Ernest Hemingway, lo scrittore che odiava il cinema

La targa è ben visibile sulla parete di un bel palazzo d’epoca di Milano. Siamo in via Armorari a due passi da piazza Duomo e non tutti i milanesi sanno che in quel palazzone elegante, oggi sede di banche e società, ha vissuto un grande romanziere del Novecento. “Nell’estate del 1918 – è scritto sulla targa- in questo edificio, adibito a ospedale dalla Croce Rossa Americana, Ernest Hemingway ferito sul fronte del Piave, fu accolto e curato, nacque così la favola vera di Addio alle armi. Nato il 21 luglio 1899 a Oak Park sul lago Michigan, il futuro scrittore allo scoppio della Prima Guerra Mondiale tenta di arruolarsi come volontario, ma a causa di un difetto alla vista, è inviato al di là dell’oceano come autista di ambulanza. Il 9 luglio 1918 a Fossalta nel Piave in una terribile notte di fuoco viene ferito gravemente da alcune schegge di mortaio. Ricoverato a Milano è curato dalla bella infermiera d’origine tedesca Agnés von Kurowsky di cui s’innamora ricambiato. Dopo una tranquilla convalescenza (le foto lo ritraggono in un caffè di Galleria Vittorio Emanuele), torna in prima linea, ma si ammala nuovamente ed è quindi congedato e rimpatriato. A Genova la coppia di innamorati si salutano per l’ultima volta. Ernest Hemingway dieci anni più tardi racconterà nel suo libro Addio alle armi la sua storia sentimentale riscuotendo un grande successo editoriale. I lettori sono attratti dalla sua scrittura rapida, incisiva, limpida, quasi cinematografica, risultato della sua attività di cronista esercitata per diversi anni. Nel 1932 la Paramount acquista i diritti del libro e affida al regista Frank Borzage la realizzazione sul grande schermo della storia inventata dal romanziere. Protagonisti del film saranno Gary Cooper, ormai un divo affermato a Hollywood e di Helen Hayes, attrice teatrale che definirà il suo partner “l’uomo più bello che ho mai visto”. La vicenda sentimentale tra il tenente Frederic Henry e l’infermiera inglese Catherine Barkley esplosa tra le mura di un ospedale, piace molto agli spettatori che trovano commovente fino alle lacrime il finale della pellicola con la donna ormai agonizzante tra le braccia dell’ufficiale (per lei il tenente ha disertato, mentre nelle strade si sta festeggiando la fine della guerra).

“Per chi suona la campana”, Gary Cooper e Ingrid Bergman

Due Oscar per la fotografia e per il suono e incassi da capogiro premiano la pellicola. Addio alle armi arriverà sui nostri schermi solo nel 1948 censurato e proibito dal fascismo irritato dalle sequenze dell’esercito italiano in rotta a Caporetto ritenute insopportabili dal regime di Mussolini. Nel 1958 il produttore David O. Selznick su sceneggiatura di Ben Hecht affiderà a Charles Vidor la regia di un remake interpretato da Jennifer Jones e Rock Hudson con la partecipazione di Vittorio De Sica nel ruolo di Rinaldi, l’amico italiano del protagonista. Al suo fianco anche Alberto Sordi nei panni di un cappellano militare pronto per partecipare due anni dopo a La grande guerra di Monicelli con Vittorio Gassman. Ernest Hemingway, secondo Emanuela Martini “il più cinematografico degli scrittori del Novecento, per stile di vita e per romanzi e racconti divenuti soggetti di film”, manterrà per tutta la vita un cattivo rapporto con Hollywood, luogo da lui considerato sede di tutti i faccendieri senza scrupoli. Per il romanziere la trasposizione al cinema delle sue opere è stata quasi sempre vissuta come uno stupro, una falsa rappresentazione del suo pensiero. Noto è il caso di Per chi suona la campana, tratto dal celebre romanzo incentrato sull’eroica epopea del popolo spagnolo in lotta contro la prepotenza fascista. Nel 1943 Sam Wood dirige una pellicola realizzata in un moderno technicolor sceneggiata da Dudley Nichols e interpretata ancora da Gary Cooper, Ingrid Bergman, Katina Paxinou e Akim Tamiroff. Il risultato artistico appare per molti disastroso perché il film è incentrato sulla storia d’amore del rivoluzionario americano Robert Jordan detto Inglés, e di Maria, la ragazza spagnola seviziata dai falangisti e “adottata dai partigiani repubblicani. Un amore, quello della coppia, che non avrà futuro. In Per chi suona la campana manca del tutto il versante politico e anche i personaggi sullo sfondo della vicenda, i combattenti nelle file repubblicane, sono dipinti come un gruppo di pittoreschi zingari con i volti di tanti ottimi caratteristi hollywoodiani. Hemingway dopo aver visionato l’opera, darà in escandescenze soprattutto nei confronti di Sam Wood considerato ovviamente il maggior responsabile di questo disastro. Per molti anni lo scrittore continuerà a maledire il povero regista il cui solo nome gli provocava attacchi di rabbia. Perfino Gary Cooper, amico da molti anni di Ernest, farà molta fatica a riconquistare il suo affetto e la sua stima. Nel 1944 tocca a Howard Hawk, aiutato da un’ottima sceneggiatura firmata da Jules Furthman e William Faulkner, la regia di Acque del sud tratto dal romanzo breve Avere e non avere, storia di Harry Morgan (Humphray Bogart), capitano di un peschereccio ai Caraibi nell’ estate del 1940, la cui professione è quella di portare a pesca i turisti americani nella Corrente del Golfo. Harry conosce Maria Browning (Lauren Bacall), moglie di un patriota francese gaullista in lotta con la Repubblica di Vichy. Per denaro Harry deve portare i due in Martinica, ma si invaghisce della donna. Alla fine della lavorazione Bogart e Bacall si sposeranno diventando fino alla morte di lui una delle coppie più adorate di Hollywood. La pellicola, una sorta di nuova Casablanca, non convince i critici che ritengono il tema della Resistenza antifascista soffocato dalla vicenda sentimentale dei due protagonisti. Nel 1950 la Warner Bros incarica Michael Curtiz, il regista di Casablanca, di dirigere Golfo del Messico da un racconto dello scrittore, con John Garfield (un attore in quel tempo già indagato dalla Commissione per le attività antiamericane), nel ruolo di un antieroe incaricato di portare in Messico un uomo molto ricco e la sua compagna.

“Acque del sud”

Nel 1945 è il lungimirante produttore americano Mark Hellinger che decide di portare sullo schermo uno dei 49 racconti di Hemingway. Si tratta di The killers (I gangsters nell’edizione italiana) la cui regia viene affidata a Robert Siodmak con l’esordiente Burt Lancaster e l’affascinante Ava Gardner. Siamo in un paesino del New Jersey nel quale si è rifugiato Pete Lunn, detto Lo Svedese, un ex pugile, ma eliminato da due assassini professionisti arrivati dalla città. Un agente investigativo delle assicurazioni ha il compito di rintracciare gli eredi del defunto che ha lasciato una polizza di duemilacinquecento dollari e scoprire il perché della sua morte. Anni prima Pete aveva partecipato con alcuni complici ad una rapina, ma poi era stato tradito dalla donna del capo della gang di cui si era innamorato. Il film ottiene un successo strepitoso e lancia Burt Lancaster come il nuovo divo del cinema americano del dopoguerra. I gangsters avrà anche un remake nel 1964 firmato da Don Siegel, Contratto per uccidere, l’ultima prova cinematografica di Ronald Reagan, con John Cassavetes, Angie Dickinson e un memorabile Lee Marvin nei panni di uno spietato killer vestito di nero con occhiali scuri e pistola con silenziatore.  Nella moltitudine di film ispirati all’universo letterario di Hemingway, i più noti sono Il sole sorgerà ancora, 1957 di Henry King con Tyron Power, tratto da Fiesta del 1926, dedicato alla “generazione perduta” degli intellettuali yankée trasferitisi a Parigi come Dos Passos, Henry Miller, Fitzgerald, Pound, lo stesso Hemingway e altri; Il vecchio e il mare,  1958 per la regia di John Sturges interpretato da Spencer Tracy nel ruolo del povero pescatore  cubano in lotta con un pesce spada; Le avventure di un giovane, 1962 diretto da Martin Ritt (un altro dei 49 racconti), la storia di un  aspirante scrittore che gira il mondo per conoscere la vita. In un ruolo marginale, ma prestigioso, quello di un pugile in disarmo, Paul Newman dà prova di una performance molto significativa. Ernest Hemingway muore tragicamente il 2 luglio 1961 lasciandoci in eredità un patrimonio letterario immenso. Il suo rapporto con il mondo del cinema continuerà fino alla fine ad essere burrascoso e infelice. La sua incapacità di accettare la trasposizione sul grande schermo delle sue opere (spesso anche con ragione), fa parte del suo personaggio, del suo carattere di intellettuale ribelle e provocatorio che ancora oggi a distanza di quasi sessant’anni anni dalla sua scomparsa, è al centro di tante biografie, saggi e riflessioni culturali. 

“Addio alle armi”

 

Pierfranco Bianchetti:
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