Fiction e miniserie, passione italiana senza tempo, dagli anni ’50

Teleromanzi e miniserie: dal loro boom negli anni ’50 hanno raccontato con il linguaggio del piccolo schermo storie emblematiche di ieri e di oggi, grazie ad Anton Giulio Majano inventore del genere

Le chiamiamo fiction, mutuando il termine dall’inglese, ma c’è stata un’epoca d’oro in cui il loro nome erano sceneggiati e sono stati un vero fenomeno nazionale. Se ne distinguevano di due tipi: teleromanzi (sceneggiati tratti da un’opera letteraria) e originali inediti. La Rai perseguiva con successo il compito educativo di insegnare la lingua e con essa le letteratura e la storia di un Italia ancora culturalmente divisa, con bassi tassi di scolarizzazione specialmente al Sud, ma assai permeabile alle innovazioni che il nuovo mezzo tecnologico poteva offrire. Ed è proprio questo che teneva incollati milioni di telespettatori a partire dagli anni Sessanta, affascinati dai grandi romanzi storici ottocenteschi e da attori che allora muovevano i primi passi e che ben presto sarebbero diventati famosissimi, da Alberto Lupo a Rita Pavone, da Loretta Goggi a Nino Castelnuovo. La ricetta del loro successo era semplice: storie letterarie coinvolgenti, struttura efficace derivata dal mondo del teatro con scenografie essenziali, prevalenza di interni (anche per contenere i costi) e una sceneggiatura che privilegiava il dialogo.

Fiction, alcune delle più emblematiche

La cittadella (1964), tratto dall’omonimo romanzo di Cronin, diretto da Anton Giulio Majano, considerato uno dei padri del teleromanzo italiano di cui parlerò più avanti. Era la storia di un giovane medico scozzese, Andrew Manson (interpretato da Alberto Lupo), inviato a lavorare in un villaggio minerario del Galles. Nello stesso anno passava sul piccolo schermo Il giornalino di Gian Burrasca, (dal romanzo di Vamba e Lina Wertmüller alla regia) andato in onda in 8 puntate dal 19 dicembre 1964 al 6 febbraio 1965. A interpretare il pestifero protagonista una Rita Pavone indimenticabile e la colonna sonora di Nino Rota (poi inseparabile interprete musicale dell’universo di Federico Fellini) tra cui la celeberrima “Viva la pappa col pomodoro”. Degli anni Sessanta non si possono non citare I Promessi Sposi (1967, regia di Sandro Bolchi) passato agli annali della Tv come una pietra miliare anche per l’argomento, il romanzo storico nazionale di Alessandro Manzoni. Renzo e Lucia erano due attori allora sconosciuti: Nino Castelnuovo e Paola Pitagora. E’ ancora Anton Giulio Majano che firma la regia di uno degli sceneggiati di maggior successo di critica e di pubblico: La Freccia nera del 1968 dal romanzo di Stevenson ambientato al tempo della guerra delle due Rose. Tra gli interpreti, una strepitosa Loretta Goggi e Arnoldo Foà. Gli anni Settanta si aprono con Il segno del comando (1971) ancora oggi il capostipite del filone noir dove i vari ingredienti che lo compongono (giallo, fantastico e gotico) si intrecciano in modo convincente e si concludono con Sandokan (di 1976 regia di Sergio Sollima) dai romanzi di Salgari che ha fatto sognare un intera generazione.

Immagini tratte da “La freccia nera”, RaiPlay (https://www.raiplay.it/programmi/lafreccianera)

Anton Giulio Majano, la fortuna della fiction

La fortuna di questo genere si deve ad Anton Giulio Majano, regista e sceneggiatore, padre del teleromanzo italiano. Abruzzese di nascita, ma romano d’adozione (muore a Marino, nei castelli romani, nel 1994) ufficiale di cavalleria e partigiano, talento puro che muove le prime mosse con racconti letterari pubblicati su giornali prebellici. Si dedica poi alla radio e al cinema ma con l’avvento della Tv ne intuisce subito il grande potenziale. Nel 1955 capisce che il piccolo schermo può ‘reggere’ racconti a puntate e firma la regia di Piccole donne in onda dal 12 novembre per quattro settimane. Da allora si dedica all’adattamento e alla regia degli sceneggiati più importanti degli anni Sessanta e Settanta. Il suo stile didascalico che esalta il lato melodrammatico delle storie risente senz’altro della società a cui si rivolge, un’Italia cattolica e incline alle morali edificanti, ma il valore autentico del suo lavoro, realizzato con gli scarsi mezzi tecnici a disposizione, e la feconda produzione ne fanno l’inventore unanimemente riconosciuto.

Fiction dei giorni nostri

Dagli anni ’80 a oggi il genere fiction entra in una nuova era: i canali tv si moltiplicano, l’influenza delle serie americane si fa più stringente, i temi si mescolano e si aprono alle nuove frontiere di una società moderna. Giova citare l’esempio paradigmatico de La Piovra, in onda dal 1984 al 2001 venduta in oltre 80 nazioni, che ha tenuto incollati oltre 10 milioni di spettatori.

Venendo ai nostri giorni, la fiction ha cambiato pelle: ha moltiplicato i suo broadcaster (da Mediaset a Sky Cinema fino alle pay Tv come Netflix), ha aggiornato le sue tecnologie produttive, ha esplorato altri tematiche, dal pop al crime, dalla cronaca storica a quella sportiva (Da La Piovra a Gomorra, da Elisa di Rivombrosa a Rita Levi Montalcini, da Perlasca a Il grande Fausto -Coppi- ), ma non ha mai smesso di raccontare per immagini storie fondamentali della nostra cultura.

Valentina Zavoli:
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