“Loro 1”, di Paolo Sorrentino

sceneggiatura Paolo Sorrentino, Umberto Contarello cast Toni Servillo (Silvio Berlusconi) Elena Sofia Ricci (Veronica Lario) Riccardo Scamarcio (Sergio Morra) Kasia Smutniak (Kira) Euridice Axen (Tamara Morra) Fabrizio Bentivoglio (Santino Recchia) Roberto De Francesco (Fabrizio Sala) Dario Cantarelli (Paolo Spagnolo) Giovanni Esposito (Mariano Apicella) Ugo Pagliai (Mike Bongiorno) Ricky Memphis (Riccardo Pasta) Roberto Herlitzka (Crepuscolo) Michela Cescon (Marinella Brambilla) genere grottesco prod Ita-Fr, 2018 durata 104 min

 

Chiariamo subito che con questa prima parte di “Loro” ci troviamo più sul versante “Grande Bellezza” che su quello del “Divo”. E, aggiungiamo, è meglio così. Perché “Loro” non è un film su Silvio Berlusconi, almeno per quanto visto in questa prima ora e tre quarti del dittico (la seconda parte uscirà il 10 maggio). “Loro 1” parla infatti di noi, degli italiani. O meglio di quella parte di Italia che si è identificata e si identifica con Berlusconi e, più ancora, con il berlusconismo. L’Italia cafona, corrotta, incolta, arrogante, volgare e ladra che ha posto a esergo l’immagine e la sostanza dell’ex Cavaliere. L’Italia dei Tarantino, dei Bondi, dei Lele Mora, degli Emili Fide, dei fedeli gonfalonieri (i portabandiera). Delle Api Regine, delle Letizie Noemi (papi girl) e delle sgallettate disposte a tutto per fare soldi e carriera nello showbiz (o in politica, che poi, oggi, è lo stesso). Ma attenzione: Sorrentino non è Michele Santoro e il suo modo di procedere nel racconto non è quello dell’inchiesta o della cronaca (sia pure romanzata). Il regista napoletano procede per flash, per accumulo, per strati. Come in uno scavo archeologico alla rovescia. Non a caso molte scene collettive sono ambientate in quinte antico-romane. Sia autentiche sia di cartapesta. E poi, discreta novità, il bestiario italiota. Con quella pecora (il popolo?) che stramazza di fronte a megaschermi tv che trasmettono immagini senza sonoro. Una bella metafora di quello che fu il Bel Paese, invidiato e imitato in tutto il mondo. A seguire, rinoceronti all’Eur e topi in via dei Fori Imperiali con conseguente volo d’angelo del carro della “monnezza” che semina rifiuti come un temporale d’agosto la pioggia. Come dire: siamo nella m… fino al collo. Immagini magnifiche per metafore sin troppo trasparenti. Immaginifico Sorrentino, che non racconta, ma narra. Una storia debordante, eccessiva, sarcastica, dai colori sovraccarichi, dalla musica ossessiva. Talvolta persino troppo ermetico: nella scena di “Dio” e della vergine offerta al Drago. E poi, buon ultimo, dopo il parossistico crescendo rossiniano di tette, culi, strisce bianche (non pedonali, ma nasali) e verdoni appaltati pubblicamente, arriva Lui. Nel lusso di Villa Certosa e di un 24 metri all’ancora nel porticciolo privato. Un Toni Servillo dalla cervice incatramata che dà vita a un Berlusconi alla Maurizio Crozza. Anche questa una scelta per demitizzare, per uscire dal personaggio ed entrare nel ruolo, nell’emblema, nella marionetta, nella barzelletta. Un simpatico cialtrone, quello disegnato da Servillo, che ci riporta al Berlusca che fu. Che un terzo degli italiani vorrebbe in galera (a prescindere) e un altro terzo santo subito (per grazia ricevuta). E qui il tono si fa più lieve, come leggero, addirittura vacuo è il personaggio. Un’icona, appunto, di se stesso più che un uomo in carne e ossa. Ma ai posteri, in fondo, dell’uomo importerà ben poco. Resterà l’icona. Per quanto riguarda gli attori, tolto di classifica Servillo per manifesta superiorità, è davvero una bella lotta per il podio. Con un numero esagerato di ex-aequo. Da Scamarcio-Tarantini a Smutniak-Began, da Bentivoglio-Bondi (o un qualsiasi papavero azzurro a piacere) a Ricci-Veronica. Segno che quando i personaggi si prestano anche gli interpreti sanno dare il meglio.

 

E allora perché vederlo?

Perché anche il più visceralmente antiberlusconiano, in fondo in fondo, ha un po’ di Silvio dentro.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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