“I venti” di Mario Vargas Llosa. Ironia e malinconia della vecchiaia

Pubblicato il 21 Novembre 2025 in , da Emma Faustini
Venti

“I Venti” è un libro molto denso e intenso. In poche pagine, concentra una critica puntuale e precisa del mondo e delle sue storture, e una descrizione impietosa, a tratti spietata, della vecchiaia. Vargas Llosa porta attraverso questi temi così particolari con leggerezza e ricchezza

“I Venti” è un piccolo libro, quasi una novella, molto denso e intenso. In poche pagine, riesce a concentrare una critica puntuale e precisa del mondo in cui viviamo e delle sue storture, e una descrizione impietosa, a tratti spietata, della vecchiaia. In un tempo futuro ma non troppo lontano, il protagonista, un signore molto vecchio, che sta perdendo la memoria e il controllo delle proprie funzioni primordiali, in primis l’evacuazione, si aggira per Madrid in cerca della sua casa, della sua stanzetta con bagno, come ci tiene a specificare.

Ha partecipato a una manifestazione contro la chiusura dell’ultimo cinema della città, e tra sé e sé riflette sulla digitalizzazione dell’arte, sulla smaterializzazione delle vite e sulla riduzione di qualsiasi cosa a una serie di immagini su degli schermi. Gli risulta inconcepibile che si possa capire lo stesso, apprezzare lo stesso, vivere nello stesso modo un’opera d’arte che si ha di fronte nella sua materialità, e un’opera evanescente, impalpabile, volatile come quella digitale. Gli risulta inconcepibile che l’esperienza di uno schermo sia la stessa di una passeggiata reale, di una lettura reale, di un ascolto reale. E ce lo dice senza mezzi termini, in dialogo immaginario con l’amico Osorio. Forse l’unico amico rimasto ma non per mancanza di socialità; il protagonista e Osorio sembrano essere gli unici sopravvissuti al tempo. E ogni mattina si chiamano per verificare se ci sono ancora, se il tempo è ancora loro, se la loro vecchiaia non si è tradotta nella fine che sanno imminente.

Non sono mai d’accordo e discutono di tutto e su tutto, il protagonista e Osorio, e anche questo atteggiamento sembra essere un retaggio dei tempi in cui il contraddittorio era parte della vita, la discussione era un modo per chiarirsi le idee, per approfondire, per capire meglio.

Allo scomparire del mondo conosciuto e amato si accompagna, nel protagonista, l’abbandono del corpo e delle sue funzioni primarie. Ricorda, in questo racconto così veritiero e così disperato e così rassegnate, il bellissimo libro “Patrimonio”, di Philip Roth. Racconta il lento degrado del padre di Roth e l’inesorabile discesa nella malattia mentale, a cui si accompagna l’incapacità del corpo di controllare le sue funzioni. Roth assiste il padre con disgusto e pietà, con ribrezzo e tenerezza, e lo racconta in un libro che è uno dei suoi più belli.

Ne “I venti” non c’è nessuno ad assistere il protagonista, e le presenze nelle strade e negli spazi pubblici intorno a lui sono come ombre o fantasmi e sembrano non accorgersi di lui, che ripercorre più e più volte le stesse vie, che si sdraia sull’erba o si siede sulle panchine, si addormenta, tra flatulenze involontarie e incontrollabili. Non vede l’ora di essere a casa, il protagonista, di potersi “lavare nel suo bagnetto” e di potersi mettere dei vestiti puliti. Ma insieme alla consapevolezza del disgusto, ha anche una sorta di benevola accettazione: alla fine al corpo, e alla decadenza, dobbiamo darla vinta. Si è lottato per tutta la vita per avere il controllo del corpo, per fargli fare quello che vogliamo anche quando non ne vuole sapere, lo si è forzato, costretto, lo si è stancato e affamato, sfruttato. Ora basta. Ora comanda lui, e in quell’abbandono al dominio del corpo c’è anche una dolcezza, come si fosse tornati bambini, infanti.

E la scrittura di Vargas Llosa porta attraverso questi temi così particolari con leggerezza e ricchezza. Si potesse tutti raccontare così bene i turbamenti della vecchiaia…

I venti“I venti” di Mario Vargas Llosa

In una Madrid surreale, un anziano ha dimenticato l’indirizzo di casa. Solo, confuso, afflitto da terribili venti “inopportuni”, vaga smarrito in una città in cui i luoghi di cultura e di incontro sono ormai virtuali. Tra ricordi frammentati e rimpianti di un grande amore, l’anziano continua a perdersi, pensando al mondo che è stato, e al mondo che verrà. Con “I venti” Mario Vargas Llosa affida ai suoi lettori un ultimo ironico e malinconico commiato. “Inguaribile conservatore”: così l’amico Osorio definisce il centenario narratore di questo romanzo. Che da buon nostalgico, insieme a pochi altri «relitti» come lui, non poteva mancare alla manifestazione contro la chiusura del cinema Ideal, una delle ultime sale ancora attive a Madrid. L’evento si è svolto nell’indifferenza generale: del resto alle nuove generazioni non interessa la scomparsa di quel luogo obsoleto, insieme a musei, librerie, biblioteche, teatri. Ormai basta uno schermo per avere il mondo a portata di mano, e l’arte assume la forma di una meraviglia digitale. Appare lontanissima l’epoca in cui leggere un classico o ammirare un dipinto dal vero davano quell’appagamento profondo che il narratore rimpiange. Così come avverte la mancanza dell’ex moglie Carmencita, abbandonata per un folle amore passeggero. Sono queste, e tante altre, le riflessioni sul passato e sul presente in cui si perde l’anziano mentre, dopo la manifestazione, vaga alla ricerca di casa sua. Non gli è mai successo, ma ora proprio non riesce a ricordare l’indirizzo. Solo, smarrito, in preda alle terribili flatulenze di cui soffre da tempo, l’anziano passa e ripassa per strade e piazze che distingue a malapena, fermandosi ogni tanto su una panchina a riposare, intrappolato nel centro labirintico di una Madrid surreale, ma perfettamente riconoscibile. Si fa sempre piú tardi, e si profila l’idea angosciante della notte all’addiaccio, e la mattina seguente il telefono che squillerà a vuoto quando Osorio chiamerà per il consueto controllo reciproco di esistenza in vita, e tutti quei venti che metterebbero a dura prova chiunque… Quali sorprese riserva ancora questa giornata complicata per lo smemorato narratore? Può forse mancare l’incontro con il destino?

 

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