Al cinema “Hammamet” di Gianni Amelio

sceneggiatura Gianni Amelio, Alberto Taraglio cast Pierfrancesco Favino (il Presidente) Alberto Paradossi (il figlio) Livia Rossi (Anita, la figlia) Silvia Cohen (la moglie) Omero Antonutti (il padre) Giuseppe Cederna (Vincenzo) Luca Filippi (Fausto) Renato Carpentieri (l’ospite) Claudia Gerini (l’amante) Diego Rosselli (il Presidente bambino) genere drammatico prod Ita 2020 durata 126 min.

All’inizio del film, che ripropone il 45° Congresso del Psi tenutosi all’Ansaldo di Milano nel 1989, Craxi si ferma a parlare con Vincenzo, suo amico e collaboratore nonché tesoriere del partito, che gli manifesta tutte le sue perplessità sulla politica “rampante” del segretario e del rischio imminente di quella che sarà Mani Pulite. Alle loro spalle alcuni operai calano uno striscione con un enorme simbolo del garofano. Ecco, in quella sorta di ammainabandiera posta a esergo del film sta tutto il significato simbolico dell’opera di Gianni Amelio che si conferma autore tra i pochi capace di leggere con gli strumenti dell’arte cinematografica i complessi fenomeni della società postmoderna. Italiana e non solo. A questo stesso scopo, il regista introduce nel film due personaggi di fantasia, Fausto e l’ospite, che servono come sorta di cartina di tornasole per sciogliere nelle sue componenti essenziali la difficile alchimia dei fatti narrati.

La vicenda biografica degli ultimi anni di vita di Bettino Craxi e dei suoi familiari, ma, allo stesso tempo, il significato di una stagione politica che certamente non è ancora tramontata anche se ne sono “passate in giudicato” le fortune storiche. Di Craxi se ne parla e se ne parlerà ancora, non solo per la pervicacia di alcuni membri della sua famiglia nel volerlo “riabilitare” a ogni costo, ma anche perché, nel bene e nel male, Craxi è stato uno di quei personaggi pubblici che hanno improntato di sé una stagione politica del nostro Paese. Al pari di un Mussolini, prima di lui, o di un Berlusconi, dopo e grazie a lui. E così, sui binari di un percorso umano, Amelio tira le fila di riflessioni più generali: sul senso della politica e della vita. Significativa la scena con l’amante (Ania Pieroni/Patrizia Caselli), che dimostra come niente possa più essere come prima. Ma lo stesso ci dicono tutti i personaggi, veri e di immaginazione, che circondano il “Presidente”. E anche questa ritrosia del regista a chiamare le persone con i loro nomi evidenzia un distacco che non è assenza di giudizio, ma libertà artistica nel passare dalla realtà contingente al significato morale della storia. Perciò il film si conclude “qualche tempo dopo” la morte di Craxi con la visita di Anita a Fausto, rinchiuso in una clinica psichiatrica. Nel suo folle delirio, costui rivendica di aver ucciso il padre Vincenzo buttandolo dalla finestra. Uno dei tanti suicidi di Tangentopoli, per esempio quello di Sergio Moroni, tesoriere del Psi lombardo che si sparò alla vigilia dell’arresto. “Era un criminale, l’ho fatto diventare un martire” commenta Fausto e Anita (Stefania) gli risponde: “Io, mio padre ho provato a salvarlo, ma non ci sono riuscita”. Per tutta durata della sua permanenza in villa ad Hammamet, Fausto porta con sé una pistola, nascosta nello zaino. Suicida o martire? Latitante o esiliato? Statista o ladro? Amelio non aspetta “l’ardua sentenza” dei posteri, ma lascia il giudizio allo spettatore. Qui e adesso. La cosa migliore che un film possa fare. Dopo il Buscetta del Traditore di Bellocchio, con questo straordinario ritratto di Bettino Craxi, Pierfrancesco Favino entra a pieno titolo nel novero dei “grandi camaleonti” del cinema. Un piccolo gruppo di attori straordinari capaci, non solo grazie alle meraviglie del trucco, di rendere al meglio fattezze e psicologia di personaggi della storia. Pensiamo all’Hitler di Bruno Ganz, per esempio, o, in Italia, all’Andreotti e al Berlusconi di Toni Servillo. E anche questo non è un merito da poco.

 

E allora perché vederlo?

Perché è giusto riflettere sul nostro passato. Anche quello più recente.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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