Mentre ci prepariamo a portare avanti l’orologio di un’ora, nella notte tra sabato 25 ottobre e domenica 26, rinunciando all’ora legale, e mentre nelle nostre case si accendono ormai i termosifoni, si ritorna anche ad apprezzare sapori e piatti che danno calore. “Nonna, mi fai la polenta?” Se qualcuno ci chiede così, ecco qualche idea per un successo garantito!
Pur essendo conosciuta, nelle sue diverse varianti, pressoché sull’intero suolo italiano, la polenta ha costituito, in passato, l’alimento di base della cucina povera in varie zone settentrionali alpine, prealpine, pianeggianti e appenniniche di Lombardia, Veneto, Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Trentino, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, regioni nelle quali è ancora piuttosto diffusa. La polenta è tradizionalmente cucinata anche in Toscana e nelle zone di montagna di Umbria e Marche, Abruzzo, Lazio e Molise.
Il cereale di base più usato in assoluto è il mais, importato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, che le dà il caratteristico colore giallo, mentre precedentemente era più scura perché la si faceva soprattutto con farro o segale, e più tardivamente anche con il grano saraceno, importato dall’Asia. Le prime testimonianze scritte di coltivazioni di mais in Italia fanno riferimento ai territori della Repubblica di Venezia. In un’annotazione alla seconda edizione del Delle navigationi et viaggi di Giovan Battista Ramusio (Venezia, 1554), commentando un testo del portoghese João de Barros (1496-1570), si afferma infatti che:
“La mirabile et famosa semenza detta mahiz ne l’Indie occidentali, della quale si nutrisce metà del mondo, i Portoghesi la chiamano miglio zaburro, del qual n’è venuto già in Italia di colore bianco et rosso, et sopra il Polesene de Rhoigo et Villa bona seminano i campi intieri de ambedui i colori”.
(In apertura foto di Riccardo Lettieri)
Polenta: la ricetta di base
La polenta viene prodotta cuocendo a lungo un ammasso semi-liquido costituito da un impasto di acqua e farina (solitamente a grana grossa) del cereale. La più comune in Europa è quella a base di mais, detto granoturco, cioè la classica “polenta gialla”. Questa si versa a pioggia nell’acqua bollente e salata, in un paiolo (tradizionalmente di rame), e si rimesta continuamente con un bastone di legno di nocciolo per almeno un’ora.
La farina da polenta è solitamente macinata a pietra (“bramata”) più o meno finemente a seconda della tradizione della regione di produzione. In genere la polenta pronta viene presentata in tavola su un’asse circolare coperta da un canovaccio e viene servita, a seconda della sua consistenza, con un cucchiaio, tagliata a fette, con un coltello di legno o con un filo di cotone, dal basso verso l’alto.
Il termine polenta deriva dal latino puls, una specie di polenta di farro (in latino far da cui deriva “farina”) che costituiva la base della dieta delle antiche popolazioni italiche. I Greci invece usavano solitamente l’orzo. Ovviamente, prima dell’introduzione del mais (dopo la scoperta dell’America), la polenta veniva prodotta esclusivamente con vari altri cereali come, oltre ai già citati orzo e farro, la segale, il miglio, il grano saraceno e anche il frumento, in misura minore, soprattutto in zone montane, si usano farine di castagne e di fagioli, dando origine a un impasto più dolce. Le polente prodotte con tali cereali sono più rare, specie in Europa.
Si sosteneva anche che il puls originario fosse costituito da una miscela che includeva semi di leguminose, forse anche spontanee. Essi sostengono che il termine inglese pulses, che indica i legumi in genere, origini infatti dal pre-romano pulus. L’etimologia inglese della parola conferma questa osservazione in quanto fa risalire il nome al XIII-XIV secolo per indicare genericamente i legumi, col significato di zuppa spessa. A questo proposito è da notare che è in uso, soprattutto in alcune regioni del Sud Italia, una polenta a base di fave, con la quale si accompagnano verdure come ad esempio la cicoria (noto come Macco di fave).


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