“La fratellanza” di Ric Roman Waugh

Sceneggiatura Ric Roman Waugh Cast Nikolaj Coster-Waldau (Jacob Harlon) Lake Bell (Katherine Harlon) Jon Bernthal (Frank), Jeffrey Donovan (bottles), Max Greenfield (Tom), Omari Hardwick (agente Kutcher) Benjamin Bratt (sceriffo Sanchez) Holt McCallany (The Beast) genere drammatico durata 121 min

Da uomo d’affari a gangster. È questa la singolare parabola che tocca al mite e agiato Jacob Harlon quando si trova sradicato dal suo mondo e sbattuto in galera per un omicidio colposo in seguito a un incidente stradale. Applicata al mondo dietro le sbarre la ‘legge’ del business fa di Jacob (soprannominato “money man”) un fuorilegge a pieno titolo. Fino a scalare, come si fa con i listini di borsa, tutte le posizioni della gerarchia banditesca rompendo per giunta con la propria famiglia-modello. Il regista-sceneggiatore sostiene di essersi ampiamente documentato sul tema e non c’è dubbio che l’esperienza carceraria possa davvero modificare alla radice la natura umana. Anche solo per pure questioni di sopravvivenza. Sta di fatto che il film è un’ampia metafora di quanto avviene ad di qua delle sbarre. Dove peraltro Jacob si trova a operare da perfetto malavitoso in un periodo di libertà vigilata. Perché se entri nella “fratellanza” carceraria non ne puoi più uscire. Anche quando esci di galera. Al titolo italiano manca peraltro un aggettivo poiché, viste le croci uncinate e i simboli tatuati sui corpi dei membri della setta, di “Fratellanza Ariana” si tratta e anche il tema razziale, pur non esplicitato, sottende ampiamente al racconto. Che vede in campo gruppi etnici ben definiti: bianchi, appunto, neri e ispanici. Ciascuno con il proprio leader, le proprie regole e le proprie vittime. Diciamo che il regista non scopre nulla di nuovo, visto quanto successo di recente a Charlottesville, ma fotografa bene il clima di profonda incertezza che si respira ormai in un paese, gli Usa, che sta perdendo la propria identità di nazione multietnica per eccellenza. Non a caso il film si chiude in modo non consolatorio. Anzi, in maniera piuttosto amara, cosa che gli farà perdere non pochi spettatori. Perché al di sotto dello schema da “crime thriller” si può leggere il profondo malessere che si cela sotto la patina dorata di una middle class ormai priva di coordinate morali e valori civici. Unica nota stonata, è proprio il caso di dirlo, una colonna sonora a dir poco irritante e petulante. In un film, tutto sommato, ben costruito tecnicamente e ben interpretato.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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