La selezione di settembre, di Ferruccio Nuzzo

Dumka

Mussorgsky, Glinka, Balakirev, Tchaikovsky, Stravinsky – Kotaro Fukuma: pianoforte – Hortus (68’07’’)

Claude Debussy

Reflets dans l’eau – Kotaro Fukuma: pianoforte – Hortus (70’49’’)

Albeniz

Iberia – Kotaro Fukuma: pianoforte – Hortus (42’ + 45’)

Avendo già detto tutto il bene possibile di Kotaro Fukuma per il suo cd dedicato a Chopin, mi sono ora procurato, per parlarvene, le precedenti registrazioni di questo grande pianista giapponese che Hortus ha presentato in Europa.

Chopin è, a modo, suo un compositore pericoloso, per chi lo interpreta e per chi ascolta. Credo sia inevitabile che l’interprete finisca, in un modo o in un altro, per identificarsi a lui – che fu uno dei più grandi pianisti dei suoi tempi – nella ricerca delle sonorità,  del virtuosismo di questa divinità della tastiera da sempre indissolubilmente legata all’evocazione dei suoi concerti, magici, rari eventi riservati ad un pubblico ristretto (Chopin non amava le grandi sale da concerto e dava, comunque, più importanza alla sua attività di compositore).

Il fatto di aver scoperto Kotaro Fukuma ascoltando il suo Chopin me ne aveva imprigionato l’immagine in una cornice lusinghiera ma inevitabilmente limitata, ed ho ben fatto a cercare le sue altre interpretazioni. Le più rivelatrici, illuminanti, per cominciare, sono quelle del cd Dumka. Di che cosa si tratta, cos’è questa Dumka ? Dumka è una parola ucraina che vuol dire «pensiero», ma che definisce anche un genere musicale nel quale – come in una ballata epica – si alternano una parte lenta, malinconica ed una parte danzante, esuberante. E su questa alternanza Kotaro ha strutturato il programma del cd, dal lirismo dei Quadri di un’esposizione di Modest Mussorgskj alla danza caucasica di Islamey di Mily Balakirev, e dalla nostalgia de l’Alouette di Mikhail Glinka allo scatenarsi dell’Uccello di fuoco di Igor Stravinsky.

«Avevo cinque anni – racconta Kotaro Fukuma – quando ascoltai per la prima volta il 1° Concerto per pianoforte di Tchaikovsky. Ho subito osato suonarlo (non importa come!) giusto per farmi piacere. Più tardi ho studiato con il mio professore il mio primo brano di musica russa, Dumka, dello steso autore. Provai molto piacere a suonarlo, anche se sentivo che ancora la musica russa non era nelle mie corde …». Il tempo è passato da allora, e in questo suo disco Kotaro ci da di queste musiche una sua visione, libera, non soggiogata dai luoghi comuni che spesso le accompagnano, sopratutto quelle che – per la loro natura essenzialmente sinfonica, come – i Quadri di un’esposizione o L’Uccello di fuoco – sono per l’interprete una meta ben diversa da quella, totalmente pianistica, delle opere di Chopin. E questa meta Kotaro Fukuma la raggiunge senza alcun esibizionismo parodistico, in una serena evocazione di quell’anima russa che, bambino, lo aveva affascinato e che ora lo abita.

Debussy e l’acqua come sorgente d’ispirazione sono il soggetto del secondo cd – che si intitola, appunto, Riflessi nell’acqua. Kotaro lo ha registrato in occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita del compositore, approfittando di uno Steinway del 1912 – suo contemporaneo, quindi – uno splendido strumento che ricrea idealmente le liquide ed iridate sonorità di Ondine, La cattedrale sommersa, Pesci d’oro e I giardini sotto la pioggia, che con Riflessi nell’acqua e altri notissimi brani – come Chiaro di luna e Campane attraverso le foglie – formano il programma del disco.

«Rien de plus cher que la chanson grise / où l’indécis au précis se joint» («Niente è più caro della grigia canzone / ove l’indeciso al preciso si sovrappone») scriveva Paul Verlaine, ed è questa la più bella descrizione delle sonorità di Debussy che, appassionato di ed ispirato dalla delicatezza della pittura giapponese è – penso – il compositore che più è congeniale alla sensibilità che anima il virtuosismo di Kotaro Fukuma e che più serenamente abita le sue riflessioni, con una spontaneità che non ha nulla di culturale.

Poi ascolto Albeniz – Iberia – il terzo degli album che vi presento (2 cd) – e sono pronto a cambiare idea. Evidentemente, la musica dell’indisciplinato compositore spagnolo, tanto apprezzato da Debussy, è più scarna, essenziale se non austera, meno incline al sogno condiviso anche se pur sempre evocatrice di atmosfere incantate al di là della semplice illustrazione folkloristica, ed è in questa evocazione di una Andalusia in bianco e nero che Kotaro rivela una nuova faccetta della sua meravigliosa sensibilità.

Tre registrazioni che mi hanno fatto passare di sorpresa in sorpresa. Cosa ci riserva il prodigio giapponese per i suoi prossimi dischi?

ascoltate gli estratti di Dumka, Reflets dans l’eau e Iberia.


 

The Cello in Spain

Boccherini and other 18th century virtuosi – Josetxu Obregón: violoncello, La Ritirata – Glossa (57’14)

C’è chi fa iniziare a Bologna la lunga e fortunata carriera solistica del violoncello, altri attribuiscono a Napoli questo primato. Lasciamo agli specialisti il privilegio dell’accademico conflitto e godiamoci oggi tutto il colore – ed il calore – che la Spagna apportò alla musica per questo strumento, sia solista che protagonista in ensembles da camera o in concerti. È il programma che ci propone il grande virtuoso spagnolo Josetxu Obregón – di cui già vi parlavo due anni or sono per il suo cd Il Spiritillo Brando – con un nuovo disco dedicato, appunto, al violoncello in Spagna.

Bisogna subito dire che se il repertorio per questo strumento, con le sue sensuali sonorità, così prossime a quelle della voce umana, ebbe modo di svilupparsi trionfalmente nella penisola iberica per raggiungere poi da lì la Francia e tutta l’Europa, fu, sopratutto, grazie ad un italiano, il lucchese Luigi Boccherini. Il quale, avendo mostrato giovanissimo le sue eccezionali doti musicali, ed al seguito di una carriera itinerante in Italia, a Vienna ed a Parigi, si stabilì in Spagna al servizio della Corte e di alcune nobili famiglie come compositore e violoncellista virtuoso, per 37 anni e sino alla sua morte a Madrid. Non si può proprio dire che la vita di questo genio sia stata felice. A quell’epoca i musicisti – salvo alcune rare eccezioni, Haydn, per esempio – quando erano al servizio di una Corte, pur godendo di una certa sicurezza del loro impiego, eran considerati poco più che dei servitori (e talvolta dovevano assumerne i ruoli …); a Boccherini, inoltre, la distanza da Lucca pesò come un esilio. Tuttavia, e malgrado queste penose condizioni di vita, le sue numerosissime composizioni – che integrano tutti i colori e la festosa vitalità del folklore spagnolo – hanno irradiato per tutta l’Europa una poesia piena di nostalgia ma illuminata dagli slanci di chi, sino all’ultimo, ha trovato nella musica una ragione di vita.

Due opere di Boccherini aprono – e chiudono – il programma del cd : la Sonata n°2 in Do maggiore G.6 ed il Fandango dal Quintetto con chitarra in re maggiore G.448 (Boccherini, oltre ad aver fatto evolvere la tecnica del suo strumento, fu l’«inventore» de Quintetto con chitarra e con pianoforte e del Quintetto con due violoncelli). Josetxu Obregón è splendido interprete della musica di Luigi Boccherini; profondo e sensuale il suono del suo strumento suggerisce più che imporre le atmosfere iberiche – ascoltate il Fandango, accompagnato dalle crepitanti nacchere di David Chupete – ma sopratutto evoca mirabilmente, in filigrana all’entusiasmo delle forme, tutta la nostalgia dell’esilio.

Completano il cd le musiche di altri compositori del ‘700, spagnoli – Pablo Vidal e José Zayas – italiani (ma attivi in Spagna) come il veneto Giuseppe Antonio Paganelli ed il pugliese Francesco Paolo Supriano, ed ancora il francese Jean-Pierre Duport con la sua Sonata dedicata al Duca d’Alba. La Ritirata accompagna Obregón dando ancora una volta prova esemplare di eleganza, ricchezza di timbri e fantasia di prospettive sonore.

ascoltate gli estratti di The Cello in Spain


Marco Uccellini

Sonate over Canzoni – Arparla, Davide Monti: violino, Maria Christina Cleary: arpa doppia – Stradivarius (78’53’’)

Uccellini, chi era costui ? ben poco si sa di questo compositore dal nome (o soprannome ?) pittoresco e che ben rappresenta la sua musica, serena, agile e lieve. Marco Uccellini è nato nel 1603 a Forlimpopoli – come in un racconto delle Fate -; studiò al seminario di Assisi e fu poi Maestro di cappella a Modena e Parma. Nient’altro è stato tramandato, se non una reputazione di gran virtuoso del violino testimoniata dalle sue numerose composizioni per questo strumento che, nonostante l’apparenza di cui sopra, sono di una diabolica difficoltà, implicando nuove ed complicate tecniche della mano sinistra – sino alla settima posizione –  e la scordatura (una tecnica basata su una accordatura del violino diversa da quella convenzionale per ottenere effetti sonori inusuali, variare il timbro dello strumento o rendere possibile l’esecuzione di particolari accordi).

La vera difficoltà – al di la di quelle tecniche – nell’interpretazione di questa musica è il rischio di ridurla ad un puro esercizio acrobatico, svuotandola del suo soffio poetico. Arparla, cioè Davide Monti al violino e Maria Christina Cleary all’arpa doppia, vivono questo programma facendosi gioco di tutte le difficoltà ed animandolo degli affetti, lo rendono «visibile» associando alla musica parole e immagini e condividono umori e passioni con gli ascoltatori offrendo un panorama sonoro diverso per ogni brano. Le 14 Sonate, tranne la fanfara finale Tromba, non hanno all’origine titolo, ma – per rendere più visibili gli affetti di cui sopra – ne è stato attribuito uno a ciascuna : La Bugia, La Perseveranza, La Gelosia, L’Operazione perfetta, e così via: ciascuno di questi piccoli capolavori ha un’identità, sta a voi verificarla …

Trovo geniale l’associazione al violino dell’arpa doppia (d’origine spagnola, questo strumento, dotato di un doppio ordine di corde parallele, fu molto popolare in Italia alla fine del XVI secolo): l’eleganza del gesto è ancora più evidente nell’aereo tracciato musicale (dovete sapere che Davide Monti è anche appassionato spadaccino, ed ha dedicato un interessante saggio al rapporto tra il tirar di scherma e l’arte dell’archetto). Il violino di Ulrike Engel dialoga talvolta con quello di Davide; Alberto Rasi alla viola da gamba e Massimo Marchese alla chitarra barocca assicurano il sostegno agli slanci ed alle involate del violino e dell’arpa (che ogni tanto si allontana, sola e serena, dai fremiti del suo  vertiginoso compagno). Nella fanfara finale Tromba sordina per sonare con violino solo “Il poema eroico” – ed è il violino che si trasforma in trombetta! – Marco Muzzati con ogni sorta di tamburi e tamburelli movimenta il panorama sonoro.

Una pura delizia ! un disco veramente “estivo”, e un soffio nuovo per la musica barocca.

ascoltate di estratti di Uccellini.

Ferruccio Nuzzo: Dopo una lunga e distratta carriera di critico musicale (Paese Sera, Il Mondo), si è dedicato alla street photo, con una specializzazione ecclesiastica. Vive in campagna, nel sud-ovest della Francia, ove fiere e mercati hanno sostituito cattedrali e processioni. Continua, tuttavia, a mantenere contatti con il mondo della musica, soprattuto attraverso i dischi, e di queste sue esperienze rende conto nella rubrica "La mia Musica. Suggerimenti d'ascolto".
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