Selma

regia Ava DuVernay sceneggiatura Paul Webb cast David Oyelowo (Martin Luther King) Tom Wilkinson (Lyndon Johnson) Cuba Gooding jr (Fred Gray) Carmen Ejogo (Coretta King) Tim Rooth (George Wallace) Oprah Winfrey (Annie Lee Cooper) John Doar (Alessandro Nivola) durata 127′

Un polpettone politicamente corretto, più televisivo che cinematografico, e più inglese che americano. Onesto, equilibrato, sobrio, ben dosato tra affari pubblici e privati tormenti, questo frammento della vita di Martin Luther King e della lotta dei neri americani per la completa emancipazione, scorre per due ore e passa sullo schermo senza infamia e senza guizzi d’ingegno, al servizio di una nobile causa: ricordare. Ricordare una storia ancora in parte da scrivere visto quanto è successo pochi mesi fa nelle metropoli e nel Profondo Sud degli States tra poliziotti (bianchi) e giovani (o bambini) di colore. Il film ci riporta nell’Alabama del 1965, dove il governatore (democratico) George Wallace impedisce nei fatti ciò che ai neri spetta per legge e reprime nel sangue ogni manifestazione pubblica di dissenso. Alla Casa Bianca siede Lyndon Johnson, più occupato (e preoccupato) della politica estera, ossia della Guerra in Vietnam, che del fronte interno su cui emerge la figura di King, leader carismatico nonché fresco vincitore del Nobel per la pace. Il movimento non violento di King sostiene la popolazione nera della cittadina di Selma nella sua lotta dando vita a una celebre marcia verso Montgomery, la capitale dello stato, con migliaia di partecipanti di tutte le razze e le religioni venuti da ogni parte degli Usa. Nella produzione del film c’è lo zampino di Oprah Winfrey, ossia di una donna coloured tra le più potenti d’America che si ritaglia anche una particina, ma il cast (Oyelowo, Roth, Wilkinson) e il produttore Kleiner sono inglesi. Come se gli Stati Uniti non fossero ancora pronti per scrivere al cinema la loro storia recente. Specie nelle sue pagine più “nere”.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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