Arriva al cinema “Hotel Gagarin”, di Simone Spada

sceneggiatura Simone Spada, Lorenzo Rossi Espagnet cast Claudio Amendola (Elio) Luca Argentero (Sergio) Giuseppe Battiston (Nicola Speranza) Barbora Bobulova (Valeria) Silvia D’Amico (Patrizia) Caterina Shulha (Kira) Philippe Leroy (Virgil Kabokian) Hovhannes Azoyan (Aram) Marjan Avetisyan (Nazemi) Tommaso Ragno (Franco Paradiso) genere commedia prod Ita, 2018 durata 93 min

 

Buon ultimo in ordine di tempo, con questa sua opera prima Simone Spada si aggiunge alla schiera dei Luca Miniero, Massimiliano Bruno, Francesco Bruni, Paolo Genovese & C., ossia al gruppetto di registi che ricalcano le orme dei Franciolini, dei Mattoli, dei Poggioli, dei Mastrocinque, iniziatori di quell’italica commedia cinematografica del tempo che fu basata sul garbo, sulla leggerezza, sull’ironia. “Alle antilopi” (direbbe Frassica) di quella più greve, volgarotta e caciarona dei Monicelli, dei Salce, dei Polidoro, degli Steno, includendo naturalmente gli eredi Vanzina. Va detto che il confine tra le due commedie è sempre stato molto labile, ma sta di fatto che, dopo anni di “vanzinismo”, oggi il cinema italiano sembra aver ritrovato la via del sorriso al posto del ghigno, del sospiro al posto del rutto, del tenero sguardo al posto dell’occhiataccia. Così è questo “Hotel Gagarin” che si apre con la storica frase del primo uomo che vide il nostro pianeta dallo spazio: «Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini». Eppure proprio le frontiere e i confini, appena comincia la storia, sono il motore della vicenda: una troupe cinematografica che sta facendo i sopralluoghi per un film viene bloccata da alcuni militari in assetto di guerra e riportata alla base. Un fatiscente hotel in puro stile real-socialista chiamato con il nome dell’astronauta russo. Siamo in Armenia, la repubblica ex sovietica del Caucaso, sulle rive del lago Sevan ricoperte di neve. Un flash back ci riporta a due mesi prima, nello studio di un europarlamentare maneggione che riceve il classico faccendiere con cui spartirsi la stecca di un finanziamento pubblico. Oggetto della pioggia di denaro: un film da coprodurre appunto con l’Armenia. Autore del copione il prof. Nicola Speranza, ineffabile docente di storia in un liceo romano col pallino del cinema, che usa i film anche per le sue lezioni. Sulla lavagna campeggia infatti il nome del regista Aleksandr Sokurov e il titolo del suo “Arca russa” (2002). La truffa prevede il reclutamento di una squinternata banda di tecnici e attori raccogliticci da trasferire nel paese caucasico per poi mollarli lì e scappare con il malloppo. Garante dell’operazione è Valeria, un’amica del faccendiere. Tutto va secondo i piani fino a quando la contesa frontiera tra Armenia e Nagorno-Karabakh rimescola le carte e riporta tutti all’hotel del titolo. Da qui in poi il cinema di Spada si concentra sull’essenza del cinema stesso, fabbrica di sogni per eccellenza. Con una sfilza innumerevole di citazioni cinetecarie, inclusa una partita a scacchi con un signore in nero. E così l’armata brancaleone di falliti ridà un senso alla propria vita, ritrova sorriso e dignità. Happy end, baci, abbracci e cotillon per tutti. Spettatori inclusi. Proprio come ai bei tempi della commedia ultralight che fu.

 

E allora perché vederlo?

Perché se sognare non costa nulla, farlo al cinema costa solo il prezzo del biglietto.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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