla necessità di utilizzo della nuova miscela di calcestruzzo brevettata ad hoc.
Sotto questo profilo sembrerebbe dunque aver ottenuto risultati più tangibili l’azienda italiana WASP, che dopo aver sviluppato con Mario Cucinella il primo prototipo italiano di casa stampata in terra cruda (Tecla 2021), ha proseguito la sperimentazione in questo specifico ambito con l’Istituto per l’Architettura Avanzata della Catalogna nel 2022, realizzando un ulteriore prototipo residenziale (Tova) e infine ha dato alla luce quest’anno la prima casa in terra cruda stampata del Giappone (a Yamaga, su progetto dello studio Kyotani e Ove Arup per le strutture). L’edificio, questa volta completo in ogni finitura, interamente arredato e abitabile, copre una superficie di circa 100 mq ed è realizzato con tecniche e materiali misti, soprattutto il legno, oltre alla terra cruda reperita in situ, in modo da garantire interventi maggiormente sostenibili sia sotto il profilo ambientale sia da un punto di vista meramente economico. Il ricorso a una nuova tecnologia trainante, da accompagnarsi però con altre tecniche tradizionali, rende, infatti, questo intervento più realistico e replicabile dei precedenti, oltre all’avere l’indubbio vantaggio di offrire un concreto esempio di casa sostenibile del futuro.

Analogamente anche l’abitazione unifamiliare dello studio Park di Singapore terminata quest’anno (un edificio pluripiano con sette camere da letto) offre un esempio tangibile di una casa stampata, sempre realizzata con l’ausilio di tecniche tradizionali. E nonostante i progettisti dichiarino che circa il 90% del materiale impiegato sia il risultato del processo di produzione additiva robotica, tutte le strutture portanti, ma anche i materiali di finitura, come i serramenti e gli arredi fissi sono stati realizzati con vecchie metodologie. In questo caso quindi, più ancora che nel caso giapponese, la stampa 3D costituisce un’innovazione parziale, anche considerando che l’esecutore ha preferito utilizzare una tradizionale miscela di calcestruzzo adatta all’estrusore del braccio robotico e responsabile dell’estetica finale della casa. Il vero vantaggio dunque risiederebbe nella possibilità di creare tamponamenti murari continui dotati di ventilazione interna che i progettisti hanno sfruttato per migliorare il raffrescamento passivo dell’edificio, dato che lo stesso progettista ha rivelato come i tempi di costruzione si siano rivelati infine più lunghi del previsto e non vi sia stato alcun effettivo vantaggio economico sotto il profilo dei costi.
Il costruttore statunitense ICON, che aveva realizzato il suo primo progetto pilota due anni fa, ha terminato sempre all’inizio di quest’anno la sua prima villa unifamiliare realmente abitabile di un progetto di lottizzazione urbana ad Austin, in Texas, interamente previsto con tecniche miste e produzione additiva robotica per le murature. In questo caso è stata impiegata una miscela mista a base cementizia in grado di utilizzare anche materiali reperiti sul luogo, che si possono definire una via intermedia tra terra cruda e calcestruzzo, ma comunque finalizzato alla produzione di abitazioni di lusso per un pubblico di nicchia. E se l’arch. Lim di Singapore ritiene che queste metodologie comporteranno in prossimo futuro riduzioni dei costi dell’ordine del 30%, vale la pena ricordare che altrettanto francamente ammette che “allo stato attuale questo risultato è ancora piuttosto lontano dall’essere raggiunto”.



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