Una guida al Referendum dei prossimi 8 e 9 giugno 2025: come si vota, il testo dei quesiti in tema di lavoro e cittadinanza e cosa succede se vince il sì o il no. Senza indicazioni di voto ma per essere informati adeguatamente
Le modalità di voto e le regole organizzative sono state definite nel decreto-legge n. 27 del 19 marzo 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ecco un utile e pratico vademecum con tutte le informazioni utili per esercitare il diritto di voto senza incertezze.
Chi può votare al referendum?
Possono votare tutti i cittadini italiani che hanno compiuto 18 anni entro l’8 giugno 2025. I cittadini italiani residenti all’estero hanno diritto di partecipare, ma devono farlo tramite il voto per corrispondenza. Il referendum è valido solo se si raggiunge una soglia di affluenza pari almeno al 50% più uno degli aventi diritto, quindi è fondamentale che tutti coloro che hanno diritto al voto partecipino.
Come e quando si vota?
Il voto per il referendum è diretto e segreto, come per le elezioni politiche e amministrative. Ogni elettore troverà nel proprio seggio una scheda contenente i cinque quesiti referendari, che riguardano principalmente la cittadinanza e le leggi sul lavoro. Ogni cittadino può esprimere un voto per ogni quesito. Trattandosi di un referendum abrogativo, dovrà scegliere tra:
- SI per abrogare la norma oggetto del quesito
- NO per mantenere la norma vigente
La modalità di voto su due giorni è stata introdotta come disposizione urgente specificamente per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2025. Nello specifico, per il referendum il voto si svolge nei seguenti due giorni:
- domenica 8 giugno dalle 7:00 alle 23:00
- lunedì 9 giugno dalle 7:00 alle 15:00.
L’appuntamento con i referendum coincide con l’eventuale secondo turno (ballottaggi) delle elezioni amministrative che si svolgono in 124 Comuni appartenenti alle Regioni a Statuto ordinario, oltre a 14 Comuni nelle Regioni a Statuto speciale Sardegna e Sicilia.
I 5 quesiti del referendum
Gli italiani sono chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari. Quattro di questi riguardano il Jobs Act e sono stati promossi dalla Cgil. Il quinto quesito tocca invece il tema della cittadinanza italiana. Vediamo più in dettaglio cosa propongono questi quesiti.
Addio al contratto a tutele crescenti?
Questo quesito, proposto dalla Cgil, mira quindi ad abrogare il Dlgs 23/2015, la legge che ha introdotto il contratto a tutele crescenti.
- Cosa si vota: l’abrogazione integrale del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, noto come “Contratto a tutele crescenti”.
- Testo sulla scheda: Contratto di lavoro a tutele crescenti – disciplina dei licenziamenti illegittimi: abrogazione.
Norma attuale
Attualmente, per chi è stato assunto a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 in aziende con più di 15 dipendenti, questa norma prevede, in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, un’indennità pari a due mensilità per ogni anno di servizio, con un risarcimento minimo di 6 e massimo di 36 mensilità. Il reintegro è previsto solo per l’insussistenza del fatto materiale accertata dal giudice, o in casi di licenziamento discriminatorio o nullo per legge.
Cosa succede se vince il “Sì”
Se vincesse il “Sì”, verrebbe ripristinata la tutela dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per gli assunti a tempo indeterminato nelle aziende sopra i 15 dipendenti. Questo comporterebbe il ritorno al reintegro nel posto di lavoro, oltre a un risarcimento, nei casi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. L’attuale distinzione nelle tutele basata sulla data di assunzione (prima o dopo il 7 marzo 2015) sparirebbe.
Risarcimenti senza tetto nelle piccole imprese?
Anche questo quesito è proposto dalla Cgil. Riguarda i licenziamenti individuali nelle piccole imprese, quelle fino a 15 dipendenti.
- Cosa si vota: l’abrogazione parziale dell’articolo 8 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, eliminando le parole che stabiliscono un tetto massimo all’indennità in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese. L’obiettivo è eliminare il tetto massimo di 6 mensilità al risarcimento attualmente previsto per i lavoratori ingiustamente licenziati in queste aziende.
- Testo sulla scheda: Piccole imprese – licenziamenti e relativa indennità: abrogazione parziale.
Norma attuale
La norma attuale prevede che in caso di licenziamento ingiusto, il lavoratore abbia diritto al reintegro o a un risarcimento tra 2,5 e 6 mensilità (che può arrivare a 10 o 14 con l’aumentare dell’anzianità, ma questo si applica solo alle aziende sopra i 15 dipendenti).
Cosa succede se vince il “Sì”
La modifica proposta dal referendum eliminerebbe il vincolo massimo di 6 mensilità nelle aziende fino a 15 dipendenti. Questo consentirebbe al giudice di stabilire l’entità del risarcimento senza limitazioni, pur mantenendo un importo minimo di 2,5 mensilità e considerando fattori come il numero di dipendenti, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità, il comportamento e le condizioni delle parti.
Causali obbligatorie per i contratti a termine?
Questo è un altro dei quesiti sul Jobs Act promossi dalla Cgil. Si propone di ripristinare l’obbligo di indicare una “causale” per i contratti di lavoro a tempo determinato.
- Cosa si vota: l’abrogazione parziale di alcune disposizioni degli articoli 19 e 21 del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, che regolano i contratti di lavoro a tempo determinato. In pratica, il quesito referendario propone di eliminare alcune parti dell’attuale norma, rendendo di fatto le causali obbligatorie anche per contratti inferiori all’anno.
- Testo sulla scheda: abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi.
Norma attuale
Attualmente, l’articolo 19 del dlgs 81/2015 (parte del Jobs Act) regola i contratti a termine. Prevede che un contratto a termine non possa superare i 12 mesi senza causale. Può superare i 12 mesi (fino a 24) solo in presenza di specifiche condizioni (previste dai contratti collettivi, o per esigenze tecniche/organizzative/produttive identificate dalle parti entro il 31 dicembre 2025, o in sostituzione di altri lavoratori). Le regole sono state spesso modificate per aumentare la flessibilità.
Cosa succede se vince il “Sì”
Se il referendum passasse, verrebbero eliminate le parti di testo che permettono la stipula (e la proroga/rinnovo) di contratti a termine senza causale o con causali generiche individuate dalle parti. L’effetto sarebbe quello di ripristinare l’obbligo di indicare una “causale” specifica e stringente per tutti i contratti a tempo determinato, indipendentemente dalla loro durata. Le causali ammesse sarebbero di fatto limitate ai casi previsti dai contratti collettivi o alla sostituzione di altri lavoratori. La mancata indicazione della causale prevista comporterebbe l’automatica trasformazione del contratto in tempo indeterminato. Resterebbero valide le regole sulla forma scritta del contratto a termine e le eccezioni per le attività stagionali.
Responsabilità solidale negli infortuni sul lavoro?
Questo è il quarto quesito relativo al Jobs Act promosso dalla Cgil ed è legato alle norme sulla la responsabilità solidale del committente per gli infortuni sul lavoro negli appalti, riguardo ai danni non indennizzati dai lavoratori delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
- Cosa si vota: l’abrogazione di una parte dell’articolo 26, comma 4, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, che disciplina gli obblighi nei contratti d’appalto, d’opera o di somministrazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
- Testo sulla scheda: Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: abrogazione.
Norma attuale
Questa norma prevede la responsabilità solidale dell’imprenditore committente con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti dal lavoratore non indennizzati dall’INAIL o dall’IPSEMA. Tuttavia, la norma attuale esclude da questa responsabilità solidale i danni che sono conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
Cosa succede se vince il “Sì”
Se vincesse il “Sì”, verrebbe eliminata l’eccezione relativa ai danni derivanti dai rischi specifici dell’attività dell’appaltatore/subappaltatore. L’effetto sarebbe quello di estendere la responsabilità solidale del committente a tutti i danni non indennizzati dagli istituti preposti, anche quelli legati ai rischi specifici dell’attività data in appalto o subappalto. Si ripristinerebbe l’ampiezza della responsabilità solidale prevista da una normativa precedente (Legge 296/2006) che non contemplava questa limitazione.
Requisito di residenza per la cittadinanza ridotto?
Questo è il quinto quesito, l’unico non legato al Jobs Act. Riguarda il dimezzamento della durata del requisito di residenza da dieci a cinque anni per chiedere la cittadinanza italiana.
- Cosa si vota: l’abrogazione parziale di alcune disposizioni dell’articolo 9, comma 1, lettere b) e f) della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, che regola l’acquisizione della cittadinanza italiana per gli stranieri residenti.
- Testo sulla scheda: Cittadinanza italiana: dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana.
Norma attuale
L’articolo 9 indica i requisiti per la concessione della cittadinanza italiana con decreto del Presidente della Repubblica. In particolare, la lettera f) richiede che lo straniero che risiede legalmente in Italia vi risieda da almeno dieci anni. (esistono altri requisiti per casi specifici, come i tre anni per chi ha ascendenti italiani di secondo grado o è nato in Italia).
Cosa succede se vince il “Sì”
L’abrogazione combinata delle parti indicate avrebbe come risultato che gli stranieri maggiorenni con cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione Europea (i cosiddetti extracomunitari) potranno presentare richiesta di concessione della cittadinanza italiana dopo 5 anni di residenza legale in Italia. Il requisito di cinque anni di residenza legale è già previsto dalla legge per altre categorie di stranieri, come i maggiorenni adottati da cittadini italiani, gli apolidi e i rifugiati. Rimangono fermi gli altri requisiti per la domanda, come l’adeguata conoscenza della lingua italiana, e la natura discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza.
Il seggio, l’astensione e il post voto
I seggi per il referendum saranno aperti nei consueti luoghi, come scuole e strutture comunali e saranno assegnati in base al proprio comune di residenza. Ogni elettore riceverà la propria cartolina elettorale con l’indicazione del seggio in cui votare.
Non c’è alcuna sanzione per l’astensione, in quanto il voto non è obbligatorio, ma la partecipazione è fondamentale per il buon esito del referendum. È importante sapere che, anche se non c’è una penalità, la partecipazione attiva è cruciale per il raggiungimento della soglia di validità del referendum. Inoltre, partecipare è un diritto civico che ogni cittadino dovrebbe esercitare.
Una volta che i risultati del referendum saranno stati scrutati, l’esito sarà annunciato dalle autorità competenti. Se uno o più dei quesiti risulteranno vincenti (ovvero se il “Sì” avrà ottenuto la maggioranza dei voti), le norme oggetto della consultazione saranno abrogate. Tuttavia, le modifiche alle leggi richiederanno ulteriori passaggi legislativi, quindi il percorso di cambiamento sarà graduale.
Per rimanere aggiornati sulle modalità di voto, gli orari dei seggi e altre informazioni importanti, è possibile consultare i siti ufficiali delle istituzioni, come quello del Ministero dell’Interno e delle Agenzie per il voto.
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