I dischi del mese: aprile ’14- 1

Juan Crisostomo de Arriaga

The complete string quartets on period instruments – La Ritirata – Glossa (76’39)

Nato un 27 di gennaio esattamente 50 anni dopo Mozart e battezzato dal padre organista con i primi due nomi del Divino al quale tanto sarebbe somigliato nella sua precocità, Juan Crisostomo de Arriaga fu una stella filante di incomparabile splendore nel cielo della musica pre-romantica. Animato da quell’urgenza nella creazione caratteristica del genio che sente che il suo itinerario terreno sarà breve, Arriaga già a 9 anni compone un Quartetto per archi che presenterà suonando la parte di secondo violino. A 11 anni scrive un Saggio di ottetto dal titolo Nada y mucho (Nulla e molto) per un’organico originale, credo unico nella storia della musica, composto da un quartetto d’archi, contrabbasso, chitarra, tromba e piano. E così via, musica liturgica, sinfonica – quasi tutta perduta – e da camera ed opera lirica (Los esclavos felices di cui si è ritrovato qualcosa) sino a questi tre Quartetti per archi, scritti due anni prima di morire, a soli 18 anni, quando già insegnava armonia e composizione al Conservatorio di Parigi.

Si è parlato, per la musica di Arriaga – e sopratutto per quella da camera – di Mozart, di Haydn, di Beethoven e Schubert, ma al di là di qualsiasi speculazione musicologica, quel che lo accomuna a questi compositori è il genio folgorante, la sensazione immediata, al di là di qualsivoglia riferimento culturale, di una manifestazione miracolosa, di una rivelazione ispirata da un altrove indecifrabile. E la versione che di questi Quartetti ci propone La Ritirata è tutta intessuta da questo misterioso e pur evidentissimo fascino, in una preziosa ed esaltante fedeltà alle rare tracce terrene che del suo genio ci restano.

Per la sua registrazione di questi capolavori, La Ritirata ha seguito, tra l’altro, i consigli dati da Pierre Baillot – professore di Arriaga a Parigi ed autore del trattato L’art du violon – non soltanto per quel che riguarda le ornamentazioni, i colpi d’archetto e le articolazioni, ma per il vibrato «un potente mezzo espressivo, ma che, ove se ne abusi, perde la sua carica emotiva e denatura la melodia», e – sopratutto e per la prima volta – per la disposizione degli strumentisti del quartetto. In occasione delle serate musicali – che più ancora dei concerti erano il luogo di presentazione di questo tipo di composizioni – gli interpreti si sedevano in cerchio attorno ad una tavola-leggio sulla quale erano posati gli spartiti, mentre il pubblico era disposto tutt’intorno. Baillot descrive nel suo trattato le dimensione esatte della tavola (circa un metro di larghezza e sollevata da terra di 70 centimetri) per permettere agli strumentisti di essere il più vicino possibile l’uno all’altro potendosi parlare all’orecchio durante l’esecuzione (ma penso che quest’ultimo consiglio si riferisse sopratutto a delle prime letture delle opere da parte di dilettanti, non a musicisti che avessero avuto tutto il tempo necessario alle prove ed a stabilire un accordo nell’interpretazione …).

Josextu Obregon, fondatore del Quartetto La Ritirata di cui è il violoncellista, ci assicura, tuttavia, che durante la registrazione gli strumentisti non hanno avuto bisogno di parlarsi suonando; il solo effetto di questa inedita disposizione è quindi soltanto l’evidente intimità del suono dell’ensemble.

Un mini documentario della registrazione del cd (ma la qualità del suono è molto migliore sul disco che su internet …); ascoltate altrimenti gli estratti  del cd


Beethoven

Tempête, Waldstein, Appassionata – Soo Park: fortepiano – Label-Hérisson (72’45)

Non è certo la prima volta che le Sonate di Ludwig van Beethoven vengono presentate al fortepiano, questo cugino de pianoforte che ne ha preceduto – e diciamo pure reso possibile – la nascita e che in questi ultimi tempi colonizza sempre di più il territorio della musica del primo romanticismo. Ed ogni fortepiano ha le sue buone ragioni – anche se qualche volta le sue possibilità, sopratutto dinamiche, sono al limite di quanto la musica esige – per proporsi come lo strumento ideale: perché contemporaneo delle Sonate in questione, o costruito su un modello che Beethoven aveva avuto sotto le dita (e Dio sa quanti di questi strumenti egli avrà suonato, in concerto, a casa sua o dai suoi allievi …), o – che so io – perché un giorno, fermandosi durante le sue corrucciate passeggiate davanti all’atelier del liutaio sotto casa, avrà arpeggiato con aria perplessa su una tastiera aperta ad asciugarsi al sole.

Prescindiamo, quindi, da tutte queste considerazioni di elementi che non saprei peraltro valutare, per apprezzare, invece, direttamente e – per così dire – ad occhi chiusi, le splendide sonorità dello strumento (che è – ve lo dico comunque – un Jakob Weimes della collezione di Petr Sefl, a Praga) scelto dalla giovane fortepianista sud-coreana Soo Park, che si è formata al CNSM di Parigi (con Patrick Cohen e Christophe Coin per la musica da camera) e ha la base delle sue attività, come solista o in ensemble, in Francia. Soo Park è, sopratutto, convinta dell’autorevolezza dello strumento al quale ella affida la sua interpretazione di queste tre Sonate, che Beethoven compose tra il 1801 ed il 1806, e che sono tra le sue più conosciute e frequentemente eseguite e registrate. Un fortepiano dal suono ricco e splendente – con qualche limitazione, forse, nei forte del registro medio-acuto – che illumina questi capolavori di una gamma sorprendente di sfumature: una tavolozza che Soo Park sa sfruttare con una grande maturità, senza mai eccedere negli effetti. Eccellente la registrazione.

ascoltate il fortepiano di Soo Park


 

Frédéric Chopin 

The Piano Concertos – Nikolai Lugansky: pianoforte, Sinfonia Varsovia, Alexander Vedernikov – Ambroisie Naïve (72’)

Si è già scritto in queste pagine di Nikolai Lugansky per un cd nel quale Edwar Grieg e Sergei Prokofiev erano associati in un programma originale e che mostrava tutta la versatilità di questo giovane pianista russo dotato di una raffinatezza ed una sensibilità fuor dal comune e di un virtuosismo mozzafiato (anche se non è proprio questa la caratteristica che più mi seduce in un interprete …).

Ed ecco che Lugansky – che già è stato definito «figlio spirituale di Rachmaninov» – ritorna con la sua prima registrazione dei due concerti di Frédéric Chopin, dandone una lettura memorabile per intensità e rigore, anche se nella scia dei grandi interpreti, da Arthur Rubinstein a Marta Argerich. Ad accompagnarlo, questa volta, non è la  bacchetta di Kent Nagano, con la sua precisa illuminazione di ogni più sottile sfumatura stilistica, ma quella dello sconosciuto – almeno da noi – Alexander Vedernikov, già direttore musicale del Teatro Bolchoï (di Mosca), uno specialista del repertorio romantico russo – e dintorni – ma anche difensore infaticabile degli interessantissimi – anche se poco frequentati – compositori russi del XX secolo, come Sviridov, Weinberg, Tanèiev e Tchaïkovski (Boris). Uno Chopin, questo, di cui risplende, quindi, non soltanto il pianismo virtuoso del solista, ma anche il vigoroso discorso dell’accompagnamento orchestrale, in una prospettiva più analitica e moderna di quelle a cui siamo abituati.

ascoltate gli estratti dei Concerti di Chopin 

Ferruccio Nuzzo: Dopo una lunga e distratta carriera di critico musicale (Paese Sera, Il Mondo), si è dedicato alla street photo, con una specializzazione ecclesiastica. Vive in campagna, nel sud-ovest della Francia, ove fiere e mercati hanno sostituito cattedrali e processioni. Continua, tuttavia, a mantenere contatti con il mondo della musica, soprattuto attraverso i dischi, e di queste sue esperienze rende conto nella rubrica "La mia Musica. Suggerimenti d'ascolto".
Related Post