“Mal di pietre”, di Nicole Garcia

sceneggiatura Nicole Garcia, Jacques Fieschi dall’omonimo romanzo di Milena Agus cast Marion Cotillard (Gabrielle) Alejandro Brendemül (José) Louis Garrel (André Sauvage) Brigitte Rouan (Adèle) Victoire Du Bois (Jeannine) Aloïse Sauvage (Agostine) Daniel Para (Martin) Jihwan Kim (Blaise) Victor Quiluìichini (Marc adolescente) genere drammatico Francia 2017 durata 120′

L’impossibile possibilità dell’amore assoluto. La diversità percepita come devianza, la sessualità repressa vincolata a un matrimonio di convenienza che la tenacia di un uomo schivo riesce a trasformare in autentica passione… Non stiamo parlando di un paese musulmano del XXI secolo, ma della cattolicissima Francia del Sud nell’immediato dopoguerra. Tra campi di lavanda bruciati dal sole si compie il destino di Gabrielle, figlia ribelle di una famiglia di proprietari terrieri molto all’antica. La libertà di costumi della ragazza, che vorrebbe semplicemente seguire il proprio destino e assecondare i propri desideri repressi, è motivo di scandalo nella piccola comunità chiusa e bigotta. Tanto che scatta la protezione sociale di un matrimonio di copertura. La stessa madre di Gabrielle chiede a un suo lavorante, uno spagnolo fuggito dal Franchismo, di prendersela per moglie anche se lei non lo ama né lo amerà mai. Patti chiari: matrimonio di facciata perché al cuore non si comanda. Tanto meno con una fede al dito. Eppure lo schivo José, taciturno e introverso, ama davvero Gabrielle e desidera solo dimostrarglielo. Con una casa in riva al mare costruita apposta per lei ma con tante piccole attenzioni che trapelano sotto la ruvida scorza del lavoratore tutto d’un pezzo. Ménage traballante e instabile fino a quando Gabrielle si ricovera in una clinica svizzera per passare le acque e guarire dal “mal della pietra”, ossia dai calcoli renali.

Qui, sola e soprattutto lontano da sguardi di riprovazione, Gabrielle trova il vero amore: un autentico colpo di fulmine per un ufficiale reduce dalla guerra in Indocina le ridona gioia, speranza e voglia di vivere. L’assoluto però non è di questa terra e un finale davvero a sorpresa riporta le cose a una più prosaica, ma significativa e densa realtà materiale. La regia al femminile di Nicole Garcia vivifica il romanzo della Agus e lo spostamento dalla Sardegna della scrittrice alla Provenza del film dà la giusta dimensione a una storia fatta più di immagini che di parole, di pensieri inespressi più che di situazioni mostrate anche se la densità dell’immagine è una cifra stilistica che si impone con tutta la forza dell’evidenza. Perfetti gli interpreti, in un difficile triangolo poco amoroso e molto doloroso. Unici venialissimi peccati, alcuni compiacimenti formali e qualche ridondanza in un insieme che ha la sua forza nell’essenzialità.

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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