La selezione di ottobre II, di Ferruccio Nuzzo

Vito Paternoster

The chinese Four Seasons, The korean Four Seasons, Stille-Adeste-Pizza Santa Lucia – Mariano Paternoster: Matera 2019, Suite bucolica – Vito Paternoster: violoncello, Orchestra italiana Le Quattro Stagioni – Baryton Records (65’12)

Antonio Vivaldi: The Four Seasons in forma di sonata – Vito Paternoster: violoncello, Michele Visaggi: clavicembalo – Baryton Records (49’50)

Un personaggio veramente singolare, Vito Paternoster, un elettrone libero nel mondo pur troppo affollato della musica classica in generale e barocca un particolare, variegato da mille tendenze e conflitti, tra i partigiani dello strumento d’epoca e della fedeltà all’originale ed i progressisti che sublimano (o corrompono) Giovanni Sebastiano Bach con il sassofono o con la fisarmonica (vedi, più avanti, Élodie Soulard). Conflitti dai quali raramente vien fuori qualcosa di veramente originale (e, sopratutto, non gratuito).

Originale, il nostro Vito – violoncellista e compositore, nato a Matera e che al Sud è rimasto sentimentalmente e musicalmente legato – lo è di certo, e proteiforme: già la copertina di un suo cd ce lo mostra in quattro versioni: con o senza cappello, con o senza cravatta…, ma la sua natura musicale va ben al di là del simbolismo dell’abbigliamento. La partitura è per lui – almeno in questi due dischi – lo spunto per un viaggio fantastico nel tempo e nello spazio, ed il suo violoncello lo strumento che gli permette di sorvolare i secoli e le culture, rinnovando un repertorio sin troppo conosciuto attraverso il caleidoscopio di modi musicali esotici, estranei alle nostre abitudini d’ascolto.

Le Quattro Stagioni di Vivaldi, quindi, «alla cinese» per cominciare, riconoscibilissime, certo, ma attraverso i filtri spaesanti della scala pentatonale e malgrado l’inserzione di motivi popolari come La canzone del gelsomino o La luna d’argento. Poi le stesse in versione coreana, con analogo procedimento di inserzione di modi e di temi di quel paese. Anche se non si è uno specialista di musica etnica il risultato è piacevolissimo, sopratutto perché il contributo di Vito Paternoster, compositore e interprete, è appassionato, e la fusione di musica colta e di filologia musicale, è convincente, con un forte impatto comunicativo e ricco di una non comune modernità espressiva.

Seguono tre brevi composizioni originali: Pizza Santa Lucia, Stille e Adeste, un pastiche di temi popolarissimi contaminati anch’essi dalle Quattro Stagioni. E, per finire, due composizioni scritte in collaborazione con il figlio Mariano e dedicate a Matera in quanto Capitale europea della cultura 2019 ed a temi bucolici legati a quella terra del Sud.

Il secondo cd è più tranquillo: sempre Vivaldi e Le Quattro Stagioni, questa volta in forma di sonata, per violoncello con accompagnamento di clavicembalo. Per me gli strumenti “barocchi” non sono una maniera di riprodurre un passato che, a mio avviso, è un’altra sterile illusione,  ma sono un patrimonio che arricchisce la tavolozza della modernità. E così come Bach prendeva spunto dalla tradizione popolare per costruire una sua estetica, così anche io prendo spunto dalle cose più futili, per trasformarle in qualcos’altro, ha detto Vito Paternoster, e questa piacevolissima, liberissima edizione di una musica che, ormai, affogava, appunto, nella futilità, è la migliore dimostrazione e conferma delle idee dell’originale virtuoso.

sul sito di Magnatune potete ascoltare ampi estratti delle Chinese Four Seasons e Korean Four Seasons e delle Quattro Stagioni in forma di sonata

inoltre, su YouTube, potrete vedere Caterpillar (Il bruco), una geniale creazione del matematico americano Stephen Malinowsky sul Preludio della Suite Sol maggiore per violoncello solo di Johann Sebastian Bach nella sensibile interpretazione di Vito Paternoster.


William Byrd

Walsingham – Jean-Luc Ho: organo e clavicembalo – Encelade (70’)

Images of Melancholly

Jean-Luc Ho: clavicembalo – NoMadMusic (50’)

Walsingham è il titolo di una ballata popolare inglese di epoca elisabettiana, ed un famoso luogo di pellegrinaggio mariano (poi distrutto dai protestanti), al quale la ballata si riferisce:

As I went to Walsingham, / To the shrine with speed, / Met I with a jolly palmer / In a pilgrim’s weed.

(In cammino per Walsingham / affrettandomi verso il santuario / ho incrociato un gaio penitente / vestito come un pellegrino).

Se il nome di Walsingham è giunto sino a noi è grazie al fatto che il motivo della ballata è stato sorgente d’ispirazione per almeno due famosi compositori inglesi, primo tra tutti William Byrd (ca 1543 – 1623), considerato già ai suoi tempi come il padre della musica britannica, che compose sul tema 22 variazioni impregnate di malinconia e velate di nostalgia (il secondo fu John Bull, con trenta Variazioni).

E Walsingham è il titolo dell’affascinante cd che Jean-Luc Ho dedica alle musiche per tastiera di William Byrd, con un programma composto da Pavane, Fantasie, Inni e altri brani estratti dai suoi diversi libri, tra i quali il famoso Fitzwilliam Virginal Book ed il My Ladye Nevells Booke (Il Nuovo Libro della Mia Donna). Sopratutto interessanti sono gli strumenti impiegati da Jean-Luc Ho per far rivivere questa delicata, affascinante musica, ancora rinascimentale anche se vivificata dai colori di un’aurora barocca. Si tratta di un organo ricostruito su un modello di Johann von Koblenz del 1511 e di un clavicembalo di modello italiano (Trasuntino) opera del fattore giapponese Ryo Yoshida. Questo strumento è accordato secondo il sistema mesotonico; non posso spiegarvi gran cosa a proposito di questo sistema, adoperato in epoca rinascimentale, tuttavia facilmente riconoscibile grazie alle preziose sonorità ed alle inquietanti armonie dovute ad un’accordatura diversa da quella (temperata) alla quale siamo abituati.

Nel secondo disco Immagini della Malinconia, che – nonostante il titolo inglese (ispirato alla languida Pavana di Holborne – Image of Melancholly – che conclude il cd) – è più prossimo alla nostra cultura e ai nostri gusti barocco-europei, Jean-Luc Ho, con la sua appassionata sensibilità, traccia una vasto paesaggio del XVII secolo al clavicembalo, pescando tra i tesori più o meno conosciuti dei manoscritti, da J.S Bach a Muffat, passando par Rossi, de Grigny, Battiferri e d’Anglebert. Si tratta di musiche per lo più mai registrate (ad eccezione del notissimo Nun komm, der heiden heiland BWV659 di Bach), tutte velate di quella malinconia che gli Illuministi giudicavano «propizia alla comprensione delle cose più complesse».

Questo cd, secondo una tendenza che si va affermando sempre di più nel mondo della musica registrata, non esiste, per ora, concretamente, ma è in vendita, su internet, dove si può ascoltare e scaricare. http://nomadmusic.fr/shop/image-of-melancholly

e qui potete ascoltare gli estratti di Walsingham


Élodie Soulard

Portraits – Élodie Soulard: fisarmonica – NoMadMusic (51’50)

L’utilizzazione della fisarmonica per il repertorio classico non è, certo, una novità, ed esistono prodigiosi solisti che affrontano pagine gelosamente riservate – d’abitudine – a strumenti come il clavicembalo il cui suono – scandito e trasparente – è quanto di più lontano si possa immaginare da quello, appunto, della fisarmonica (cfr. Stefan Hussong e la sua esemplare interpretazione del capolavoro di Johann Sebastian Bach, le Variazioni Goldberg).

Lo straordinario disco di Élodie Soulard aggiunge una voce nuova al repertorio – sia di composizioni originali che di trascrizioni – per questo strumento. Le fisarmoniche che sino ad ora ho ascoltato suonare musica classica sono strumenti sofisticati, al limite del travestimento, il cui suono potrebbe facilmente essere preso per quello di un organo (o di un armonium); quella di Élodie – un modello russo, di tipo cromatico – ha invece il suono riconoscibilissimo – aspro, talvolta un po’ aggressivo, ma al tempo stesso trasparente e mai equivoco – dello strumento popolare che tutti conoscono. Ma Élodie è una virtuosa straordinaria ed una grande musicista, ed il suo strumento è un magico tappeto volante che sorvola e racconta i paesaggi più diversi con un suo linguaggio ben preciso, senza mai imitare, senza fingere di essere altro che una fisarmonica, assumendo e traducendo i linguaggi più complessi, come nella Dédicace à Igor Stravinsky (Dedica a Igor Stravinsky) del russo Volodymyr Runchak, con gli straordinari ritmi della Sagra della Primavera.

Il programma del cd è vasto, dalle limpide trascrizioni di Johann Sebastian Bach – la Suite inglese n°2 BWV 807 in la minore – alle composizioni originali di contemporanei, come le Méditations del russo Viacheslav Semionov – attraverso le rutilanti trascrizioni da Schubert, Liszt, Boëlmann e Grieg.

Guardate questo bel teaser nel quale Élodie Soulard suona qualche estratto del cd e illustra appassionatamente il suo amore per la fisarmonica.


alla breve :

Les Musiciens et la Grande Guerre XII

Pensées intimes: Pfitzner, Boulanger, Antoine, Kelly – Guillaume Sutre: violino, Steven Vanhauwaert: pianoforte – Hortus (73’58)

Les Musiciens et la Grande Guerre XIII

Clairières dans le ciel: Boulanger, Migot, De la Presle, Ropartz, Vellones – Cyrille Dubois: tenore, Tristan Raës: pianoforte – Hortus (73’44)

Ancora due numeri della preziosa, interessantissima collezione, Les Musiciens et la Grande Guerre che Hortus pubblica in occasione del centenario della prima Guerra Mondiale. Che ricordiamo, oggi, delle opere dei compositori morti al fronte (musica spesso scritta nel fango delle trincee, occupando il tempo delle veglie, seguendo idee ed ispirazioni sopravvissute al fragore delle esplosioni), o delle composizioni scritte nell’immediato dopo guerra? Il primo cd raccoglie, nella sensibile interpretazione del violinista Guillaume Sutre e del pianista Steven Vanhauwaert, le Sonate di compositori delle più differenti origini: l’australiano F. S. Kelly, il tedesco Hans Pfitzner ed i francesi Georges Antoine e la giovane Lili Boulanger (sorella di Nadia, cui tanto deve la musica contemporanea). Il secondo è dedicato alle melodie – quasi tutte inedite o dimenticate – che esprimono i sentimenti profondi del soldato al fronte e di chi è restato lontano dalla battaglia: ideali densi di nostalgia e reazioni drammatiche o sarcastiche all’assurdità del conflitto. Anche qui l’interpretazione del Duo Contraste – Cyrille Dubois e Tristan Raës – è appassionata e coinvolgente.

Quid sit Musicus ?

Philippe Leroux, Gillaume de Machault, Jacob de Senlèches – Ensemble Solistes XXI, Rachid Safir: direzione musicale – Soupir Editions (54’23)

All’inizio del VI secolo, Boezio, nel suo De institutione musica si domanda «Quid sit Musicus ?», cioè chi sia il musicista: colui che suona? colui che compone o colui che ascolta? (o, aggiungerei io, il tecnico del suono, strumento indispensabile della realizzazione delle musiche elettroacustiche e delle registrazioni, oggi il massimo veicolo di trasmissione del messaggio musicale?).

In questo interessante cd, le composizioni di Philippe Leroux intrecciano le voci ed il fragile suono della viola da braccio e del liuto medievale dei mottetti, ballate e rondò di Guillaume de Machaut e Jacob de Senlèche, alle sonorità inquietanti suscitate dalle tecniche elettroacustiche.

La cara, indimenticabile Cathy Barberian, si sarebbe deliziata di queste musiche!

qui troverete un’interessante documento dell’Ircam (l’Istituto di ricerca e coordinazione acustico/musicale di Parigi, creato da Pierre Boulez) – che ha commissionato l’opera – con le musiche e qualche spiegazione (in francese)

Ferruccio Nuzzo: Dopo una lunga e distratta carriera di critico musicale (Paese Sera, Il Mondo), si è dedicato alla street photo, con una specializzazione ecclesiastica. Vive in campagna, nel sud-ovest della Francia, ove fiere e mercati hanno sostituito cattedrali e processioni. Continua, tuttavia, a mantenere contatti con il mondo della musica, soprattuto attraverso i dischi, e di queste sue esperienze rende conto nella rubrica "La mia Musica. Suggerimenti d'ascolto".
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