Da vedere al cinema: “Oldboy” di Park Chan-wook

titolo orig. id sceneggiatura Park Chan-wook, Lim Joon-hyung, Lim Chung-hyeong, Hwang Jo-yun cast Choi Min-sik (Oh Dae-su) Yu Ji-tae (Lee Woo-jin) Kang Yie-jeong (Mido) Ji Dae-han (No Joo-wan) Kim Byeong-ok (Mr Han) Oh Dal-soo (Park Cheol-woong) Lee Seung-shin (Yoo Hyung-ja) genere thriller prod Sud Corea, 2003 lingua coreano durata 119 min.

Per quel poco che si riesce a vedere nella Vecchia Europa di cinema coreano, non si scappa: o prendere o lasciare. Con questa riedizione restaurata del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes del 2004, per quanto inflazionati siano i premi festivalieri, siamo a un prendere sia pure, va aggiunto subito, con un bel paio di molle. Il film cattura, intriga, si impone per lo sfarzo visivo, l’eccellente colonna sonora di Shim Hyun-jung, la scenografia avvolgente, l’egregia fotografia e un ottimo cast. E questo è il prendere, con lo spettatore incollato alla sedia per due ore sommerso a ogni cambio di inquadratura da nuovi effluvi audiovisivi che non allentano la presa.

Le molle vengono invece dall’origine fumettistica della storia, dalla sudditanza con troppo cinema splatter, dalla macchinosità della drammaturgia che si arrovella e si avvita su se stessa con uno sviluppo poco credibile. In soldoni la trama è questa: Oh Dae-su viene rapito e rinchiuso per 15 anni in una stanza, senza sapere da chi e per cosa. Quando viene rilasciato ha ovviamente un unico desiderio: trovare l’artefice della sua prigionia e vendicarsi. Mido, commessa di un sushi bar, lo aiuta a risolvere il mistero, salvo il fatto essere lei stessa parte, a sua insaputa, della macchinazione. Dicevamo dell’origine fumettistica. Più precisamente l’omonimo manga giapponese del 1997 scritto da Tsuchiya Garon e disegnato da Minegishi Nobuaki. Un cult per gli appassionati del genere, sempre più numerosi anche in Occidente. La domanda che sorge invece spontanea alla fine di tanto spargimento di sangue, energia e psicanalisi è sempre la stessa: “cui prodest?” a che serve? Non per voler trovare una “morale” a ogni costo, men che meno nei film d’azione, ma qualche afflato che non sia di pura tecnologia e materia qui non c’è. È un po’ il destino e la condanna del cinema in epoca del web: grandi progressi tecnologici, grandi effetti&cotillons, ma tautologico dalla prima all’ultima inquadratura. Come già accennato, nel 2004 il film ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes e nel 2013 Spike Lee ne ha tratto un remake. Se poi aggiungiamo la dichiarazione tarantinesca: “Oldboy è il film che avrei voluto girare io” abbiamo quadrato il cerchio.

 

E allora perché vederlo?

Per entrare in sala fagioli e uscirne cornetti. Cornetti, ma contenti.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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