Da vedere in DVD: “Coco” di Lee Unkirch, Adrian Molina

sceneggiatura Adrian Molina, Matthew Aldrich genere animazione prod Usa, 2017 durata 105 min.

 

La premiata fabbrica dei sogni Disney (sotto forma di Pixar, in questo caso) non si discute: si prende o si lascia. Per quanto riguarda Coco, si prende. Basti, per tutte, la geniale sequenza introduttiva con la storia di famiglia raccontata animando le trine stese sui fili del bucato. Un piccolo capolavoro. Ma andiamo per ordine a cominciare dal soggetto. Nella cultura messicana, retaggio delle civiltà precolombiane, i giorni dei morti, ossia l’Halloween degli anglosassoni e l’Ognissanti dei latini, sono una festa coloratissima e piena di allegria dove i vivi si uniscono ai defunti in metafisiche sarabande musicali e gastronomiche. È il rito dell’Ofrenda: altarini ricolmi di prelibatezze e dolciumi in onore dei morti, con i tipici teschi e scheletri di zucchero. Anche la gente balla e canta indossando teschi o costumi a tema per immedesimarsi con i propri antenati e rinsaldare la comunanza familiare al di là e oltre le generazioni. Qualcosa di più che semplice folklore, come intuì giustamente S.M. (Sua Maestà) Ejzenstejn durante la permanenza nel paese americano con la celebre sequenza dei morti nel film ¡Que viva México!(1931). Ma torniamo a Coco e al suo personaggio principale: il piccolo Miguel che segue il sogno di diventare musicista. In una famiglia di calzolai che ha bandito la musica dall’ambito domestico a causa di un antico dolore provocato proprio da un artista del pentagramma. Gran parte della storia si svolge però proprio nel regno dei morti dove Miguel viene risucchiato e da dove può uscire solo se ricompone l’antico dissidio domestico. Al di là dei luoghi comuni sul folklore (questo si) messicano, inevitabili in un cartone Disney, l’autentica cultura ispanica dello sceneggiatore e regista Adrian Molina emerge in più occasioni con trovate che fanno scorrere i minuti con il sorriso stampato in faccia. Fino all’apoteosi finale a suon di musica. Meritatissimi gli Oscar al film e alla canzone “Ricordami”.

 

E allora perché vederlo?

Per sentirci un po’ più vicini ai nostri cari che non ci sono più. Senza lacrime, ma con un sorriso.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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