“Il domani tra di noi”, di Hany Abu-Assad

Sceneggiatura Chris Weisz, J. Mills Goodloe dall’omonimo romanzo di Charles Martin (ed. Corbaccio) cast Kate Winslet (Ashley Knox) Idris Elba (Benjamin Payne) Beau Bridges (Walter) Dermot Mulroney (Mark) genere catastrofico/sentimentale durata 104 min

Una catastrofe vecchia come il cucco. Una love story vecchia come il cucco. Eppure il risultato è un film passabile che tiene saldi in poltrona per due ore con gli eterni dilemmi: come (non se, ma come) supereranno l’ostacolo? Quando finiranno in branda? Il bello di Hollywood, in fondo, è proprio questo: riproporre sempre sempre lo stesso menu (la stessa zuppa) facendo in modo che sembri sempre nuovo. Merito del cast, innanzitutto, e alla prova di abilità di due attori capaci di reggere da soli il peso dell’intera performance (per tacer del cane, aggiungerebbe Jerome K. Jerome).

Infatti non di barca sul Tamigi si tratta, ma di aereo sulle Montagne Rocciose. A bordo del quale non ci sono tre passeggeri, ma due: un uomo e una donna. Il pilota (il cane è suo) schiatta ai comandi per infarto e l’aereo si schianta su un nevaio. Per la solita serie di fatali coincidenze, nessuno sa che i superstiti sono lì, sicché nessuno li cerca. Inevitabile la marcia forzata per scendere a valle, tra puma in agguato, dirupi invalicabili, laghi ghiacciati che si sciolgono sotto i piedi dei viandanti e via trappolando per tenere alta la tensione. Come detto, il repertorio del genere è saccheggiato a piene mani. Il costumista ha lavorato a cottimo, tanto i due viandanti sono sempre inappuntabili nei loro caldi abiti sportivi da outdoor di lusso, eppure, come detto, la storia funziona.

Funziona perché regista e sceneggiatori hanno giustamente puntato sui rovelli interiori dei personaggi. “Strana coppia” non solo dal punto di vista etnico (nero lui, bianca e bionda lei), ma soprattutto dal punto di vista psicologico ed emotivo. E l’alchimia scatta: azioni e pensieri sono le conseguenze di ciascuna personalità, non degli eventi. E anche la branda arriva al momento giusto e nel modo giusto, quando i due si sono ormai dovuti spogliare non tanto degli abiti, quanto delle remore che ingrommano le loro anime. Complice in questo la natura selvaggia delle Rocky Montains. Un po’ “telefonato” è invece il finale, con ansie e titubanze più da adolescenti che da uomini e donne maturotti-anziché-no. Ma ci sta anche questo. In fondo ci avevano avvertiti: è l’ennesimo remake (sempre rivisto e corretto) del finale del “Laureato”.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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