“Teatri chiusi, ma non invisibili”, chiede Andrée Ruth Shammah, l’anima del “Franco Parenti”

Abbiamo letto tutti della sua presa di posizione sulla chiusura dei teatri. Abbiamo anche sentito altri riscontri forse meno temerari del suo. Vorremo da lei una precisazione e un approfondimento sul concetto.

“Io non discuto un’Ordinanza, perché di per sé è un’Ordinanza sulla quale non c’è niente da dire: si chiude, fine! Io dico semplicemente che non si deve chiudere con leggerezza, come se niente fosse, non si chiude essendo completamente invisibili ai media, giornali, televisioni, Tg. Si parla della chiusura delle scuole, dei musei ma non si sente mai pronunciare la parola teatro; si crede che i teatri muovano un piccolo numero di persone, quindi che siano aperti o chiusi non fa differenza.

Invece nei teatri a Milano, Scala, Piccolo Teatro, Franco Parenti, Elfo Puccini e tutte le altre sale, come nelle sale da concerto e nei cinema, tra le persone che fanno spettacolo e musica, tra chi ci lavora e tra chi ha un contatto diretto con tutte queste sale, si muovono dei numeri importanti. Prendo ad esempio chi ha garage a pagamento nella prossimità del Teatro Parenti, che non hanno clienti in queste sere di chiusura, o chi ha locali di ristorazione come bar e ristoranti qui vicino a via Pierlombardo, ma anche nei pressi degli altri teatri e cinema milanesi che non vedono più nessuno! Nelle serate normali avevano avventori prima e dopo lo spettacolo…

Che questa massa di persone sia una folla importante in città, che faccia parte della vitalità della città stessa è un dato di fatto. Io sottolineo quindi che dire “chiudiamo” come se niente fosse non va bene, perché sottolinea la poca considerazione che si ha del nostro settore. Ho dedicato 40 anni della mia vita a far uscire le persone da casa, a non farle stare davanti alla televisione, a portarle nelle sale del teatro: ora si dice “si chiude, poi si vedrà se stare ancora chiusi”, come se fosse un dettaglio ininfluente. Invece è molto importante, ha molta influenza sull’anima, perché non sono solo i corpi che dobbiamo difendere, ma anche il nostro essere interiore.

Ribadisco: non bisogna disubbidire alle ordinanze, ma dico semplicemente che si sappia che una scelta forte, una cosa che modifica profondamente le abitudini di una città. Pensiamo a Londra, dove andare a teatro è un’abitudine consolidata e quasi quotidiana, come cambierebbe volto senza spettacoli! Voglio solo dare importanza e visibilità alla decisione presa, non sono così sconsiderata da non capire la valenza della direttiva ministeriale”.

 

Qualche sala di Milano e non solo ha scelto per queste giornate così particolari di utilizzare lo streaming, facendo recitare lo spettacolo in cartellone a porte chiuse e trasmettendolo online. Perché secondo lei, che ha profonda conoscenza della recitazione e di tutti i meccanismi che la governano, questo non si può definire teatro?

Perché non è un’esperienza fisica, mentre il teatro lo è. La recitazione è un’esperienza di vicinanza ad altre persone, tra l’attore e chi è seduto in platea. Questa esperienza non può essere quindi vissuta in un mondo di tecnologia streaming. Abbiamo ancora qualche giorno prima che si decida tutto: speriamo ovviamente che questa vicenda finisca, che si risolva tutto e poi nel caso faremo delle valutazioni più specifiche. Certo che in questo momento di emergenza può avere senso l’uso della tecnologia, ma non è la stessa cosa, non è teatro!”.

redazione grey-panthers:
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