Da vedere al cinema “Rifkin’s Festival”, di Woody Allen

tit. orig. id sceneggiatura Woody Allen cast Wallace Shawn (Mort Rifkin) Gina Gershon (Sue) Louis Garrel (Philippe) Elena Anaya (Jo Rojas) Sergi López (Paco) Christoph Waltz (la Morte) Steve Guttenberg (fratello di Mort) Tammy Blanchard (Doris) Richard Kind (padre di Mort) Douglas McGrath (Gil) genere commedia lingua orig inglese con qualche frase in spagnolo prod Usa, Ita, Sp 2020 durata 86 min.

Con questo film l’ottantacinquenne regista newyorkese celebre le sue nozze d’oro con la settima arte, nel senso che raggiunge il cinquantesimo titolo di una filmografia iniziata nel 1966, con Che fai, rubi? E la ricorrenza consiste essenzialmente in un omaggio al cinema che fu e a quello dei maestri europei in particolare, tanto cari all’autore. Omaggio innestato su una classica, esilissima favoletta alla Allen ambientata nel corso del festival del cinema di San Sebastián, la cittadina balneare basca equivalente iberico di Venezia, Cannes, Berlino e Locarno. Mort Rifkin, docente di cinema in pensione, è sposato con Sue, addetta stampa di una major hollywoodiana incaricata del lancio di un film (e del suo regista, Philippe) che la critica corriva ha esaltato, ma che il buon vecchio Mort trova pretenzioso e inconsistente.

Alle schermaglie cine-coniugali si sovrappongono ben presto due storie d’amore, più suggerite che esibite: tra Sue e Philippe e, platonicissima, tra Mort e la dottoressa Jo Rojas, classica donna alleniana incasinata quanto mai nella sua turbolenta relazione con Paco, pittore piuttosto dozzinale, ma amante decisamente fuori dall’ordinario. Il tutto, come dicevamo, serve da pretesto per sciorinare garbate parodie di capisaldi della storia del cinema, a partire da Quarto potere di Orson Welles ai capolavori anni ‘60 di Truffaut (Jules et Jim), Godard (Fino all’ultimo respiro), Buñuel (L’angelo sterminatore), Fellini (Otto e ½) e un bel mazzetto di citazioni dall’amatissimo Bergman (Il settimo sigillo, Il posto delle fragole e Persona). Allo spettatore cinefilo sono proprio queste “riletture” che piacciono di più. Non solo per il gusto di confrontare, nella propria memoria, l’originale alla reinterpretazione, ma proprio per godere il piacere di verificare come tali memorabili sequenze servano all’autore per sviluppare la sua storia e risultino funzionali al suo percorso narrativo. Ecco allora che la slitta e la boccia di vetro di Welles, la folla alle terme di Fellini, la corsa in bici di Truffaut, il gioco delle lenzuola di Godard, il cespuglio e la casa dell’infanzia del prof. Borg o la partita a scacchi con la morte di Bergman si rivitalizzano per mostrare come davvero il cinema sia “anche” un’arte oltre che un sacco di altre cose: intrattenimento, fenomeno di costume, fabbrica del consenso, oppio dei popoli, spazzatura e così via. Citazione d’obbligo per il mago della luce Vittorio Storaro capace di esaltare atmosfere e scorci della città fastivaliera e dei suoi pittoreschi dintorni nonché di rielaborare con incredibile suggestione le atmosfere dei film d’antan adattandole al narrato e agli interpreti del film di Allen. Ultima raccomandazione: da vedere rigorosamente in lingua originale con i sottotitoli. Sarebbe superfluo dirlo, ma purtroppo, siamo in Italia, la Basutoland del doppiaggio. Con tutto il rispetto per il Basutoland.

 

E allora perché vederlo?

Perché è una bella lezione di cinema.

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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