La tecnologia, digitale o analogica, spesso approda nell’edilizia con molto ritardo rispetto ai restanti ambiti produttivi. Alla Biennale di Venezia (fino al 23 novembre), però, si parla di IA e di case costruite con le stampanti 3D
Il curatore della 19° Biennale di Venezia, Carlo Ratti, recentemente si è detto convinto che la digitalizzazione e l’automazione nei nostri cantieri edili potrebbero arrivare anche prima di quanto lui stesso potesse aspettarsi. Da anni alla guida del centro di ricerca Senseable City Lab presso il Massachussets Institute of Technology (MIT), Ratti ha definito per la Biennale di architettura attualmente in corso di svolgimento (fino al 23 novembre) un programma molto vasto dal titolo “Intelligens”. Questo titolo, insieme al curriculum di Ratti, aveva fatto pensare che il fulcro della mostra sarebbero stati proprio gli avanzamenti tecnologici verso la città e le case ‘intelligenti’ di un futuro fantascientifico.
In apertura: Tecla, casa stampata in 3D da Wasp, piccola azienda di Ravenna
In realtà, il termine ‘intelligens’ è stato interpretato e sviluppato all’interno della mostra secondo tre distinte accezioni di intelligenza, cioè: ‘artificiale’, ‘naturale’ e ‘collettiva’, lasciando, nelle intenzioni del curatore, la tecnica a mediare e armonizzare queste tre. Nonostante queste intenzioni però, e come era forse intuibile, una delle fascinazioni che ha maggiormente solleticato la curiosità della stampa, ma anche di molti addetti ai lavori, sembra attualmente essere proprio quella dell’accezione artificiale, ben rappresentata da schiere di robot umanoidi creati dall’IA, che dovrebbero in un futuro prossimo diventare le nuove maestranze dei nostri cantieri “con l’accordo di Confindustria e sindacati”, come precisa Pierluigi Panza per il Corriere della Sera.
Edilizia e tecnologia, rapporto difficile
Prima ancora di entrare nel merito degli eventuali risvolti sociali, occorre naturalmente dire che se la tecnologia oggi disponibile ha davvero fatto passi da gigante, tuttavia il settore dell’edilizia si è storicamente dimostrato piuttosto refrattario alle innovazioni tecnologiche rispetto ad altri ambiti. In primo luogo si osserva, infatti, come non solo la complessità normativa del settore, ma anche una certa propensione del sistema alla catena dei subappalti e gli appalti al ribasso (fenomeno non solo italiano) rendano inevitabile un lungo processo ‘a cascata’ in cui l’aggiornamento tecnologico diviene effettivo solo quando i costi diventano finalmente accessibili (o ineludibili) alla maggioranza delle piccole e piccolissime imprese che popolano il settore.
Inoltre, è innegabile come alcune delle ‘innovazioni’ contemporanee corrispondano in qualche caso alla riscoperta e riattualizzazione di tecniche antichissime come la costruzione in terra cruda, se si pensa per esempio ai due Oscar dell’architettura contemporanea (i Pritzker prize) che sono andati all’africano Francis Kéré (nel 2022) ed al cinese Wang Shu (nel 2012), veri pionieri di questo nuovo corso verso una “economia dei materiali” radicata nel contesto anche da un punto di vista tecnologico.
Edilizia e stampa 3D
A riunire queste tecniche antiche e la nuova frontiera digitale hanno pensato già da tempo aziende come l’italiana Wasp, una piccola realtà della provincia di Ravenna da tempo attiva nella produzione di macchine per la stampa 3D. L’azienda, dopo aver sviluppato un estrusore per la stampa di materiali ceramici, nel 2015 ha prodotto la sua prima stampante alte 12 metri ‘per costruire case’, passando poi a un vero e proprio “sistema di progettazione e costruzione in scala architettonica racchiuso in un unico container” e da ultimo, nel 2018, la Crane WASP, un sistema modulare di stampa 3d collaborativa, ovvero un sistema modulare di tralicci per gru a ponte dotata di un estrusore a controllo remoto per la stampa digitale a scala architettonica. Grazie a questo sitema, Wasp aveva realizzato (su progetto di Mario Cucinella) il primo prototipo di casa in terra cruda prodotta tramite stampa 3D già nel 2021.
Tecla, questo il nome (derivato da ‘Technology’ e ‘Clay’, argilla) era stata realizzata, infatti, pensando a un “modello circolare di abitazione” che potesse essere “creata con materiali riutilizzabili e riciclabili, raccolti dal terreno locale”. L’idea non era in effetti nuova e, pur utilizzando un diverso materiale di base, un’altra azienda italiana, la D-Shape di Pontedera, vi si era cimentata, realizzando con progetto di Marco Merendi la prima casa stampata in un’unica sessione, che era stata esposta nel giardino antistante la Triennale di Milano nel 2010. La casa, ‘Unacasatuttadiunpezzo’ era un oggetto monolitico di non più di 9 mq di superficie con tetto a falde e due semplici ambienti interni: una mini-stanza e una cucina abitabile dotata di piano di lavoro realizzato insieme alle strutture. Il materiale utilizzato, non più terra cruda, era in questo caso una miscela realizzata appostamente dall’azienda con un legante inorganico più sabbia o polvere minerale e dotata di una resistenza progettata per essere superiori al cemento Portland. All’ideatore, Enrico Dini, l’invenzione era valsa il credito della rivista britannica “Blueprint2, quale ideatore e realizzatore del primo edificio al mondo stampato in 3D in occasione del progetto Radiolaria, realizzato un anno prima della casa in Triennale su disegno di Andrea Morgante.

Questo progetto di struttura-padiglione, così come il successivo modulo abitativo in Triennale, aveva in effetti preceduto la “Casa sul Canale” di Amsterdam, anch’essa interamente stampata in 3D e tuttavia non in un’unica soluzione, ma per assemblaggio di parti realizzate con stampanti 3D di tipologia più comune, ovvero a deposito fuso a partire da bobine di bio-plastica di colore nero. Il progetto, concepito non da una startup o da un’impresa edile, ma dalla fondazione “3D Print Canal House Foundation” (guidata dallo studio DUS Architects), era autofinanziato dai partecipanti e, iniziato nel 2013, se ne prevedeva il termine nel 2018. Sebbene il sito dei progettisti a oggi lo descriva come ancora in corso, la “Casa sul Canale” non risulta in realtà essere mai stata portata a termine, mentre ha in realtà essenzialmente contribuito a generare un piccolo prototipo di cabina urbana, una costruzione di superficie leggermente inferiore alla casa di Merendi per la Triennale, ed anch’esso non realmente fruibile ai fini abitativi.
Se è innegabile che la ricerca in questo ambito non solo non si è arrestata, ma ha mostrato significativi progressi, alcuni dei quali visibili anche alla Biennale, è altrettanto innegabile che i risultati più evidenti siano ancora appannaggio di un piccolo gruppo di pionieri che non sembra abbia, a oggi, ricevuto particolare supporto dalle istituzioni o dagli investitori, né sembra che si possa a breve termine prevedere un’inversione di questa tendenza, se si considerano le polemiche italiane degli incentivi del 110% ma anche i timori degli investitori internazionali preoccupati dalle bolle immobiliari.
In sintesi si può dire che un certo tipo di tecnologia, digitale o analogica che sia, per molti motivi rischia di approdare nell’edilizia solo quando sia realmente giunta a maturità, forse per una certa resistenza da parte del settore immobiliare, ma più probabilmente per i tempi lunghi di esposizione e di recupero in caso di investimenti, fatto che sembrerebbe privilegiare ambiti produttivi più rapidi.

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