Proroga sino al 7 gennaio per la mostra nell’anno dedicato al Perugino

Proroga, fino al 7 gennaio 2024, di una mostra allestita in Palazzo Baldeschi al Corso a Perugia, collegata alle celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario della morte del Perugino

In realtà i progetti e gli eventi relativi all’ importante anniversario hanno già impegnato la città per tutto il 2023 e dato un forte impulso alla valorizzazione del suo patrimonio culturale, costituito dalle opere del grande maestro; il successo che ne è derivato ha successivamente indotto l’ente Fondazione Perugia al prolungamento della mostra preparata nell’antica residenza gentilizia del centro storico. Questa interessante notizia costituisce l’occasione per rivedere e approfondire la conoscenza di un’importante opera che il pittore umbro realizzò nella Sala delle Udienze del Nobile Collegio del Cambio di Perugia. Si tratta di un ciclo di affreschi il cui messaggio ammaestra -specialmente in un periodo tanto confuso e disorientante come il nostro- nel discernimento e nella comprensione circa le virtù e le qualità dell’uomo retto e onesto. Dunque non resta che immergersi, anche se brevemente, nel capolavoro che il grande artista dipinse in un periodo storico nel quale erano indubbi e spiccavano con grande chiarezza i requisiti richiesti agli uomini probi.

Pietro di Cristoforo Vannucci detto il Perugino e le 4 virtù cardinali

Il lavoro fu realizzato da Pietro di Cristoforo Vannucci detto “Il Perugino” tra il 1498 e il 1500 e addita gli attributi dell’uomo virtuoso secondo la concezione Rinascimentale permeata di umanesimo e di cristianesimo. In realtà la stessa concezione si rivela preziosa e valida anche per gli uomini dei nostri giorni e il Perugino, raffigurando nelle immagini del suo capolavoro ciò che gli uomini del suo tempo percepivano essere il bene e il buono, non può che trovarci in perfetta sintonia.

Il Collegio del Cambio era il luogo di riunione dell’Associazione dei cambiavalute nella Perugia medioevale. In quegli anni a Perugia esistevano ben 44 corporazioni di arti e mestieri e tra essi il Collegio del Cambio, che affidò a Pietro Vannucci la decorazione della Sala delle Udienze. Tuttavia nel progetto dell’opera e nella scelta iconografica dei soggetti da dipingere il Perugino si fece consigliare e guidare dal grande umanista e letterato Francesco Maturanzio, che gli suggerì le allegorie delle virtù.  Le prime virtù da considerare sono le quattro cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza.  Si chiamano “cardinali” perché sono come pilastri o “cardini” nella identità della persona che vuole vivere onestamente e secondo rettitudine. Già nell’antichità Platone aveva individuato quali fossero le virtù dell’uomo probo, successivamente fu Sant’Ambrogio a definirle “cardinali”. Di esse ci parla la Bibbia nel libro della Sapienza: “La sapienza ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza…essa insegna infatti la Temperanza e la Prudenza, la Giustizia e la Fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita”(Sap. 8, 2-8).

L’allegoria delle quattro virtù cardinali è dipinta in due lunette separate situate sulla parete lunga di sinistra rispetto all’ingresso del salone delle Udienze. Ogni lunetta considera due virtù cardinali ai cui piedi sono raffigurati tre personaggi dell’antichità, due romani e uno greco, che idealmente incarnano quella virtù. Agli affreschi delle virtù cardinali si aggiungono le lunette con gli affreschi delle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Queste ultime virtù presuppongono le precedenti ed armonizzano con esse, poiché solo la Fede, la Speranza e la Carità animando l’agire morale del cristiano vivificano e danno piena attuazione alle altre virtù umane.

Il concetto che gli affreschi intendono esprimere è che la “relativa perfezione” dell’essere umano sulla terra si ottiene unicamente attraverso l’accordo e la concordia tra le virtù individuate dal mondo antico greco/romano e le virtù cristiane. Del resto tale era il concetto diffuso in tutti gli ambienti culturali di quei tempi, nei quali vi fu una vera e propria ripresa delle idee neoplatoniche e tale era anche il pensiero di Francesco Maturanzio, il professore che collaborò con l’artista nella realizzazione del lavoro.

Gettando ora un rapido sguardo d’insieme sulle raffigurazioni degli affreschi possiamo anticipare alcune brevi considerazioni. Si nota innanzi tutto che lo scranno sul quale siede ogni singola virtù cardinale è costituito da una nuvola, ciò indica che le virtù risiedono nella parte alta, interiore e spirituale delle persone. Infatti le virtù sono disposizioni abituali dell’intelligenza e della volontà che regolano e indirizzano gli atti umani in conformità alla ragione e alla fede.

Ai fianchi delle virtù due putti reggono una tavola con scrittura latina, lingua che il Maturanzio riteneva più adatta agli uomini di cultura e con la quale scrisse quasi tutte le sue opere.

Tutti i personaggi rappresentati nelle lunette sono ritratti in maniera elegante e raffinata, essi trasmettono un’immagine serena e imperturbabile, quasi alleggerita dagli affanni terreni. L’aspetto nel quale sono immortalati è mite e dolcemente meditativo anche se austero. La loro posa è statica, nessuno di essi si muove o guarda gli altri e i loro occhi appaiono assorti in una quieta introspezione.  Il paesaggio di sfondo, per lo più costituito da dolci colline ondulate e senza asperità, è uno scenario indefinito e anonimo, senza tempo né luogo, che permette a chiunque lo guardi di riscontrare in esso il proprio ambito e il proprio posto. I colori dei vari dipinti risultano armoniosi e discreti, luminosi e vividi ma soffusi. Chiunque sia alla ricerca del bello attraverso l’arte, ammirando questi affreschi si sentirà sicuramente appagato e trasportato in una dimensione di pace e di equilibrio ideale. Dopo questa sommaria cornice introduttiva sulle virtù affrescate dal Perugino si può finalmente focalizzare l’attenzione sulle loro allegorie.

Nella prima grande lunetta della parete di sinistra notiamo le virtù della Prudenza e della Giustizia.

La PRUDENZA regge in mano uno specchio sul quale si arrotola un serpente. Essa è una virtù valutativa che impegna la ragione, il suo compito consiste nel prevedere le azioni future imparando dal passato e valutando il presente.

Lo specchio significa che l’attenzione è volta non solo a ciò che si ha di fronte, ma anche a quello che si ha alle spalle; esso simboleggia l’avvedutezza che ogni uomo deve usare per non farsi ingannare dal male. Il serpente costituisce un richiamo alle parole di Gesù: “Siate semplici come colombe e prudenti come serpenti” (vangelo di Matteo 10,16).

Il pannello posto lateralmente alla virtù e sorretto dai putti reca scritto in latino: “Che cosa procuri al genere umano, o dea? Orsù, dillo! Procuro che tu non compia cose frettolose di cui ti possa dolere. Insegno a ricercare il vero e le cause nascoste”.

La virtu’ della Prudenza quindi è vista non solo come l’atteggiamento di chi è avveduto, ma soprattutto come la virtù che dispone la ragione a cercare la verità, in ogni circostanza della vita.

I tre savi del mondo classico evocati come suo esempio e dipinti ai suoi piedi sono:

  • Fabio Massimo detto il Temporeggiatore, politico e generale romano che, grazie alla sua tattica be ben ponderata e tesa a logorare le forze nemiche, garantì la vittoria sui cartaginesi.
  • Socrate (nel centro) filosofo greco. Egli corrisponde a quanto scriveva Cicerone nel De officiis: “interiore indagatio atque investigatio veri” (= l’interiore ricerca e investigazione del vero).
  • Numa Pompilio, che per accedere al trono attese gli auspici favorevoli degli dei. A lui si attribuiscono le istituzioni religiose di Roma e la creazione del diritto sacro dal quale imparò la prudenza.

La virtù della GIUSTIZIA è raffigurata con una bilancia e una spada tra le mani.

La bilancia indica il saper soppesare ogni cosa, è simbolo di equilibrio, ponderatezza ed equità.  La spada è immagine del saper discernere e dividere con un taglio netto il bene dal male. Nella Bibbia si legge: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (lettera agli Ebrei 4,12-13).

Sul pannello scritto in latino al lato della virtù si legge: “Se i giusti Dei creassero tutti simili a questi tre (qui dipinti), in tutto il mondo non esisterebbe più né delitto, né male. Quando io sono onorata i popoli fioriscono sia nella pace, sia durante la guerra, e senza di me ciò che fu grande cade in rovina”. I tre personaggi dell’antichità raffigurati quali esempio di giustizia sono:

1)Marco Furio Camillo, militare e statista romano onorato col titolo di Pater Patriae.

La legenda narra che nell’assedio di Falerii egli rifiutò il tradimento di un maestro che offriva i suoi alunni come ostaggi.

  • Pittaco di Mitilene (nel centro), filosofo e politico greco che fece parte del gruppo dei sette Sapienti. Ritenne che il perdono fosse migliore della vendetta e sospettato di voler signoreggiare la città, lasciò l’incarico.
  • Marco Ulpio Traiano, considerato uno dei migliori imperatori romani e uomo di pace.

Si tramanda che già pronto a cavallo per un’impresa egli si fermò per dare giustizia ad una donna Dacia che lo supplicava per il figlio ucciso ingiustamente da un soldato. Per questo atto di bontà e giustizia Dante lo cita nel Purgatorio.

 

Nella seconda lunetta della stessa parete ammiriamo le allegorie della Fortezza e della Temperanza:

La virtù della FORTEZZA è rappresentata con scudo e mazza. Lo scudo è uno strumento di difesa: quando si è nella prova e si agisce per il bene esso simboleggia l’attitudine a non scoraggiarsi né abbattersi; indica anche la capacità di mantenere la fermezza necessaria per sostenere e sopportare l’insuccesso o le critiche più ingiuste.

La mazza sta a significare la capacità di colpire, non nel senso di fare il male quanto piuttosto nel senso di condotta energica e risoluta; essa caratterizza colui che prende decisioni serie e ferme, che si assume responsabilità e che porta a compimento un progetto o un’azione.  La Fortezza è la virtù della persona matura e affidabile.

Il pannello retto dai putti al suo fianco recita in latino: “Come grandi prove che ogni cosa cede sconfitta e abbattuta dai miei muscoli basterebbero questi tre uomini (qui dipinti). Io non temo nulla quando difendo la patria e i cari parenti e la morte che atterrisce gli altri mi giunge gradita”.  Gli esempi, che ai suoi piedi la incarnano sono:

  • Lucio Siccio Dentato, il legionario più decorato della storia militare romana.

Secondo la tradizione combatté 120 battaglie per le quali gli furono tributati grandi onori. Di acuta eloquenza e decisa moralità fu tribuno della plebe. Morì ucciso a tradimento su ordine dei decemviri.

  • Leonida (nel centro) il re spartano che combatté strenuamente alle Termopili.

Egli, resistendo eroicamente per tre giorni con trecento soldati fidati, riuscì a frenare l’avanzata dell’esercito persiano contro la Grecia. 3) Orazio Coclite, leggendario eroe romano.

Durante la guerra contro gli Etruschi difese valorosamente il ponte Sublicio sul Tevere, dando modo ai suoi compagni di distruggerlo alle sue spalle per arrestare l’avanzata nemica.

La virtù della TEMPERANZA miscela un liquido con due ampolle.

Il liquido sta a simboleggiare le passioni umane e se non ben miscelato può difettare per il troppo o per il troppo poco. La Temperanza pertanto può definirsi la virtù della moderazione.

La riflessione cristiana relativa a questa virtù stabilisce che il peccato può consistere sia in un eccesso che in un difetto, da ciò deriva che un soggetto può essere intemperante o perché troppo acceso dalla passione e dall’ira o, al contrario, perché indifferente a qualunque passione fino a trascinarsi in una vita di indolenza e accidia.

Sul pannello dipinto al lato della virtù si legge: “Dimmi, o dea, qual è la tua prerogativa? Regolo i costumi e modero le passioni dell’animo e, quando voglio, rendo gli altri uomini simili a questi. Seguimi e ti insegnerò il modo di superare te stesso con la ragione. Per quanto tu valga, ci sarà una vittoria più grande?”

I personaggi che la incarnano sono:

1) Publio Cornelio Scipione detto l’Africano, valente generale romano.

Egli sconfisse Annibale nella battaglia di Zama. Uomo valoroso e di carattere fermo è l’immagine di colui che mantiene un rapporto equilibrato con il potere. Accusato ingiustamente da Porcio Catone preferì ritirarsi in volontario esilio piuttosto che difendersi da un’accusa infamante.  2) Pericle, politico e militare ateniese (al centro). Attuò in Atene una forma avanzatissima di democrazia, come in nessun luogo del mondo antico. Noto come incorruttibile richiamò ad Atene il suo avversario Cimone che era stato scacciato dalla polis.

3) Lucio Quinzio Cincinnato, politico e militare romano.Dopo aver ricoperto importanti cariche nel governo della res publica ritornò senza rimpianti nei suoi campi, alla semplice vita di agricoltore.

Considerato che è buona cosa portare a termine ogni azione iniziata, procediamo nell’excursus sui dipinti del maestro Vannucci soffermandoci sulle virtù Teologali.

Il trattare queste virtù richiede una premessa: differentemente dalle virtù Cardinali, esse non possono essere ottenute con il solo sforzo umano e non derivano dal sentimento o dalla mera ricerca ma hanno  origine in Dio stesso e sono suo dono.

La virtù teologale della FEDE è la prima da considerare.

La sua allegoria è posizionata nella lunetta sinistra della parete di fondo del salone delle Udienze ed è costituita dalla Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor.

La fede non è un moto dell’anima che nasce dall’interno dell’uomo ma è Risposta! Così scrive papa Benedetto XVI: “La fede non è un prodotto della riflessione e neppure un cercare di penetrare nelle profondità del mio essere. Entrambe le cose possono essere presenti, ma esse restano insufficienti senza l’ascolto, mediante il quale Dio dal di fuori, a partire da una storia da Lui stesso creata, mi interpella”.  L’adesione alla Fede “prestando il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” (Dei Verbum 5) è la risposta che l’uomo deve offrire a Dio e consiste nel credere che Gesù è il Figlio prediletto, donato agli uomini per la loro salvezza.

La raffigurazione che il Perugino fa della Fede è gradevolissima per i colori armonici, luminosi e lievemente sfumati, oltre che per l’eleganza della posa dei corpi. Nel registro superiore del dipinto Gesù è ritratto in una mandorla dorata. Il frutto della mandorla, come generalmente il seme, è un chiaro simbolo di vita, pertanto costituisce naturale attributo per Colui che è la vera Vita. Gesù si mostra fulgido nello splendore della sua luce perché è lui stesso luce. Il suo aspetto è glorioso, raggiante e benevolo; le sue braccia sono aperte e accoglienti e le mani rivolte in alto, verso il Padre. Lo sguardo è diretto in basso, verso la terra e gli uomini. Il candore della sua veste rappresenta la vita nuova in Dio.  Ai lati di Cristo sono raffigurati in ginocchio Mosè ed Elia che rappresentano la Legge e i Profeti, a significare che tutto l’Antico Testamento era orientato in vista della venuta del Figlio di Dio.

Sullo sfondo azzurro si legge “HIC EST FILIVS MEVS DILECTVS”, ed è questa la Rivelazione nei confronti della quale tutti gli uomini sono interpellati.

Nel registro inferiore dell’affresco, quasi collegato a quello superiore dalla punta della mandorla dorata, è raffigurato in maniera essenziale e scarna il monte Tabor sul quale gli apostoli Giovanni, Pietro e Giacomo appaiono meravigliati ed abbagliati dalla luce che emana Gesù. I loro sguardi sono fissi su di Lui a significare che solo guardando a “colui che è la Via, la Verità e la Vita” l’uomo raggiunge la vera beatitudine. L’iscrizione alle loro spalle riporta le parole piene di entusiasmo con le quali Pietro professa che è bello stare con Gesù: “DOMINE BONVM EST NOS HIC ESSE”.

La CARITA’ è dipinta nella lunetta destra della parete di fondo ed è rappresentata dalla Natività.  Col termine Carità (Caritas in latino, Agape in greco) si indica l’amore fraterno, disinteressato e gratuito, che è diverso dal semplice sentimento di solidarietà o altruismo (Philia).

Per i cristiani la Carità non è opera dell’uomo ma innanzi tutto di Dio che ha tanto amato gli uomini da donare loro il suo unico Figlio. Da quell’amore smisurato deriva l’amore che ogni cristiano deve avere nei confronti di Dio e del suo prossimo. La Carità costituisce il vertice più alto dell’animo umano poiché imita perfettamente la natura del Creatore, amore autentico.

Nel rappresentare questa virtù il Perugino usa l’immagine della natività e pone i personaggi in ginocchio attorno alla figura centrale del piccolo Gesù, anche i loro volti e gli sguardi sono orientati verso di Lui. La Vergine, san Giuseppe e i pastori mirano, contemplano e adorano il bambino, perfino il bue e l’asinello, ritratti alle spalle di Maria, accomunandosi ai personaggi umani e quasi imitandoli nell’atteggiamento, sembrano partecipare alla preghiera mentre guardano il bambino con aria mansueta. L’abito di Maria ha lo stesso colore sanguigno del lenzuolino sul quale è deposto Gesù, a significare l’unione di carne e di sofferenza (nell’obbedienza al Padre) tra madre e Figlio.

Si rivela evidentemente significativo il luminoso richiamo cromatico tra la veste di Giuseppe e il manto della Vergine, segno di concordia e unione tra essi, veri sposi seppure nella castità. Infine, il bel nastro colorato che risalta, gradevolissimo e garbato, tra i lunghi capelli della giovane madre ci aiuta a riscontrare come esso costituisca un particolare elemento molto apprezzato e adoperato dall’artista in tutto il suo ciclo pittorico. La bella loggia ariosa con le due colonne riccamente ornate rievoca un tempio; essa costituisce la cornice della scena principale e la sua architettura prospettica funge da guida nell’indirizzare la vista verso lo sfondo nel quale, in un paesaggio ameno e lacustre, si riconoscono il lago Trasimeno ed una sfumata cittadina. Tutto intorno l’occhio si perde sulle morbide colline e sui pascoli, dove si intravedono alcuni pastori con il loro gregge e non può passare inosservato il cane accucciato ai loro piedi, tocco felice del grande artista.

Nel registro superiore del dipinto tre angeli sono ritratti al centro e su una nuvola, la loro posa è aggraziata ed elegante mentre cantano in coro l’inno scritto sul nastro che reggono tra le mani e riportato in alto a lettere dorate: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”.

Nel registro inferiore, al centro della rappresentazione il piccolo Gesù poggiato a terra è dipinto nudo. Egli volge lo sguardo dolcissimo verso gli spettatori dell’affresco, nella muta richiesta di essere accolto, abbracciato e imitato. E’ l’immagine della “Kenosis” cioè dello svuotamento del Logos divino per incarnarsi. “Gesù pur essendo Dio, svuotò sé stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Filippesi,2, 5-7).

Il senso che trasmette l’allegoria è chiaro: tutto l’Amore si indirizza e si concentra in quel bambino. Non risiede nei sentimenti umani o nelle emozioni, neppure nei pensieri o nell’idea che si ha di Dio ma unicamente nell’incontro con Gesù. Solo come conseguenza di quell’incontro la virtù della Carità potrà suscitare nell’uomo l’attitudine a chinarsi su ogni creatura e cosa creata.

L’ allegoria della SPERANZA è affrescata nella lunetta di fondo della parete destra del salone e vede Dio padre tra gli angeli sopra un gruppo di Profeti e Sibille. La sua rappresentazione segue e non precede -come avviene abitualmente- l’affresco della Carità, manifestando in tal modo la funzione di coronamento e supporto di questa virtù nei confronti delle altre virtù teologali.

La Speranza, come la Fede, ha un suo particolare contenuto: non si spera “genericamente” in qualcosa o in qualcuno ma si spera nel Padre che ha promesso il Figlio e il suo Amore. Questa specifica promessa di Dio costituisce il fondamento della Speranza e il Perugino la interpreta in maniera inequivocabile attraverso la rappresentazione della virtù.

Nel registro superiore dell’affresco ammiriamo un solenne Dio Padre in un nimbo centrale dorato e luminoso. Il suo volto appare benevolo mentre con la mano destra benedice e con la sinistra regge la Terra. Intorno a Lui un coro di cherubini e angeli svolazzanti gli rendono gloria.

Nel registro inferiore è dipinto un paesaggio ideale, bucolico e senza tempo, costituito da verdi colline punteggiate di alberelli, su una di esse e in lontananza si intravede l’abbozzo di una cittadina.  Il paesaggio così ritratto costituisce lo sfondo ideale sul quale il pittore raffigura i messaggeri della promessa divina collocati in due gruppi simmetrici: a sinistra sei Profeti rappresentanti del mondo religioso/cristiano, a destra sei Sibille rappresentanti del mondo pagano.

Tutti i soggetti possono essere individuati grazie alle iscrizioni alla base dell’affresco e sono avvolti in un cartiglio sul quale è riportata una dicitura.

Sui cartigli dei Profeti si legge una citazione del vecchio Testamento che preannuncia il Salvatore:

  • Isaia: “Ecco la vergine concepirà” (Is.7,14)
  • Mosè: “Nascerà una stella da Giacobbe” (Numeri, 24,17)
  • Daniele: “Vedrò” (Daniele 7,13-14)
  • Davide: “La verità è sorta dalla terra”
  • Geremia (?)
  • Salomone: “E’ stato trafitto” (Is.53,5)

Tutto questo gruppo costituisce la Parola biblica riletta alla luce dell’Incarnazione di Cristo preannunciata nell’Antico Testamento, che fu scritto in vista di Lui.

Le promesse di Dio però furono rivolte a tutti gli uomini fin dall’ inizio e le Sibille ne costituiscono testimonianza. Infatti secondo il pensiero cristiano anche la sapienza umana classica ha ricevuto in dono da Dio i “semi del Verbo” che misteriosamente hanno prefigurato la venuta di Cristo. Le Sibille, ritratte in maniera attraente nella loro posa aggraziata, sono avvolte in nastri contenenti una profezia, storicamente vera o presunta:

  • La Sibilla Eritrea: “Tutto facendo con il Verbo, con la Parola”
  • La Sibilla Persica: “Verrà la luce”
  • La Sibilla Cumana: “Resurrezione dei morti”
  • La Sibilla Libica: “Fiorirà”
  • La Sibilla Tiburtina: “Con cinque pani”
  • La Sibilla Delfica: “Giudicherà i morti”

 

Constatato che l’accordo tra le antiche virtù classiche e le virtù derivate dal cristianesimo trova la sua sintesi nel ciclo degli affreschi della Sala delle Udienze nel Nobile Collegio del Cambio, ne consegue necessariamente il sottolineare che i Consoli (così denominati secondo l’uso romano antico), ovvero i membri che costituivano “l’arte del Cambio”, erano magistrati. Nel nostro caso essi rivestivano la figura di “Uditori” e si riunivano in “Udienza” nella sala a loro dedicata nel Palazzo dei Priori di Perugia, dove svolgevano le loro funzioni. Ad essi, prima che ad altri, erano dirette le allegorie; nei loro confronti, prima che di altri, le allegorie delle virtù potevano fungere da esempio, richiamo e monito; essi, prima che altri, dovevano costituire un nucleo di uomini probi che, sull’esempio dei personaggi raffigurati, esercitassero rettamente e onestamente le funzioni alle quali erano preposti.

Sicuramente l’insigne professore e politico Maturanzio, nel suggerire a Pietro Vannucci il programma iconografico della Sala delle Udienze, sarà stato ispirato oltre che dal messaggio cristiano anche dal De Inventione di Cicerone, nel quale il grande oratore affermò che la saggezza politica si fonda sull’esercizio delle virtù, definita come una “disposizione della mente secondo natura e ragione”. Concludiamo ora questo affascinante tour virtuale tra le allegorie delle virtù ma nell’attesa di ammirare di persona i capolavori del “meglio maestro d’Italia” (secondo le parole contenute in una lettera del Novembre 1500 di Agostino Chigi) è senz’altro conveniente volgere un pensiero di gratitudine al grande, colto e raffinatissimo Pietro Vannucci, perché mediante la bellezza delle sue opere ha additato agli uomini le caratteristiche che devono possedere e le virtù che devono esercitare, se vogliono accostarsi ad un ideale concetto di armonia, equilibrio e perfezione.

M.S. Spiniello

redazione grey-panthers:
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