La Sindrome Messaggistica da Solitudine (SMS per gli amici)

Viviamo in un mondo di gente distratta. È il mondo di WhatsApp e dei suoi fratelli, che pullula di gente che ti parla solo quando ha voglia, quando le costellazioni sono posizionate in modo corretto, quando si presenta la perfetta congiunzione astrale. Tu stai bene, ma potresti essere caduto in fondo a un burrone e a nessuno interessa sapere come te la passi e ciò che hai da dire, a meno che non sia il giorno giusto. Per loro, non per te. Facciamo tutti così, ormai: rispondiamo solo quando abbiamo una necessità o del tempo da perdere. Allora sì che pretendiamo che l’interlocutore ci dia immediatamente retta, salvo poi far cadere la sua risposta nel vuoto, se ci viene in mente di fare dell’altro o di parlare con qualcuno di diverso. Non c’è più età per questo: dal ragazzino di prima elementare a Matusalemme siamo con la testa china sugli schermi degli smartphone a digitare messaggi. E ad aspettare riscontro. Ora non è più come quando sentivi il segnale di occupato al telefono o quando la linea era libera, ma la persona che cercavi assente. Allora potevi pensare che non ci fosse. Ora è peggio. Il silenzio ti ferisce perché WhatsApp e compagnia bella ti comunicano persino che la persona ha letto il messaggio, così puoi sapere se ha deciso per motivi suoi di non risponderti.

Forse il tuo messaggio è rimasto in sospeso perché il destinatario era occupato, come capita. Ma alla fine non riesci più a capire le sfumature e resti deluso o ti arrabbi. Eppure tu stesso ti comporti nello stesso modo, perché non si può stare online ogni momento. Il buonsenso suggerisce ciò, ma il desiderio di immediatezza nella comunicazione, quando viene frustrato, genera una sorta di obnubilamento. In sostanza questi nuovi strumenti, che dovrebbero abbattere i problemi di comunicazione, hanno modificato la socialità, che ormai intendiamo secondo una logica di botta e risposta che pretendiamo sia rapidissima, sebbene così, per molti motivi legati alla quotidianità, non possa essere sempre. Paradossalmente i nuovi media ti costringono tuo malgrado a riflettere. Se uno non risponde finisci per chiederti cos’hai detto di sbagliato, ti ritrovi a farti domande esistenziali, quando forse il tuo interlocutore sta semplicemente lavorando o gestendo faccende noiose o, sì, si diverte persino senza di te. Non è che non vuole parlarti, ma proprio in quel preciso istante non può. E se anche non volesse? Uno avrà pure il sacrosanto diritto di non essere sempre presente. O no? Se uno non risponde non vuol dire che non ti considera, sebbene chi tiene a te prima o poi il tempo per buttare giù due righe lo trova. Chi non risponde tutto sommato può essere persino dimenticato. Ecco, tutto considerato la nuova messaggistica aiuta pure a scremare.

L’ansia da risposta al messaggino è un disturbo che ormai colpisce milioni di individui. Se non ricevi riscontro hic et nunc diventi nervoso, non riesci a concentrarti su quello che dovresti fare, ti senti solo. Eccola qui quella che possiamo definire la Sindrome Messaggistica da Solitudine, SMS per gli amici.

E questi sarebbero i rapporti umani? Sì, sono quelli di questi tempi, anche se solo in parte, anche se non è vietato vedersi o parlarsi di persona. Questi nuovi mezzi accorciano le distanze, ma non in tutti i momenti e non per tutti nello stesso modo. A volte le allungano, ma non sempre il fatto è negativo come pare. A volte rappresentano un modo per stare vicini a qualcuno che si ama senza essere ossessivi e pedanti, a volte l’esatto opposto. A volte aiutano a fingere di essere in contatto con chi in realtà è ormai distante anni luce da noi. Si tengono lì il nome e la foto del profilo e ogni tanto si manda un saluto. Consentono di simulare ciò che non si prova, ma anche di stemperare emozioni e passioni.

Nel magico mondo della messaggistica si sono sviluppati molti sottogeneri. C’è quello che manda faccine, immagini e video di buongiorno e buonasera e buon tutto, c’è quello che delira, quello che fa affermazioni sconvenienti e discutibili, quello che se ti scrive le cose si vergogna di meno che a dirtele e via discorrendo. La cosa stupefacente è che questo mezzo di comunicazione, nuovo e insieme vecchio come Omero, venga considerato facile e immediato: in realtà non lo è affatto. Si presta a continui errori e fraintendimenti proprio perché utilizza la parola scritta, la quale appunto resta. Crediamo di detenere il mezzo, ma non è così. Affamati come siamo d’immediatezza nella comunicazione finiamo per trascurare la riflessione che dovrebbe stare all’origine di ciò che mettiamo per iscritto. Trasmettere pensierini da poco alla velocità della luce che senso ha, quando siamo gli esseri umani che hanno più scritto dall’inizio dei tempi e insieme quelli che pensano meno prima di scrivere?

Chi non risponde non è detto che sia annoiato da te o disinteressato alle tue questioni: potrebbe darsi il caso che stia riflettendo su ciò che hai detto e pensando a cosa replicare di sensato. Il che, in un mondo di anime che sproloquiano a vanvera, non è poi così una cattiva idea. D’altronde “tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri”

Clementina Coppini: scrive più o meno da quando aveva sei anni, un po’ come tutti. Si è laureata in lettere classiche ma non si ricorda bene come ci sia riuscita. Scrive su Giornalettismo, il Cittadino di Monza (la sua città), El-Ghibli, www.grey-panthers.it e su un paio di giornali cartacei. Ha pubblicato tanti libri per bambini, qualche romanzo come feuilleton su Giornalettismo, un romanzo con Eumeswil e adesso le è venuta questa idea del romanzo in costruzione. Ha una famiglia, due figli, un gatto e si ritiene, non è chiaro se a torto o a ragione, una discreta cinefila e una brava cuoca. Va molto fiera delle sue ricette segrete, che porterà con sé nella tomba.
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