Presidente della Repubblica: perché la partita del Quirinale è decisiva

Ogni cittadino italiano che ha compiuto i 50 anni di età e che gode dei diritti civili e politici, e non ha subito nessuna interdizione dai pubblici uffici nei cinque anni precedenti, può essere candidato dai partiti alla Presidenza della Repubblica. Vuol dire che anche Silvio Berlusconi possiede tutti i requisiti di candidabilità, poiché l’11 maggio 2018 ha ottenuto dal Tribunale di Sorveglianza la riabilitazione che estingue ogni effetto penale della condanna. Resta semmai un tema di opportunità, ma in quanto tale non è regolamentata da leggi. Per essere eletto al primo turno ci vogliono 673 voti, ovvero i due terzi del Parlamento, integrato da 58 rappresentanti delle Regioni, che in totale fanno 1.009 votanti: per arrivare a questo numero va coperto con le elezioni supplettive di Roma (in calendario per il 16 gennaio) il posto alla Camera lasciato libero da Roberto Gualtieri, neosindaco della Capitale; e l’Aula del Senato deve convalidare il subentro del senatore Pd Fabio Porta a quello di Adriano Cario, dichiarato decaduto. Dal quarto scrutinio in poi basta la maggioranza, cioè 505 voti, che corrisponde alla metà più uno degli aventi diritto. In entrambi i casi indipendentemente dal numero di presenti. La carica dura sette anni, ed è incompatibile con qualsiasi altra.

I turni elettorali

Nella storia della Repubblica solo Francesco Cossiga e Carlo Azelio Ciampi sono stati eletti al primo turno con il 70% dei voti grazie a precedenti accordi bipartisan. Per il resto, i nomi dei candidati di bandiera proposti nei primi tre scrutini non sono mai andati a buon fine (tranne per Antonio Segni). In quattro casi si è arrivati alla quarta tornata: Luigi Einaudi, Giovanni Gronchi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. Nelle altre cinque elezioni si è dovuti ricorrere a 6 votazioni per Napolitano bis, 9 per Antonio Segni, 16 per Sandro Pertini e Oscar Luigi Scalfaro, 21 per Giuseppe Saragat e 23 per Giovanni Leone. Gli impallinati dal proprio partito: 46 franchi tiratori hanno impedito nel 1948 l’elezione di Carlo Sforza, nel 1992 sono stati in 29 ad abbattere Arnaldo Forlani e in 101 contro Romano Prodi nel 2013. Soltanto Ciampi sale al Quirinale senza una precedente esperienza alle Camere, ma dopo essere stato premier e governatore della Banca d’Italia. Nessun leader di partito in carica al momento del voto è mai stato eletto Presidente.

I poteri

Sono 19 gli articoli della Costituzione che riguardano il Presidente della Repubblica e ne regolamentano i numerosi poteri. Vediamoli. Nomina: il Presidente del Consiglio e i ministri proposti dal premier; i senatori a vita; cinque giudici costituzionali; i segretari generali dei ministeri, i prefetti e gli alti gradi militari (anche se in quest’ultimo caso si tratta solo di ratificare decisioni nate in seno alle rispettive amministrazioni). Convoca e scioglie le Camere; promulga le leggi o le rinvia; comanda le forze armate; presiede il Csm; rappresenta l’Italia e l’unità nazionale; ha potere di grazia; manda messaggi al Parlamento per rimetterlo in riga. Il suo ruolo può essere interpretato in modo largo o stretto, dipende dalla personalità del singolo e dai partiti: più sono inconsistenti e più i poteri del Presidente si estendono. Li ripercorriamo con l’aiuto dei politologi Luca Verzichelli e Francesco Marangoni (Centro interuniversitario di ricerca sul cambiamento politico dell’Università di Siena) e Alice Cavalieri (Università di Torino).

Chi allarga di più e chi meno

I primi tre Presidenti della Repubblica Einaudi, Gronchi e Segni hanno un ruolo sostanzialmente notarile. Con Pertini e, soprattutto, con Cossiga c’è una fase interventista. Poi inizia quello che gli esperti definiscono il «pro-attivismo presidenziale». Ci sono Presidenti della Repubblica che giocano un ruolo da pilota con i «governi del Presidente», tenendo in piedi una legislatura o rinviando le elezioni anticipate. Oppure opponendosi alla nomina di determinati ministri. Scalfaro rinvia le elezioni anticipate per due volte, sostituendo il governo Amato con quello Ciampi (1993) e il Berlusconi I con quello Dini (1995): le due legislature vengono poi sciolte prima del termine. Per Forza Italia il governo Dini è un ribaltone, motivo per cui il partito minaccia (senza poi dar seguito) la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. Sempre nel Berlusconi I Scalfaro stoppa anche la nomina a ministro della Giustizia dell’avvocato Cesare Previti che poi diventa ministro della Difesa. Napolitano allunga la vita del governo Prodi II rinviandolo con decisione propria il 24 febbraio 2007 alle Camere per la fiducia, e poi tenta un ulteriore prolungamento della legislatura con il mandato (fallito) a Marini nel gennaio 2008. Nel novembre 2011, con la crisi del governo Berlusconi IV, Napolitano pilota il lancio del neosenatore a vita Mario Monti e lo porta a diventare premier meritandosi l’appellativo di re Giorgio dall’Economist. Napolitano mette anche un veto alla nomina del magistrato Nicola Gratteri a ministro della Giustizia (governo Renzi), probabilmente considerandolo una personalità troppo autonoma dalla politica. Mattarella blocca, invece, la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia (Conte I) per le sue posizioni critiche nei confronti dell’Ue e della moneta unica. Infine, sostituisce il Conte II con Mario Draghi.

Da arbitri a giocatori

Il Presidente della Repubblica può scendere in campo con i veti alle leggi e il rinvio motivato al Parlamento per nuove delibere: Einaudi lo fa 4 volte, Gronchi 3, Segni 8, Leone 1, Cossiga 22, Pertini 7, Scalfaro 6, Ciampi 8, Napolitano e Mattarella una, per un totale di 61 veti. Ecco i casi più eclatanti. Nel febbraio 1992 Cossiga rinvia al Parlamento la nuova legge sull’obiezione di coscienza perché a suo avviso è un’alternativa troppo facile al servizio militare. La legge arriverà solo nel 1998 con Scalfaro. Nel dicembre del 2003 Ciampi rinvia alle Camere la legge Gasparri sulle telecomunicazioni e il passaggio al digitale terrestre, paventando un rischio per il pluralismo dell’informazione. I rilievi sono in parte raccolti dal governo. Il 6 febbraio 2009 Napolitano si rifiuta di firmare il decreto destinato a fermare l’interruzione dell’alimentazione forzata a Eluana Englaro, definendolo incostituzionale, ponendo così fine alla tragedia umana della ragazza in stato vegetativo da 17 anni. La legge sul biotestamento sarà varata nel 2017.

I messaggi politici

Dei 12 messaggi politici inviati dai Presidenti della Repubblica, alcuni sono particolarmente incisivi. Nel 1975, in tempi di consociativismo, Leone fa un accorato appello sulla necessità che il governo si presenti come un organismo omogeneo e coordinato. Cossiga ne invia sette, cinque sono dedicati all’indipendenza dei magistrati e alle contraddizioni del pianeta-giustizia. Scalfaro interviene sull’importanza dell’Unità nazionale all’indomani di un celebre discorso secessionista del leader della Lega Umberto Bossi. Ciampi preme sulla necessità di pluralismo dell’informazione in piena era Berlusconi. Napolitano dedica il suo unico messaggio alla situazione invivibile delle carceri invitando il parlamento ad agire.

Il potere di grazia

Negli anni ci sono stati scontri istituzionali anche sulla decisione di concedere la grazia a questo o quel detenuto. Nel 1991 il ministro della Giustizia Claudio Martelli ha minacciato il conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale dopo che Cossiga aveva manifestato l’intenzione di graziare il brigatista Renato Curcio. Cossiga decide di non procedere e Martelli rinuncia al ricorso. Successivamente è lo stesso Presidente della Repubblica Ciampi a sollevare il conflitto di attribuzione nei confronti del ministro della Giustizia Roberto Castelli, contrario alla concessione della grazia a Ovidio Bompressi, condannato in via definitiva a 22 anni di carcere per l’omicidio Calabresi. Nel maggio 2006 la Consulta dà ragione a Ciampi: il potere di concedere la grazia spetta al Presidente della Repubblica e il ministro della Giustizia deve solo attestare la regolarità dell’istruttoria. In sostanza il ruolo del Presidente è quello di garante estremo, per questo la sua nomina non può mai prescindere da un alto grado di reputazione e indipendenza, al di là di ogni ragionevole dubbio.

 

di Milena Gabanelli, Simona Ravizza e Alessandro Riggio

Fonte: Corriere della Sera, 10 gennio 2022

redazione grey-panthers:
Related Post