In uscita al cinema: “The Farewell-Una bugia buona” di Lulu Wang

tit. orig. The Farewell sceneggiatura Lulu Wang cast Awkwafina (Billi Wang) Tzi Ma (Haiyan Wang) Diana Lin (Jian Wang) Zhao Shuzhen (Nai Nai) Lu Hong (sorella di Nai Nai) Jiang Yongbo (Haibin Wang) Chen Han (Hao Hao) genere commedia prod Usa, Cina 2019 durata 100 min.

Occidente versus Oriente, America e Cina, cultura della collettività e patria dell’individualismo. Al mondo non esistono… mondi tanto diversi quanto l’Estremo Oriente e l’estremo Occidente. Lo sottolinea zio Haibin alla nipote Billi in un drammatico faccia a faccia. Lei, che continua a non capire perché la sua intera famiglia si sia serrata a ranghi stretti attorno a nonna Nai Nai per tenerla all’oscuro sulle sue reali condizioni di salute che le lasciano ormai pochi mesi di vita. A rafforzare la menzogna, e a riunire tutti i

parenti, cinesi della diaspora, l’affrettato matrimonio di un nipote, programmato appunto per permettere la rimpatriata generale senza rivelarne all’interessata i veri motivi. Billi, che alla nonna è particolarmente legata, soffre le pene dell’inferno nel sostenere la sua parte nella finzione della “bugia buona” e rischia in ogni momento di tradirsi o di lasciarsi scappare qualche indizio negativo. D’altra parte lei, nata in Cina e dunque appartenente a quel “pianeta”, è cresciuta negli Stati Uniti, di cui ha assimilato lo stile di vita molto più dei propri genitori. Il ritorno a Changchun, la città dove vive la nonna, è per Billi anche una riappropriazione delle radici, senza le quali neppure l’anima occidentale che c’è in lei può crescere e maturare. Dunque il discorso della regista si sposta dal clan all’individuo e se il viaggio fisico di Billi va da ovest a est, il suo viaggio interiore si muove in entrambe le direzioni. Senza essere un capolavoro, il film della Wang, che pare abbia tratto la materia dal proprio bagaglio personale, si lascia vedere e scorre tranquillo sullo schermo come il Fiume Giallo o il Mississippi. Sin troppo filogovernativo nel mostrare una Cina tirata a lucido, linda, pulita e perfetta, dall’urbanistica alla sanità, ma sempre ancorata alla sua millenaria cultura nazionale. Probabilmente i cinesi si vedono e si sentono proprio così: destinati in breve a sottrarre agli Usa lo scettro della leadership mondiale. E questo una qualsiasi ragazza sino-americana lo ha capito da un pezzo. Doverosa chiosa finale: il film è bilingue, cinese mandarino e inglese americano. Naturalmente gli Wang immigrati negli Usa, tra le mura domestiche o nella loro stanza d’albergo, si parlano in inglese. Nonna Nai Nai e il suo codazzo di parenti parlano solo cinese e spesso Billi cambia registro (lingua) per dire o non dire ciò che ha nel cuore. Come se il cinese fosse la lingua dell’apparenza e l’inglese invece la lingua della sostanza. Ebbene di tutto ciò nello scempiaggio (doppiaggio) italiano non resta ovviamente nulla. Eccetto la scena indoppiabile con il giovane medico specializzato a Londra, che viene sottotitolata. Buttata lì così, senza tutti i precedenti analoghi, risulta soltanto stravagante.

E allora perché vederlo?
Perché l’alternativa al cinepanettone c’è. E ha gli occhi a mandorla.

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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