Un guerriero a misura di… Mussolini, il racconto in un film

La statua-simbolo d’Abruzzo è davvero un’opera del VI sec. a.C. oppure un falso d’epoca fascista? Mercoledì 13 alle 19,30, al Cinema Anteo Citylife, il regista Alessio Consorte ne parlerà con il pubblico e con alcuni esperti dopo la proiezione del suo film-inchiesta “Il guerriero mi pare strano”

Se a prima vista Il guerriero mi pare strano può sembrare un documentario, in realtà si tratta di un vero e proprio thriller in cui l’assassino, che è lo stesso regista, torna sul luogo del delitto per completare la propria “opera”. Iniziata due anni fa con un altro film: Decumano Maximo. Qui il regista pescarese Alessio Consorte ripercorreva i luoghi che furono teatro della cosiddetta Guerra Sociale che nel I sec. a.C. aveva visto Roma opporsi ai popoli dell’Italia centrale. A conclusione del film, Consorte mostrava una parziale documentazione, risalente agli anni ‘50 del ‘900, in cui si metteva in dubbio l’autenticità del cosiddetto Guerriero di Capestrano, opera che da 90 anni è esposta al Museo Archeologico di Chieti e che l’anno scorso è stata inserita nello stemma regionale come simbolo identitario del territorio.

Il guerriero mi pare strano, documentazione da confutare

Partendo da quelle esili tracce, nel nuovo lavoro Il guerriero mi pare strano Consorte affronta e confronta altra documentazione storico-archeologica che porta alla conclusione di un falso abilmente costruito ad arte per assecondare la politica e le parole d’ordine del regima fascista negli anni del consenso. Il ritrovamento del reperto risale infatti al 1934 ovvero a un decennio in cui furono operativi alcuni dei più abili falsari di opere antiche come lo scultore cremonese Alceo Dossena di cui Consorte ricostruisce le tecniche di “anticazione” capaci di ingannare anche gli storici dell’arte più avveduti. Dialogando con Lucio Ascari, il regista ci porta per mano, passo dopo passo in un percorso in giro per l’Italia, alla ricerca di prove sempre più inconfutabili che gli fanno propendere per la “stranezza” del celebre reperto. In difesa del quale sono invece schierate le autorità e le istituzioni (la Regione, appunto, e la Sovrintendenza) senza mostrare però alcuna intenzione, a questo punto più che doverosa, di ulteriori verifiche e controlli scientifici. Della serie: meglio tenersi in bella mostra un falso iconico oppure restituire la verità alle cose a rischio di perdere qualche biglietto di ingresso in un museo?

Il guerriero mi pare strano, scoperta di una nuova fake news?

Niente di nuovo sul fronte culturale, verrebbe da dire, visto le diatribe che accompagnano da anni altri reperti famosi come, per esempio, il Trono Ludovisi del Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps. Capolavoro del V sec. a.C. o abilissimo falso ottocentesco? Per non parlare dei falsi reperti archeologici spacciati abilmente da antiquari e mercanti europei a ingenui direttori di musei stelle-e-strisce. D’altra parte, per restare in ambito cinematografico e citare un grande film sull’opera dei contraffattori di opere d’arte, rimandiamo a F for Fakes (F come falso, 1973) di Orson Welles. Per porci la fatidica domanda: «Se un falso Picasso rimane esposto per decenni in un museo, ammirato e apprezzato da milioni di persone, resta un falso Picasso o non diventa per caso un “vero” Picasso?». Domanda alla quale risponde un (falso?) aneddoto che riguarda proprio il grande pittore spagnolo. Quando, nei primi anni ‘70, poco prima della morte del maestro, il mondo dell’arte fu invaso da una serie di quadri di Picasso di dubbia provenienza, un mercante, amico del pittore, si recò da lui con alcune di queste tele per una verifica ricevendo naturalmente un inappellabile verdetto negativo. Non convinto, il mercante tornò da Picasso con un autentico Picasso, eseguito anni prima proprio sotto i suoi occhi. Anche in questo caso, però, Picasso, fu categorico: il quadro era falso! E quando il mercante gli spiegò di averlo visto dipingere proprio da lui, il pittore replicò imperturbabile: «Anche Picasso può dipingere dei falsi Picasso».

Il regista Alessio Consorte

Appuntamento al cinema per commentare Il guerriero mi pare strano

Al Cinema Anteo Citylife, sala Aurora, mercoledì 13 ore 19,30 una serata-evento. Alessio Consorte presenta il suo film-inchiesta Il guerriero mi pare strano. Ne discuteranno con lui e con il pubblico il critico cinematografico Auro Bernardi, Marco Eugenio Di Giandomenico, critico d’arte e docente a Brera, l’astrofisica e archeoastronoma Silvia Motta e Stefano Basilico, docente e collaboratore della pagina web “Narrare di storia”.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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