Sils Maria

regia e sceneggiatura Olivier Assayas cast Juliette Binoche (Maria Enders), Kristen Stewart (Valentine), Chloë-Grace Moretz (Jo-Ann Ellis), Lars Eidinger (Klaus Diesterweg), Johnny Flynn (Christopher Giles), Angela Winkler (Rosa Melchior), Hanns Zischler (Henryk Wald) durata 124′

Dopo il maggio studentesco di Qualcosa nell’aria (2012), il regista francese a nostro avviso più talentuoso in circolazione ci regala questa storia di donne, vagamente alla Bergman, il cui leit motiv è il contrasto tra la giovinezza e la maturità. Una riflessione densa di significati su ciò che è la vita nel suo inesorabile sviluppo. Una parabola non necessariamente lineare che diventa ben presto un testacoda tra ciò che si è vissuto e ciò che ci aspetta nell’avvenire.

IL SERPENTE DEL MALOJA Maria Enders è una famosa attrice arrivata alla soglia della cinquantina (in realtà Binoche ha già tagliato questo traguardo). L’inizio della sua celebrità risale a oltre vent’anni prima quando interpretò a teatro (e poi al cinema) il ruolo di Sigrid nel dramma Il serpente del Maloja di Wilhelm Melchior. Sigrid è una ragazza che ha una tumultuosa relazione, professionale e sentimentale, con Elena, il doppio dei suoi anni e sua datrice di lavoro, che si conclude con l’annientamento della donna più matura, fino alla sua uscita di scena, forse per suicidio. Maria si sta recando a Zurigo con la sua assistente personale Valentine a ritirare un premio per conto di Melchior quando apprende della morte improvvisa del drammaturgo (un suicidio mascherato). In occasione della cerimonia Maria conosce il talentuoso regista teatrale Klaus Diesterweg che tenta di convincerla a tornare sulle scene con Il serpente del Maloja vestendo però questa volta, com’è ovvio, i panni di Elena. Dopo non poche esitazioni Maria accetta, spinta soprattutto da Rosa, la vedova di Melchior, che le lascia il cottage di Sils Maria dove viveva con il marito e dove il dramma è stato concepito e scritto. Il Serpente del Maloja del resto non è altro che una formazione di nubi lunghe e strette che, in determinate condizioni atmosferiche, si verifica appunto nella località engadinese. Fenomeno documentato in un film del 1924 dal documentarista tedesco Arnold Fank.

CORTO CIRCUITO ESISTENZIALE La parte centrale del film si focalizza perciò sul rapporto tra Maria e la giovane Valentine (due generazioni a confronto) nella solitudine di Sils Maria e della soprastante, selvaggia valle di Fex, spesso teatro di lunghe escursioni. Il confronto tra le due donne si sdoppia inoltre, attraverso i social network, nella figura di Jo-Ann Ellis, starlet emergente abbonata agli scandali e perennemente inseguita dai paparazzi, scelta dal regista come la nuova Sigrid. Attrice classica Binoche, prodotto dello star system hollywoodiano Stewart, grazie alla saga Twilight. E Assayas gioca da par suo in questo corto circuito di esistenze e rappresentazioni, di vita reale e cinema, di finzione scenica e realtà concreta dei suoi personaggi che finiscono quasi con il fondersi e confondersi l’un l’altro in una dimensione sospesa che è, allo stesso tempo, la natura smagliante dei monti dell’Engadina e la ricerca interiore di un io sempre più sfuggente. Al punto che, prova dopo prova, i ruoli del dramma si ribaltano. Elena-Maria non è più la vittima designata e Sigrid-Valentine la vincitrice. In attesa del giorno tanto atteso in cui salire alla sommità della montagna, sopra il lago di Sils, da cui ammirare l’arrivo del Serpente del Maloja.

CINEMA DELL’ANIMA A questo punto dobbiamo dire che ci è parso francamente superfluo l’epilogo “londinese”. La messa in scena del dramma, Maria sul palco in costume da top manager aziendale e, prima ancora, le vicende da gossip che tormentano Jo-Ann e il fidanzato di turno, ci sono parse fuorvianti rispetto al nocciolo del film così mirabilmente giocato nel prologo e nella parte centrale. Una concessione “giovanilistica” al pubblico che rappresenta ormai l’arbitro delle fortune cinematografiche di ogni film? Se così fosse sarebbe una dichiarazione di sconfitta per Assayas e il suo cinema fatto invece di un sano e ben più duraturo conflitto di anime.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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