L’iniziativa del nostro Cineforum online è proseguita, lunedì 10 novembre con il film “Solo per una notte”, di cui vi diamo qui sotto una sinossi (per chi non l’ha visto) e una sintesi scritta del dibattito tra esperti e pubblico che ne è derivato
Il secondo appuntamento è stato lunedì 10 novembre alle ore 17.30: su nostro invito Zoom, gli iscritti hanno potuto accedere a un cinematografo virtuale completamente gratuito dove è stato presentato il film del mese, con l’introduzione del critico cinematografico Pierfranco Bianchetti, seguita dagli spunti per una lettura psicoanalitica del film, suggeriti dallo psichiatra dottor Leonardo Resele. E’ seguito, su piattaforma MyMovies, la visione del film e, per concludere, ci siamo ritrovati tutti, di nuovo su Zoom, per le considerazioni e il dibattito finale tra pubblico ed esperti.
L’appuntamento con il Cineforum Grey Panthers continuerà con altri film, una volta al mese, di lunedì
“Solo per una notte”, pellicola del 2023, diretto dal regista Maxime Rappaz.
Sinopsi: Ogni martedì, Claudine lascia il suo figlio disabile in custodia a una vicina di casa e si reca in un hotel di montagna per incontrare uomini sconosciuti. Ha regole precise: solo uomini che si fermano per una sola notte e che non incontrerà mai più. Quando uno di loro decide inaspettatamente di prolungare il suo soggiorno sconvolge per sempre la vita di Claudine, fino a un finale imprevedibile.
Sintesi del dibattito scaturito tra esperti e pubblico (10 novembre 2025- “Solo per una notte”)
(Vitalba Paesano): Corriamo il rischio che il film di questa sera vi piaccia davvero tanto o che scateni comunque dei sentimenti forti, ma questo ci piace perché sappiamo che noi senior siamo capaci di passioni e di sentimenti forti. … intanto vedo che arrivano altri e quindi buonasera, buonasera, ben arrivati a tutti…..
Grey Panthers ha spiegato tante volte che cos’è lo SPID, che cos’è il fascicolo sanitario, come ci si comporta con l’e-commerce, con l’home banking e quindi come si diventa cittadini digitali. Ma questo Cineforum, e ritorniamo finalmente al Cineforum, ci piace particolarmente perché è un po’ la sintesi di tutto il nostro lavoro di questi 20 anni. Internet non è soltanto una realtà un po’ faticosa e impegnativa che dobbiamo conoscere per sopravvivere e vivere meglio, per avere una migliore qualità di vita, ma può diventare (e finalmente sta diventando) lo strumento per sviluppare le nostre passioni, i nostri interessi per il tempo libero, anche per quella parte un po’ ludica che, devo dire, noi per primi abbiamo sempre un po’ trascurato. Quindi il fatto di passare con disinvoltura dalla piattaforma Zoom, come facciamo stasera, alla piattaforma di MyMovies, il nostro partner in questa iniziativa di Cineforum, e poi ritornare, finito il film, rivela una certa disinvoltura tecnologica che vi fa onore e naturalmente rivela una grande passione per il cinema.
Vengo a presentarvi i nostri esperti che anche questa sera sono in prima linea, per aiutarci a ragionare su questo film che, vi dicevo, abbiamo scelto con grande gusto, con grande passione e probabilmente con motivazioni diverse ciascuno di noi, che ha partecipato alla selezione. Saluto Pierfranco Bianchetti, critico cinematografico, che ha già detto buonasera ma essendo silenziato non si è sentito, che ci segue per quanto riguarda l’introduzione al film e le caratteristiche che riguardano la regia, la sceneggiatura, gli attori, persino l’ambiente. E abbiamo anche il dottor Leonardo Resele, buonasera anche a lui, anche lui è silenziato e quindi fa ciao con la mano perché ormai siamo di casa. Da psichiatra, e qui devo dire avrà pane per i suoi denti, ci aiuta a riflettere su alcuni aspetti un po’ più intimi, un po’ più privati, un po’ più personali di questi protagonisti che hanno una storia davvero particolare. C’è poi anche Giovanna Maggiore, buonasera Giovanna, che ci guiderà negli aspetti tecnici, e c’è Chiara Visconti responsabili di tutti i rapporti con l’esterno.
(V.P.) Pierfranco Bianchetti,cosa uò dirci di questo film per aiutraci ad apprezzarlo meglio?
(Pierfranco Bianchetti): Il film, che vedrete fra poco, è un film originale e particolare. Ambientato nell’agosto del 1997 in una società nella quale si comunica ancora con il telefono fisso, si leggono le riviste di carta e si ha la libertà di allontanarsi per qualche ora senza essere rintracciati dai nostri cellulari. Presentato nel 2023 al festival di Cannes, Solo per una notte è diretto dal ginevrino Maxine Rappaz, che con il suo film ci regala una figura femminile di grande spessore anche grazie all’interpretazione di Jeanne Balibar, attrice di talento sia in teatro sia al cinema.
Il suo personaggio è quello di Claudine, una donna divisa tra l’immenso amore che lei nutre per il figlio disabile che ha costantemente bisogno di lei e il suo desiderio legittimo di essere amata sessualmente e non solo. Il film, una coproduzione francese, svizzera e belga, è stato girato in esterni presso la Diga Grande Dixence, Sud della Svizzera. È una storia intimista di grande semplicità e di intelligente introspezione psicologica. Claudine entra di diritto nella galleria delle donne più interessanti che il cinema ci ha regalato negli ultimi anni. Un cinema da sempre ci ha abituato ad apprezzare le donne. D’altronde cosa sarebbe la storia del cinema senza di esse, senza i loro corpi, i loro sguardi, la loro capacità di affrontare la vita spesso difficile anche dal punto di vista sentimentale e umano?
Due parole sul regista: Maxime Rappaz, nato a Ginevra nel 1986, ha lavorato prima nel mondo della moda per poi dedicarsi al cinema. Nel 2016 ha ottenuto una laurea magistrale in cinema in sceneggiatura e regia e successivamente ha diretto i cortometraggi L’étè e Tendresse. Il suo primo lungometraggio è questo Solo per una notte, uscito nelle sale nel 2023 dopo la presentazione a Cannes. Maxime Rappaz attualmente sta scrivendo il suo secondo lungometraggio. Il suo Solo per una notte è stato considerato da alcuni critici francesi un omaggio al mitico Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci.
La protagonista, Jeanne Balibar, nata a Parigi il 13 aprile 1968. Balibar è un attrice non conosciuta in Italia, ma di grande talento come abbiamo già detto, con una lunga esperienza sul palcoscenico e al cinema.
(V.P): Chiediamo adesso al dottor Resele quali aspetti più personali del film ci colpiranno
(Leonardo Resele).I significati e i messaggi psicologici di questo film non sono solo nel carattere dei protagonisti, come vedrete, ma è in tutto il contesto rappresentato: l’ambiente, la musica, lo scorrere lento dell’azione, elementi tutti che rimandano alla descrizione di un mondo interiore fermo, spesso soffocante e limitato.
Un solo esempio, il primo peraltro che vedrete subito: la scena iniziale è un viaggio in treno, verso una destinazione sconosciuta, un avvertimento della possibilità di una transizione importante e forse sconvolgente? Serve a presentare, di spalle, la protagonista e a introdurre lo spettatore alla percezione di due luoghi (quello di partenza e quello di destinazione) e due modi diversi di essere. Potremmo già dire di una doppia vita. Ma mi fermo qui. Vi auguro buona visione e vi suggerisco di seguire con attenzione la magistrale interpretazione anche di Pierre-Antoine Dubey nel personaggio di Baptiste, figlio della protagonista, un giovane handicappato, ma interpretato da un attore assolutamente prestante.
dopo la visione del film
(V.P.) Ritorniamo a noi, dopo la visione del film. Avevamo avvisato che sarebbe stato un film forte. Promessa mantenuta, direi. In chat uno spettatore ha scritto:”Nella scena sotto la diga, l’acqua è un’immensità che ci accarezza e a volte percepiamo nella sua grandezza, ma che può anche travolgerci”. Certo, è un’esperienza di vita che travolge questa, non c’è dubbio. Dottor Resele, ci aspettiamo qualche ricco commento da lei. A me verrebbe più che farle una domanda, darle uno spunto. Sempre uguale questa donna, sempre uomini di passaggio, sempre lo stesso cliche del martedì, addirittura sempre lo stesso abito bianco, non so se l’avete notato. Ma da quanto dura questa storia?
(L.R.):Appunto, è un copione impressionante, potrebbe essere che conduce questa vita da un mese, potrebbe essere da dieci anni, proprio perché è sempre uguale, cioè sempre uomini di passaggio da città lontane e che sono sul punto di partire, per cui non ci può essere seguito all’incontro e poi la cosa impressionante è che niente è lasciato al caso, cioè il copione è sempre lo stesso: ci si dà di lei, non ci si bacia, perché lei mette un rossetto rosso intenso che quasi scoraggia l’idea di baciarla sulla bocca e non c’è un contatto che saprebbe di personale e di intimo; Claudine non dorme con nessuno di questi uomini perché significherebbe abbandonarsi alla situazione, mentre lei ha proprio la situazione in mano, è tutto sotto controllo.
Possiamo anche dire che, vedendo questa monotonia di vita, è una situazione tragica, semplice e tragica. Claudine a la sarta, accudisce il figlio, il martedì ha l’ora d’aria, la chiamerei così, che è tipica delle prigioni, cioè quando è il momento in cui puoi andare nel cortile, e lei si prende il martedì come ora d’aria rispetto alla vita monotona e chiusa e opprimente che conduce nella valle.
Ecco, potremmo dire che quello che lei ha nella vita, i dialoghi con questi uomini, il rapporto con i clienti di lei sarta, sono degli elementi che riempiono in modo illusorio la sua vita, perchè la sua vita è vuota. Allora, prima qualcuno parlava della diga, della massa d’acqua, infatti lei e Michael vanno nei meandri dell’impianto idraulico-idrico e commentano su questa immane massa che potrebbe schiacciarli.
In realtà potrebbe essere anche la metafora di questa compressione che c’è dentro di lei di bisogni inespressi, bisogni ai quali rinuncia: la mancanza di una vita personale (è proprio molto repressa questa donna, e lei corre il rischio di farsi schiacciare da queste energie trattenute e anche dalla vita non vissuta, insomma).
La prima cosa che succede quando Claudine incontra Michael è che lui la sorprende, facendosi trovare una seconda volta, lei lo tratta con freddezza, quando sono nella funivia e lui le raccoglie lo scialle, le consiglia di usare delle calzature più adatte per andare in montagna, ma lei è assolutamente fredda e controllata, perché quel contatto nella funivia è fuori dal copione, perché lei parla con gli uomini solo nel bar, nel ristorante dell’albergo e nella stanza degli ospiti dell’albergo, fuori da quel setting, da quel palcoscenico, lei non ha rapporti con gli uomini, punto e basta, e questo forse allude al fatto che lei è governata da un’istanza psichica di grande severità, molto esigente. Lei deve essere perfetta come sarta, deve essere perfetta come madre, e non può concedersi niente, per esempio il fatto di concedersi dei rapporti sessuali lo deve fare fuori dal suo abitato, in un altro posto, perché l’istanza dice “vergognati di avere questi bisogni”, lei oltre tutto si autogiustifica dicendo “in verità vado a fare delle interviste a questi uomini sulle città dove vivono”, così posso simulare una corrispondenza tra mio figlio e il padre, assente. Si quasi giustifica l’atto sessuale per avere materiale per creare una corrispondenza tra il figlio e il padre inesistente.
(V.P.): Giovanna, vedo che ci sono commenti nella chat, ce li illustri per favore?
(Giovanna Maggiori): Si, qualcuno facendo riferimento a Michael e alla questione dei vestiti fa notare che lei è sempre vestita in bianco, mentre con Michael è vestita in nero. Questo è un colpo di vita, perché lì è uscita dal copione.
Lui è abilissimo, perché quandp lei gli dice, “ah lei viene da Hamburgo, mi racconti di Hamburgo”, lui risponde, “ma no, a un momento cominciamo a presentarci, e dice, “molto lieto”, mi chiamo Michael, e lei è costretta a dire come si chiama, perché con gli altri uomini che utilizza per quello scopo non vuole sapere neppurevcome si chiamano. Lei allora si lancia dicendo, “ma allora potremmo anche raccontarci la nostra vita precedente, potremmo anche raccontarci i libri che abbiamo detto che ci hanno fatto impressione”, cioè lei ha una improvvisa apertura verso di lui, e sicuramente succede perché lei non ha potuto impedire di incontrarlo un’altra volta, mentre con gli altri ha la furbizia di di farsi indicare dal cameriere gli uomini che sicuramente partiranno il giorno dopo.
(V.P.): Dottor Resele, secondo lei Claudine è una donna disposta al cambiamento? Cioè cambierà qualcosa? Dobbiamo fidarci?
(L.R.) Claudine è capace di un cambiamento, ma esplosivo, perché lei cambia tutto; vende la casa, non fa più la sarta, non si sa dove andrà a vivere, è tentata di seguire Michael in Argentina, poi decide di no, e il pubblico non sa quali saranno i passi successivi che farà. Però questa donna ha fatto una rivoluzione? Si è liberata da questo percorso obbligato, di questa vita soffocante. E qui aggiungerei che il regista intervistato su questo film, dice: “Volevo ritrarre una donna in quel momento cruciale della vita in cui il tempo che si ha ancora da vivere è più breve rispetto al tempo già trascorso. Il momento cruciale – che può sorprenderci – in cui, più che mai, possiamo sentire il bisogno di fare un cambiamento nella nostra vita. E, come abbiamo visto, Claudine finirà con il cambiare parecchio della sua vita, anzi quasi tutto: vende la casa, affida il figlio a una struttura, e si abbandona, sul finale, a un urlo liberatorio…
(V.P.): Si può dire che il film lascia un finale aperto?
(L.R.) No, non è un finale aperto, perché c’è stato un sovvertimento totale delle abitudini di vita e anche della scala di valori di Claudine, Claudine non tornerà più indietro. Rimane solo aperto quali saranno le prossime sue scelte, ma rimane il fatto che è uscita dalla sua prigione. L’urlo liberatorio possiamo pensarlo come lo sfogo dopo una ferrea repressione dei propri bisogni personali. Dopo questo urlo Claudine è destinata a essere finalmente sé stessa, fedele ai propri bisogni. Claudine spiega al figlio il significato della parola “eclettico”, la possibilità di amare più cose: questo è una chiave della rivoluzione vissuta da Claudine, della sua emancipazione.
(V.P.):Lei parlava di un mondo interiore di Claudine, spesso soffocante e limitato. Senza speranza?
(L.R.): Si potrebbe dire che Claudine obbedisce a un’istanza interiore che le impone la massima disciplina e il più severo rigore (è la sarta impeccabile e perfetta, la madre affettuosa che si rende indispensabile). Un’istanza interiore che non perdona: quando la vecchia Chantal non si accorge dell’unico suo ritardo e lascia il ragazzo solo, lei la licenza senza se e senza ma. Per lo stesso rigore, Claudine accetta la sua sessualità solo se può viverla altrove. Un piacere proibito che Claudine si concede un giorno alla settimana. È il suo rigore e perfezionismo ancora una volta a imporle di fornire al figlio l’immagine di un padre presente. Ma il figlio quando lo viene a sapere, senza problemi, serenamente dice che “sono tutte bugie”. La esigenza di perfezione e di sacrificio non è giustificata dalle circostanze esterne, è tutta nella mente di Claudine. Baptiste entra volentieri nella comunità, pronto ad allacciare nuove relazioni; non è vero che non possa vivere senza di lei vicina.
(V.P.): Prima di passare la parola a Pierfranco Bianchetti che ci dirà sicuramente altri dettafli della struttura di questo film, le farei commentare il parere di una nostra lettrice. “L’incontro con il direttore della casa dove lascia Baptiste dopo la rottura con Chantal, dopo aver conosciuto Michael, è per me un momento clou quando le chiede come sta, che tipo di vita ha, qui secondo me lei, Claudine, realizza di cosa ha bisogno perché in realtà non sa rispondere”.
(V.P.): Vuole commentare Bianchetti?
(P.B.) Questa è una domanda rivolta a Resele
(V.P.): No, non siete intercambiabili, ma complementari, quindi va bene così. Pierfranco, sei d’accordo con il parere della signora che sottolinea questo aspetto?
(P.B.): Claudine ha vissuto tutta questa vita chiusa. A parte il momento di evasione del martedì, è chiaro che qui la vita sta cambiando tutto. D’altronde il regista Maxime Rapat racconta perché ha scelto, tra l’altro, anche questa attrice perché corrispondeva a quello che erano le sue aspettative. Lui dice, per esempio, Jeanne Balibar mi ha sorpreso in ogni inquadratura e mi ha permesso di sfumare interi aspetti del personaggio durante il processo di ripresa e di montaggio. Maxime Rappaz è un regista che come tutti i cineasti, ha un suo personale rapporto con gli attori ai quali lascia spazio per disegnare i loro personaggi, pur rimanendo molto legato alla sceneggiatura della pellicola da lui scritta con Marion Vernoux e Florence Seyvos che non deve subire particolari modifiche durante le riprese.
Nel cinema ci sono registi che realizzano un film non distaccandosi molto dalla sceneggiatura. Ad Hollywood in passato questi tipi di film venivano chiamati “film dalla sceneggiatura di ferro”, pellicole con un copione molto dettagliato che specificava ogni minimo particolare del film, dalla scenografia ai movimenti di camera, non lasciando spazio all’improvvisazione per il regista e per gli attori. Ma in realtà la definizione di ferro è opera del regista sovietico Pudovkin per indicare una sceneggiatura che fornisce tutti i dettagli delle scene con estrema precisione, non lasciando nessuno spazio all’improvvisazione. È invece di “gomma” la sceneggiatura usata dal regista e dagli attori come semplice traccia scritta per improvvisare l’azione e i dialoghi. Per Rappaz, che come sappiamo appartiene alla prima categoria, la dizione, l’intensità della voce, il ritmo delle risposte degli attori sono fondamentali come i movimenti e le coreografie preparati in anticipo rispetto alle vere e proprie riprese.
(P.B.): L’attrice Jeanne Balibar è stata scelta dal regista per la sua alta professionalità, per la sua dizione perfetta. Jeanne dopo aver letto la sceneggiatura, ha accettato subito e senza esitazioni il ruolo di Claudine. La sua interpretazione è giocata su vari registri: la donna viene raccontata nella sua vita quotidiana, tra il lavoro nella sua sartoria, le cure amorevoli per il figlio ma anche nelle sue fughe in montagna, dove lei si trasforma in una donna trasgressiva che si propone agli estranei ospiti maschili dell’Hotel.
“Jeanne- afferma ancora Rappaz – è stata capace di apparire come una donna elegante e misteriosa che emana un’aria malinconica semplicemente commovente. La potenza della recitazione di Jeanne Balibar ha portato una ricchezza decisiva di sfumature e ambiguità al personaggio di Claudine”.
(V.P.): C’è un altro commento che sottolinea “a tragedia di chi vive con un disabile rivela anche l’assenza dell’assistenza pubblica, tutto è sulle sue spalle, la responsabilità, la sovrasta la potrebbe travolgere”. Nel film siamo in Svizzera che ha fama di essere più assistenziale di tanti altri pPaesi. Dal tuo punto di vista di critico cinematografico condividi l’interpretazione di questo giovane?Io non ci ho trovato nessuna caricatura, nessun elemento che mi abbia disturbato.
(P.B.): Sì, assolutamente. Tra l’altro, il personaggio di Baptiste, il figlio disabile di Claudine, ha contribuito fortemente alla riuscita del film. Scartata l’ipotesi di utilizzare realmente un disabile, Rappaz ha scelto per tale ruolo l’attore svizzero Pierre-Antoine Dubey con cui aveva già lavorato per il suo cortometraggio Tendresse. L’attore ha frequentato un centro di persone disabili per dare maggiore credibilità al suo personaggio assistito da alcuni specialisti. Sono state fatte molte prove per evitare di cadere nella semplificazione che avrebbe potuto rappresentare il personaggio di Baptiste come una caricatura.
(V.P.): Abbiamo individuato molti aspetti del film e dei personaggi. Avrei alla fine una domanda: Claudine è una donna simpatica? Oppure no?Che ne pensate?
(L.R.): Prima della proiezione di oggi ho parlato con un nipote, giovane regista, e gli ho chiesto un parere su questo personaggio; mi ha risposto che il film è bellissimo tecnicamente, fotografia, e altri aspetti, ma il personaggio è impenetrabile e lo trova poco simpatico. Non ha provato empatia e non riusciva a identificarsi con questa donna. A me è venuto allora da pensare che fosse una questione di età. Questo giovanotto è sicuramente più giovane di tutti noi. Io credo che quando uno è arrivato alla mezza età e oltre, conosce certi dilemmi che vive la protagonista del film. La vita è stata impostata male e c’è il bisogno di liberarsi di queste contraddizioni e cambiare qualcosa.
Io credo che noi senior siamo in condizione di capire meglio questa esigenza e possiamo in qualche modo immedesimarci. Forse se io all’età di 25-30 anni avessi visto questo film effettivamente avrei considerato questa donna come una donna altezzosa, autosufficiente. Il titolo originale è “Laissez-moi” che significa “lasciatemi fare” “voglio muovermi di testa mia”, “non ho bisogno di nessuno” e questo la rende piuttosto ostica come personaggio.
Io credo che si possa vedere la cosa in questa chiave. Poi, adesso, rivedendo il film, ho trovato anche che è facile simpatizzare perché lei è di indole buona, perché una volta che si smolla diventa affettuosa e dolce, non è di indole cattiva non sente il bisogno di danneggiare nessuno; è semplicemente sulle difensive e quando lei si lascia andare con Michael vengono fuori degli aspetti dolci come quando si baciano sulla bocca e lei dice “ma potremmo raccontarci tutto dei libri che ci sono piaciuti, dei nostri ricordi. E’ una donna vitale con la quale ci si può identificare.
(L.R.): Il figlio handicapato è molto più aperto di lei che non si interessa al mondo esterno. Claudine è dentro nella sua routine quotidiana di fare la sarta, di accudire il figlio e basta; quindi la sua è una chiusura, una incapacità di costruire, non ha un’amica, non ha nessuno. Questa donna è sola e non per circostanze esterne, ma perché non è disponibile
Lettrice: Volevo dire una cosa di cui non ha parlato nessuno, ma che mi ha particolarmente commosso: è stato il fatto che lei ogni volta mandava una lettera al figlio facendo finta che fosse il padre e oltretutto facendolo un po’ viaggiare per i Paesi che lui non poteva visitare; io l’ho trovata una cosa bellissima da madre perfetta che fornisce al figlio tutti gli stimoli di cui può aver bisogno . Suggestiva molto anche la fotografia
(P.B.) Altro aspetto importante di Solo per una notte è infatti il paesaggio scelto per il film: la pianura, la diga, la montagna. Era perciò necessario scegliere un direttore della fotografia che sapesse interpretare i desideri del regista. Benoi Dervaux era il professionista giusto per questa impresa. Già direttore dei fratelli Dardenne Jean-Pierre e Luc Dardenne (registi belgi famosi anche in Italia per i loro film, Rosetta, La promessa, Il figlio, L’Enfant – Una storia d’amore e altri) ha pienamente soddisfatto i desideri del regista che ha dichiarato: “Ci siamo capiti subito riguardo al mondo di Solo per una notte: un tono morbido e pittorico, inquadrature ampie, statiche o in movimenti strutturati. Entrambi volevamo affrontare la sfida di un approccio rigoroso ai passaggi chiave della storia. Gli sono molto grato per il suo entusiasmo e il suo lavoro”. Per tutti questi motivi il film emoziona rendendoci vicini a Claudine, una donna che ha il coraggio di riprendersi la sua vita!
(L.R.) Oltre al fascino che viene dal paesaggio e dagli elementi naturali, oserei dire anche che l’andamento della musica rispecchia gli stati d’animo; credo che si potrebbe dire che questa lentezza della musica è una musica delicata e romantica e questo lento procedere dell’azione in qualche modo trasmette lo struggimento di una vita bloccata che segue sempre gli stessi ritmi. Io credo che la capacità del regista di trasmettere non solo attraverso le parole, ma anche attraverso le immagini e il ritmo dell’azione un clima psicologico che è legato a questo mondo fermo di Claudine quindi questa lentezza è da metamorfosi, non è una lentezza soffocante senza speranza. Non genera noia nel pubblico e aiuta a capire i limiti di questa vita così anche monoton.
(lettrice) Vorrei dire un’altra cosa: quando si chiede a Claudine dove andrà e lei risponde non lo so, questo testimonia anche la drammaticità di quello che le succede e sa anche che non potrà trovare una soluzione.
(V.P) Per concludere, visto l’ora e che non ci sono altri interventi, io ho un compito che è quello di ricordarvi che il prossimo appuntamento sarà lunedì 1 dicembre per non andare troppo sotto Natale. Non vi dico come nostra abitudine quale sarà il film. Sarà diverso e altrettanto piacevole . provare per credere. Alla prossima!

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