Licenziamenti facili, è rivolta. Cgil, Cisl e Uil pronti allo sciopero.

Le aperture

Il Corriere della Sera: “L’Europa spinge le Borse”. “Milano fa +5,5 per cento dopo l’accordo di Bruxelles. La Ue vigila sulle misure promesse dal governo. Sarkozy: salvata la Grecia per non far cadere l’Italia”. A centro pagina: “Sindacati pronti allo sciopero. Berlusconi: ora responsabilità”.

La Repubblica: “Licenziamenti facili, è rivolta. Cgil, Cisl e Uil pronti allo sciopero. Casini: il governo fa esplodere lo scontro sociale. Volano le Borse, dimezzato il debito greco”. Nel sottotitolo il quotidiano dà conto di un documento presentato da un gruppo di parlamentari di maggioranza: “Gli ‘scontenti’ del Pdl: Berlusconi faccia un passo indietro. Giallo sulle firme”. A centro pagina un richiamo alle pagine R2: “Via d’Amelio, così abbiamo ucciso Borsellino”. E’ il “racconto del pentito Gaspare Spatuzza”.

Il Riformista: “E i sindacati si uniscono. La lettera di intenti di Berlusconi ricompatta Cgil, Cisl e Uil”, dice il quotidiano.

Il Giornale: “La rabbia del menagramo”. “Dopo il successo di Berlusconi”, “sinistra e sindacati speravano che l’Europa bocciasse l’Italia. Ora invocano lo sciopero per paralizzare il Paese”. Nel sottotitolo si dà conto della inchiesta sulle presunte pressioni di Berlusconi sulla Rai: “E l’inchiesta sulle pressioni ad Annozero è un altro flop. Il Pm: ‘Archiviate il Cav'”.La procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per Berlusconi, l’ex direttore generale della Rai Masi e Giancarlo Innocenzi, ex commissario Agcom, per le presunte pressioni esercitate sulla Rai per non  mandare in onda una puntata della trasmissione Annozero.

Il Fatto quotidiano apre con un’altra inchiesta, quella di Firenze su Verdini: “Caspita, 20 milioni per le ‘cene eleganti’. “Dall’inchiesta di Firenze su Verdini viene fuori un conto bancario di Berlusconi. Una pioggia di soldi su plotoni di ragazze. Beneficenza o ricatti sessuali?. Un flusso ininterrotto di denaro che dal gennaio 2007 al giugno 2008 ha finanziato ‘prestiti’ e favori a parenti, amici e fedelissimi. Persino la ‘paghetta’ per Marina e Pier Silvio”.

Il Foglio si occupa soprattutto della “opposizione che non esiste. Il governo fatica, è in affanno, ma l’opposizione non c’è. E’ questa la nuova anomalia italiana. Essere pro-Europa e anti-Europa a seconda delle convenienze di un comizio? Non fanno la fatica di faticare”, è il titolo dell’articolo di Giuliano Ferrara. Di spalla: “L’Eurofiducia rafforza il Cav, i congiurati del Pdl tramano (e smentiscono).

Il Sole 24 Ore: “L’Europa infiamma i mercati. Dalla Ue un commissario per l’Italia. Sarkozy: Grecia salvata per salvare Roma”. Di spalla: “Sulle nuove regole per licenziare è scontro. I sindacati: sciopero. Berlusconi: vogliamo un lavoro più moderno, l’opposizione collabori”.

Lavoro

La Stampa titola: “I sindacati verso lo sciopero generale”. Ma sottolinea che a sostegno delle misure sul mercato del lavoro preannunciate dal governo è arrivato il placet della Presidente di Confindustria Marcegaglia che, commentando le norme sui licenziamenti, dice: “Bisogna eliminare tutte le rigidità e introdurre più flessibilità”. Per La Repubblica, dietro la formula “gelida” sui licenziamenti, contenuta nella lettera al vertice Ue, c’è la riscrittura dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Solo per confondere le acque e rendere meno pesante l’impatto sull’opinione pubblica si è parlato di nuove regole per i licenziamenti per motivi economici, ma secondo il quotidiano non è questo che vuole Bruxelles, non è questo che ha chiesto la Bce, con Mario Draghi, nella lettera inviata in agosto al governo italiano. I governi e le istituzioni europee hanno imposto al nostro esecutivo di eliminare la possibilità di reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori): alla reintegra si sostituirà un risarcimento economico, come avviene un po’ in tutta Europa e come è previsto per i lavoratori delle piccole imprese italiane, quelle al di sotto dei quindici dipendenti. E proprio questa norma agirebbe da vincolo, secondo alcuni, alla crescita dimensionale delle nostre imprese.
Ma parallelamente alla questione dell’articolo 18, si pone la questione legata ai licenziamenti collettivi: attualmente quelli per motivi economici sono disciplinati dalla legge 223 del 1991. Secondo La Repubblica, nessuno ha chiesto di modificarla: né le imprese, né i sindacati. Essa prevede, previo accordo tra le parti, l’accesso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità). Diversamente da altre leggi in Europa, in Italia si scarica tutto sulle casse dell’Inps, mentre l’azienda, che di fatto licenzia, non paga nulla al lavoratore. Potrebbe cambiare il meccanismo di finanziamento della cassa integrazione, al quale non partecipano le imprese non industriali con meno di 50 dipendenti.
Come se non bastasse, a generare confusione vi è l’intesa tra Confindustria e sindacati di questa estate, che ha deciso di non applicare le norme del governo (il famoso articolo 8 della Manovra di agosto) sulla possibilità a non ottemperare al reintegro previsto dall’articolo 18 dello Statuto. Lo ricorda La Stampa, che offre ai lettori anche una intervista al segretario Cisl Raffaele Bonanni, che dice: “Sul mercato del lavoro possiamo discutere. Sui licenziamenti no”. Di fianco, un panorama su come i vari Paesi europei affrontano il problema del reintegro: ma si parla sempre di articolo 18, e il quotidiano intervista un avvocato, Marcello Giustiniani.
L’unico consiglio che possiamo dare ai lettori è di aspettare che la proposta del governo venga articolata. Ci pare illuminante il parere del giuslavorista Pietro Ichino che, interpellato dal Sole 24 Ore a dare un giudizio sull’iniziativa del governo in materia di licenziamenti per ragioni economiche, dice: “Troppo generico. Ricorda quel signore a cui chiedono: ‘Lei sa suonare il pianoforte?’. E che risponde: ‘Ora provo'”. Ichino sottolinea che nella lettera del nostro governo all’Ue il merito della questione non è neppure affrontato, poiché esso sta in due questioni: l’assenza di tutela per metà dei dipendenti italiani, quelli cui l’articolo 18 dello Statuto non si applica (“occorre riscrivere un diritto del lavoro capace di proteggere anche loro”) e la tecnica della protezione stessa, poiché quella offerta dall’articolo 18 è troppo rigida. La soluzione è la flexicurity, coniugare la massima flessibilità con la massima sicurezza di tutti i lavoratori, non soltanto della loro metà.

Pdl 

“Un gruppo di senatori avrebbe messo a punto, nel corso di una cena, una lettera-documento in cui si chiede esplicitamente al premier di allargare la maggioranza al terzo polo. Un”ipotesi realizzabile solo a condizone che Berlusconi si faccia da parte”, scrive Il Sole 24 Ore, in un articolo dal titolo: “I frondisti Pdl al premier: passo indietro”. “L’esiguità della maggioranza soprattutto alla Camera – scrivono i frondisti – non consente a questo governo di poter affrontare neanche l’ordinario svolgimento dei lavori parlamentari, e tantomeno di dar seguito a  quelle risposte ‘molto impegnative’ assunte a Bruxelles”. Serve quindi “una forte discontinuità politica e di governo”, senza la quale “la lealtà” non potrà “essere garantita”. E’ un ultimatum che però “nessuno rivendica”, perché la lettera “non è ancora stata firmata”. Anzi, appena le agenzie di stampa ne hanno divulgato il contenuto, indicando come probabili sottoscrittori i parlamentari vicini a Pisanu e Scajola, c’è stata una rincorsa alla smentita. Eppure, lontano da taccuini e microfoni, le conferme che si stia lavorando a una ipotesi alternativa sono numerose, e non solo al Senato”.
“Il complotto anti Cav diventa un’autogol”, titola Il Giornale, dando conto del “giallo” nerl Pdl: “Una lettera anonima di frondisti chiede a Berlusconi il ‘passo indietro’. Ma poi è gara a dissociarsi”.
Sul Corriere della Sera si spiega che gli “scajoliani” si chiamano fuori da subito, sostenendo: “Noi pensiamo che si possa fare un appello a Casini perché si aggiunga a noi, ma chiedere oggi un passo indietro al premier che ha scritto una lettera approvata dall’Europa alla quale vogliamo dar seguito non avrebbe senso”. Secondo il quotidiano, “c’è chi sostiene che il documento sia nato due giorni fa su iniziativa di neo-fuoriusciti dalla maggoranza (forse Sardelli, forse Gava), i quali avrebbero cercato consensi, ottenuto qualche adesione, ma diffuso la lettera nel momento sbagliato, visto che la controffensiva dei vertici del Pdl avrebbe bloccato tutto e fatto rientrare il dissenso dei dubbiosi”.

Pd

Ieri Il Foglio ha pubblicato un “decalogo” firmato da Nicola Zingaretti, attualmente presidente della Provincia a Roma. La cosa ha destato sospetti in casa Pd, come riferisce oggi il Corriere della Sera. Tra i vari punti del decalogo: “promuovere la trasparenza della macchina pubblica, la cultura della valutazione”. Secondo il Corriere, è la piattaforma programmatica con cui Zingaretti sosterrà Bersani, in vista delle primarie che, secondo alcuni, potrebbero vedere l’entrata in campo dell’attuale sindaco di Firenze Matteo Renzi. Lo stesso Renzi ha elogiato il decalogo zingarettiano.
Al “big bang”, termine con cui Matteo Renzi ha indicato la sua convention, che si apre stasera, è dedicata una analisi de La Stampa. Che sottolinea la prudenza del sindaco: “Uno tra noi giovani alle primarie”.

Ponte

Il Sole 24 Ore parla di “nuovo, grave incidente di percorso” per il Ponte sullo Stretto di Messina, che giunge peraltro dopo la cancellazione dalle mappe europee delle priorità infrastrutturali. La Camera ha approvato ieri, con il parere favorevole del governo (rappresentanto dal sottosegretario Misiti) e l’astensione della maggioranza, una mozione di Italia dei Valori che, sollecitando il risarcimento dei tagli al trasporto pubblico locale, ipotizzava di reperire le risorse necessarie anche ricorrendo alla soppressione dei finanziamenti previsti per la realizzazione del Ponte. Si tratta di 1770 milioni, su un costo totale aggiornato dell’opera di 8,5 miliardi. E subito ci si è interrogati sul significato della bocciatura: ulteriore segnale del malessere interno alla maggioranza o ennesimo episodio di uno stato di confusione?
Sul Corriere della Sera, un articolo di Gian Antonio Stella: “Addio (senza rimpianti) a un tormentone mangiasoldi”, “il preventivo si è gonfiato fino a raggiungere gli otto miliardi e mezzo, senza la posa della prima pietra”. In carte, consulenze e progetti, se ne sono andati oltre 270 milioni di Euro. E quanto riceverà di penale il contractor Eurolink, di cui è azionista Impregilo?

Internazionale

L’operazione Unified Protector lanciata sette mesi fa per proteggere la popolazione libica terminerà lunedì 31 ottobre. Il consiglio di sicurezza Onu ha approvato all’unanimità la fine della missione militare. E questo malgrado il consiglio nazionale libico avesse chiesto di poter contare sulla no fly zone ancora per un paio di mesi. Se ne parla sulla Stampa. Cessano non solo i raid alleati, ma viene anche alleggerito l’embargo internazionale sulla vendita di armi in modo che in Consiglio transitorio possa dotarsi dell’equipaggiamento necessario a garantire la sicurezza nazionale. Intanto il suo vicepresidente, Abdel Hafiz Ghogha ha parlato ieri anche delle ultime ore di Gheddafi e del mistero sulla sua morte: “il responsabile dell’omicidio di Gheddafi, chiunque sia, sarà giudicato in un processo equo”. Due giorni fa l’avvocato della famiglia Gheddafi ha preannunciato una denuncia per cirmini di guerra alla corte penale Internazionale dell’Aja: organismo cui non aderiscono né la Libia né gli Usa, che avrebbe dovuto giudicare il rais, e che potrebbe trovarsi di fronte il figlio Saif al Islam e l’ex capo dei servizi segreti libici Al Senussi.
Nei giorni scorsi avevamo dato conto delle notizie sulla partecipazione di soldati del Qatar al conflitto libico, a fianco dei ribelli del Cnt. Oggi Il Foglio scrive delle ragioni per cui un le nuove autorità hanno nominato comandante militare di Tripoli ‘l’islamista’ Abdel Hakim Belhaj. Per Il Foglio “è l’unico a poter esercitare autorità sulle milizie che si spartiscono la capitale, perché è l’unico a cui rispondono le centinaia di soldati del Qatar, che hanno avuto un ruolo determinante nel conquistarla”. Belhaj fa parte del “partito qatariota” ed ha come suo referente religioso Ali Sallabi, che vive in Qatar ed è molto apprezzato dall’emiro Hamid Bin Khalifa al Thani.
Torniamo invece alla Tunisia, all’indomani delle elezioni dell’assemblea costituente, che ha visto il successo delle liste del partito islamista Ennahda. Il Corriere della Sera racconta è tornata la rivolta dopo la cancellazione di sei liste: ed è da notare che tutto è cominciato da Sidi Bouzid, la cittadina dove il suicidio per immolazione di un giovane innescò la rivolta. Sarebbero state prese d’assalto le sedi di Ennahda, dopo la decisione dell’Istituto che ha vigilato sulla regolarità delle consultazioni, ha annunciato l’annullamento di sei seggi attribuiti al partito “Petition populaire”. Una formazione sbucata praticamente nel nulla, lanciata dall’uomo d’affari tunisini Hachmi Hamdi, che ha guidato la campagna da Londra, tramite la sua emittente satellitare Tv Libre. A Sidi Bouzid la sua lista aveva ottenuto il primo posto. Le atre cinque liste erano invece state cancellate per violazioni delle regole elettorali.
Sul Sole 24 Ore, invece, ci si occupa anche del successo che le liste di Ennahda hanno ottenuto nelle circoscrizioni all’estero: successo in Francia, dove la comunità tunisina conta oltre 500mila membri e dove ha conquistato 4 seggi sui 10 a disposizione; successo in Italia, dove si è aggiudicata 2 seggi. E’ l’occasione per riflettere sulle politiche di integrazione verso questa comunità, dal punto di vista religioso: la riscoperta delle origini è stata parte di una elaborazione delle comunità nel momento dello scontro con una società occidentale che li ospitava da almeno due decenni. Dall’11 settembre in poi, la comunità islamica ha vissuto lo choc di essere identificata come il nemico in casa, con la conseguente rottura e disintegrazione del contesto sociale in cui viveva. Di qui, l’Islam come una sorta di “conforto identitario”, cui ha fatto seguito un attivismo associativo, una auto-organizzazione politica. E quindi l’approdo ad un islam contemporaneo e cosmopolita che ha come modello la Turchia di Erdogan, ad un islam politico moderno, capace di dialogare e competere con l’Occidente. Attrae i giovani, è un fenomeno con cui l’Occidente dovrà confrontarsi ed è – secondo Karima Moual, che ne scrive – “un movimento di destra demoislamica”.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini

redazione grey-panthers:
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