Questa volta parliamo di … Svampirulati

I nomi sfuggono. Ormai sempre più spesso capita che di un film ricordo il titolo e non l’attore, o viceversa, il regista, invece, è un terno al lotto, mi viene in mente una volta su cinque. Stessa cosa per i libri e qualsiasi altra cosa che necessiti una qualche memoria di persone, luoghi e situazioni. Il brutto di tutto ciò è diventare, come dice una mia carissima amica ottantenne con un neologismo illuminante, svampirulata. Svampirulato è un rafforzativo di svampito, che dà l’idea non che alla persona manchino delle rotelle, ma che le rotelle girino a vanvera. Essere svampirulati non è sempre piacevole, per via della mortificazione che si prova di fronte ai propri cedimenti. Lo dico perché nel giro di due giorni ho iniziato tre conversazioni su vari argomenti e puntualmente non sono riuscita a fami venire il mente il nome di qualcuno. Una volta è stato un personaggio storico, l’altra volta uno scrittore e per ultimo un attore, appunto. Sul momento non ci potevo credere, che mi sfuggisse un dato che mi pareva di detenere saldamente. Così ho investigato negli anfratti del mio cervello, certa di trovare la parola magica che per un attimo – passeggero, intendiamoci – era venuta a mancare. Invece non arrivava e così mi sono chiusa in un silenzio, fissando il vuoto alla ricerca della risposta, che proprio non voleva saperne di arrivare. Mi sono depressa.

Deprimermi per la mia condizione di svampirulata ancora lo sopporto, finché le persone intorno a me sorridono e sono solidali, anche perché capita a giovani e meno giovani di avere momenti di amnesia. Mi spaventa, invece, immaginare che un giorno, spero il più lontano possibile, la mia smemoratezza diventi talmente evidente e continua da provocare imbarazzo nelle persone intorno a me. Come farò allora? Me ne accorgerò? Non lo so, non ho voglia di pensarci adesso, anzi non ci voglio pensare proprio.

Viviamo in una società in cui bisogna essere sempre prestazionali, troppo prestazionali, ma credo di aver vissuto abbastanza anni per non dover più dimostrare di essere campione olimpico in tutto ciò che faccio. Non ho più alcun desiderio di competere, preferisco osservare. Eccolo qui, il bello del diventare vecchietti svampirulati: avere l’imperdibile occasione imparare ad accettare le imperfezioni  fisiche e mentali e i conseguenti cedimenti senza farne un dramma. Non è meraviglioso potersi permettere di essere così, non dare peso ai giudizi e agli sguardi altrui (tanto ci arriveranno anche loro)? C’è poi la cosa migliore di tutte, che è avere al proprio fianco qualcuno che ricorda, o parimenti non ricorda (mal comune mezzo gaudio), le cose che dimentichiamo. Qualcuno che accetti la nostra svampirulatezza, che, se indirizzata nella giusta direzione, è una beata forma di saggezza. E per quello che non si riesce proprio a ricordare c’è Google.

 

Clementina Coppini: scrive più o meno da quando aveva sei anni, un po’ come tutti. Si è laureata in lettere classiche ma non si ricorda bene come ci sia riuscita. Scrive su Giornalettismo, il Cittadino di Monza (la sua città), El-Ghibli, www.grey-panthers.it e su un paio di giornali cartacei. Ha pubblicato tanti libri per bambini, qualche romanzo come feuilleton su Giornalettismo, un romanzo con Eumeswil e adesso le è venuta questa idea del romanzo in costruzione. Ha una famiglia, due figli, un gatto e si ritiene, non è chiaro se a torto o a ragione, una discreta cinefila e una brava cuoca. Va molto fiera delle sue ricette segrete, che porterà con sé nella tomba.
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