Emozioni che invecchiano: il cervello tra equilibrio, memoria e trasformazione

Pubblicato il 14 Dicembre 2025 in , , da redazione grey-panthers
Daniela Perani

Quando si parla di invecchiamento, il discorso generale tende a concentrarsi sulle perdite: memoria meno pronta, attenzione più fragile, rallentamento cognitivo. Eppure, se spostiamo lo sguardo sulle emozioni, emerge un quadro sorprendentemente diverso. Il cervello che invecchia non diventa necessariamente più fragile dal punto di vista emotivo; al contrario, spesso acquisisce una maggiore stabilità. Lo spiega, nel suo ultimo libro, Daniela Perani, Professoressa Emerita di Neuroscienze

Le neuroscienze mostrano che, con il passare degli anni, molte persone imparano – anche senza rendersene conto – a gestire meglio le proprie reazioni affettive. Non si tratta di indifferenza o di distacco, ma di una diversa economia emotiva, più selettiva e meno impulsiva. Qualche esempio?

  • Con l’età si osserva una riduzione della reattività emotiva negativa, cioè una minore tendenza a reagire in modo intenso a emozioni come rabbia, paura o frustrazione.
  • Aumenta la capacità di regolazione emotiva, ovvero la possibilità di contenere, modulare e rielaborare le emozioni invece di esserne travolti.
  • Le aree del cervello coinvolte nelle emozioni immediate (come l’amigdala, che segnala ciò che per noi è emotivamente rilevante) continuano a lavorare in stretta collaborazione con la corteccia prefrontale, la regione deputata al controllo, alla riflessione e alla valutazione delle conseguenze.
  • Questa cooperazione rende più facile prendere distanza dalle emozioni intense, senza negarle.
  • Alcuni racconti clinici mostrano persone anziane capaci di affrontare eventi emotivamente complessi con una calma che in età più giovane sarebbe stata impensabile.

Benessere emotivo nella vecchiaia: un paradosso solo apparente

Uno dei dati più interessanti emersi dalla ricerca neuroscientifica riguarda il benessere emotivo soggettivo. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, molte persone anziane dichiarano di sentirsi emotivamente meglio rispetto a fasi precedenti della vita. Questo non significa assenza di dolore, lutti o difficoltà, ma una diversa capacità di convivere con essi. Il cervello anziano sembra imparare a risparmiare energia emotiva, investendola solo in ciò che conta davvero.

  • Gli studi longitudinali (che seguono le stesse persone nel corso degli anni) indicano che, in assenza di patologie neurologiche, il livello di benessere emotivo rimane stabile o aumenta con l’età.
  • Le emozioni positive tendono ad avere una durata maggiore, mentre quelle negative si attenuano più rapidamente.
  • L’attenzione si orienta in modo preferenziale verso stimoli emotivamente significativi, soprattutto relazioni affettive e legami consolidati.
  • Questo fenomeno, noto come positivity effect, non è una fuga dalla realtà, ma una strategia adattiva del cervello che invecchia.
  • In alcune testimonianze emerge come piccoli gesti quotidiani – una visita, una telefonata, un ricordo condiviso – assumano un valore emotivo più intenso rispetto a grandi obiettivi o ambizioni.

L’esperienza come “memoria emotiva regolatrice”

Una delle chiavi per comprendere la stabilità emotiva della vecchiaia risiede nell’esperienza. Ogni emozione vissuta, ogni crisi superata, ogni perdita elaborata lascia una traccia. Nel tempo, queste tracce non si accumulano in modo caotico, ma contribuiscono a costruire una sorta di archivio emotivo che guida le reazioni future. Non si tratta solo di ricordare cosa è accaduto, ma di ricordare come ci siamo sentiti e come siamo riusciti ad andare avanti.

  • L’esperienza accumulata nel corso della vita funziona come una “memoria emotiva regolatrice”, cioè un insieme di ricordi ed emozioni che aiutano a valutare meglio le situazioni presenti.
  • Questa memoria non elimina le emozioni, ma le contestualizza, riducendo le reazioni impulsive.
  • Le risposte affettive diventano più selettive: non tutto merita la stessa intensità emotiva.
  • A livello cerebrale, questa funzione coinvolge strutture legate alla memoria autobiografica e al controllo emotivo, che lavorano in modo integrato.
  • In alcuni casi clinici, persone con lievi deficit cognitivi mostrano comunque una notevole capacità di orientarsi emotivamente grazie a ricordi affettivi profondamente radicati.

Nostalgia: quando il passato sostiene il presente

Nella vecchiaia, il passato diventa un interlocutore frequente. Ma la nostalgia non è semplicemente rimpianto o malinconia. Dal punto di vista neuroscientifico, ricordare è un atto attivo, che coinvolge emozioni, identità e senso di continuità personale. Rievocare momenti significativi può rafforzare il senso di sé e offrire conforto, soprattutto in fasi di cambiamento o perdita.

  • La nostalgia nasce dall’interazione tra memoria autobiografica ed emozione, coinvolgendo strutture cerebrali che collegano ricordi e stati affettivi.
  • Rievocare il passato aiuta a mantenere una continuità dell’identità, soprattutto quando il presente è segnato da trasformazioni.
  • I ricordi emotivamente significativi possono avere una funzione protettiva contro solitudine e smarrimento.
  • La nostalgia, quando non diventa rimuginazione sterile, è una risorsa psicologica.
  • Alcuni anziani, raccontando episodi lontani nel tempo, mostrano una vividezza emotiva che illumina anche il presente.

Quando il cervello emotivo si ammala

Non tutte le storie di invecchiamento seguono un percorso armonico. Le malattie neurodegenerative modificano profondamente il rapporto tra cervello ed emozioni. Tuttavia, anche in presenza di patologie, le emozioni non scompaiono: cambiano forma, intensità, modalità di espressione. Comprendere questi cambiamenti è essenziale per evitare di ridurre la persona alla sola diagnosi.

  • Nelle demenze si osservano alterazioni delle connessioni cerebrali, con effetti sulla regolazione emotiva.
  • Alcune patologie possono accentuare emozioni come irritabilità, apatia o disinibizione.
  • Nella malattia di Alzheimer avanzata si assiste spesso a una semplificazione delle risposte emotive, ma non alla loro totale scomparsa.
  • Anche quando il linguaggio e la memoria si deteriorano, le emozioni possono continuare a manifestarsi attraverso gesti, espressioni o attività creative.
  • Alcune produzioni artistiche di pazienti mostrano come l’emozione possa sopravvivere alla perdita di molte funzioni cognitive.

Prospettive future: invecchiare meglio è possibile

Le neuroscienze contemporanee invitano a superare una visione fatalistica dell’invecchiamento. Il modo in cui invecchiamo emotivamente non è scritto una volta per tutte, ma dipende da fattori educativi, sociali e culturali. Prendersi cura del cervello lungo tutto l’arco della vita significa costruire le basi di una vecchiaia più equilibrata, non solo più lunga.

  • Migliori condizioni di vita, istruzione e prevenzione contribuiscono a una migliore salute cerebrale nella vecchiaia.
  • Attività fisica, relazioni sociali e stimolazione cognitiva proteggono anche l’equilibrio emotivo.
  • La vecchiaia può essere una fase di integrazione emotiva, non solo di perdita.
  • Offrire a tutti queste opportunità è una responsabilità collettiva.
  • Molte storie mostrano anziani capaci di curiosità, affetto e progettualità, confermando la plasticità del cervello anche in età avanzata.

Il cervello che invecchia non smette di emozionarsi: impara a farlo in modo diverso. Le emozioni diventano meno rumorose, ma spesso più profonde; meno impulsive, ma più significative. Comprendere questi cambiamenti non è solo un esercizio scientifico, ma un passo necessario per ripensare culturalmente la vecchiaia, restituendole complessità, dignità e futuro .



Daniela PeraniProf. Daniela Perani, Professoressa Emerita di Neuroscienze, Università Vita Salute San Raffaele, Milano


Quando il cervello si emoziona“- Dall’infanzia alla vecchiaia, viaggio nelle età della nostra vita emotiva – Rizzoli Editore, ottobre 2025- 288 pagine- euro 18,00-

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