La nostra produzione di aprile

In questa puntata i lavori realizzati per il mese di aprile  2014 nei corsi di scrittura creativa all’Humaniter:  oltre al Diario del mese, un racconto dal titolo “La scogliera”

 

 

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 di Amelia Colombo  Chiara Franzini  Germana Lodigiani  Wanda Roda  

La scogliera

Corso di Scrittura Creativa © a cura di Lidia Acerboni

Era stato un periodo difficile e non riuscivo a venirne fuori. Molti miei amici non erano più tornati dalla guerra, la donna con cui pensavo di costruirmi una vita se n’era andata senza motivo,  soldi ce n’erano pochi e il lavoro faticava a progredire.
Mi dibattevo tra stati d’ansia e feroci mal di testa, il sonno non veniva mai e se cadevo in un torpore malsano i sogni mi tormentavano. Il futuro era avvolto dalla nebbia, e presto caddi in depressione.
Il mio medico mi consigliò un periodo di riposo lontano da tutti, e di pensare il meno possibile. Rinvigorire il corpo, diceva, è la base per ripartire.
Scelsi un minuscolo paese arroccato in cima a una scogliera a picco sul mare: non era granchè, ma una stanza costava pochissimo e c’erano spazi attorno per poter passeggiare senza incontrare anima viva.
Da tre giorni perlustravo il territorio, ma per quanto camminassi la fatica non mi portava il sospirato sonno notturno: mi rigiravo nel letto con gli occhi sbarrati e pensieri foschi mi affaticavano la mente. Furioso, la quarta notte mi ritrovai fuori casa, sotto una luna fredda, e decisi di andare a guardare il mare dalla scogliera, tentato forse di fare un gesto decisivo e porre fine all’angoscia.
Attraversai le vie strette del paese come un’ ombra, neanche un cane in giro. Lasciai alle spalle le ultime case e mi incamminai su per un viottolo ripido. Man mano che salivo un vento freddo mi investiva sempre più insistente. A testa bassa vedevo i miei piedi procedere sull’acciottolato lucido di umidità. Rabbrividii – sono i primi di giugno, ma quando si decide a venire questa maledetta estate?- Chiusi il giubbotto e tirai su il bavero deciso a raggiungere la mia meta.
Scelsi il punto più alto della scogliera per affacciarmi: ero in bilico sull’orlo del mondo. Una raffica di vento mi spinse facendomi oscillare. Spaventato a morte mi aggrappai alla roccia.
No…no non faceva per me…non sarei  mai stato capace di lanciarmi nel vuoto. Sorrisi di me stesso e cercai un punto dove sedermi un po’ più al riparo. Il biancore della luna illuminava in fondo allo strapiombo una piccola insenatura sabbiosa e sulla spiaggia camminava una donna. Doveva essere bionda e vestita di chiaro perché, da lassù, mi pareva d’argento. La guardai a lungo incredulo che fosse da sola a quell’ora di notte, che ci faceva lì ? Come ci era arrivata? Non vedevo imbarcazioni né vie d’accesso.
Improvvisamente la figura svanì risucchiata da una zona d’ombra, inghiottita da un buco nero.
Ne sentii da subito la mancanza.

Ha portato con sé le cartine e il tabacco:  il fumo, la gestualità di preparare la sigaretta, è l’unico modo che ha per  rilassarsi. Non vede bene è buio c’è solo la luna che illumina il paesaggio la figura misteriosa si attarda in riva al mare e poi si volta e torna indietro inoltrandosi verso il bosco, sparendo dalla sua vista.
La sua angoscia si attenua, ora i suoi pensieri sono rivolti alla creatura misteriosa che ha appena visto che, come lui, non riesce a dormire.

Dal verbale del 28 giugno 1946:
Quando lo vidi scendere dalla corriera, così magro e impacciato, mi chiesi chi fosse venuto a   trovare nel nostro paese. Dopo qualche ora me lo vidi capitare in negozio, voleva pane – ma quello morbido, aggiunse – che la vita è già abbastanza dura, signora mia.
 – Un giovanotto come lei cosa ne sa della vita? E’ stato un brutto periodo per tutti, ma vedrà,  l’aspettano i giorni migliori- risposi
 Se ne andò curvo, le mani in tasca e la sciarpa azzurra che gli svolazzava attorno ai capelli   scarmigliati.
 Poi mi dissero che era da noi per riprendersi in salute, ma non lo vedevo migliorare. Aveva  sempre quelle brutte occhiaie e l’aria di uno che se ne scappa da qualcosa.

L’indomani, dopo una notte insonne, decisi di andare in paese per rendermi conto di dove fossi veramente arrivato. Le case di pietra erano abbellite da piccoli balconi fioriti. Le strade, corte e anguste, brulicavano di gente. La piazzetta era piena di bancarelle. Questo non era più il paese che avevo attraversato ieri per andare dal fornaio  Era giovedi, giorno di mercato,  mi dicono. Il palazzo del comune modesto, ma piacevole a vedersi, posto su un lato della piazza era preso d’assalto dalla gente che entrava e usciva. Sull’altro lato della piazza sorgeva la chiesa, un piccolo monumento di stile romanico. Tutti gli uffici erano aperti: le assicurazioni, la banca, la guardia medica. Mi aggirai tra le bancarelle senza vedere la merce che esponevano, ma guardando le persone, cercando una sagoma di donna dai capelli biondi . Niente. Non vedevo che le solite, tipiche persone abbastanza anonime e tutte uguali che abitano questi piccoli paesi lontano dal mondo.
Entrai nella chiesetta. Un organo suonava una dolce melodia, l’atmosfera di quel luogo mi avvolse in un abbraccio che non avevo mai provato. Non c’era anima viva. Tutto sembrava sospeso in una serenità dello spirito lontana dal confuso mondo esterno.
Quando uscii, il frastuono mi sembrò assordante, impossibile da sopportare. Incredibile che un luogo come quello, vuoto e deserto nei giorni normali, potesse diventare così caotico il giovedì. Più in là notai l’ufficio postale e una ragazza che stava posteggiando una bicicletta alquanto scassata. Doveva essere il portalettere, perché portava a tracolla una grossa borsa.

Sul ciglio della scogliera, ogni notte, Marco aspetta l’apparizione della donna, ma lei non si fa vedere per giorni. Non si annoia. Fantastica su di lei, fumando. Ed eccola, quando già pensa di averla immaginata nelle sue follie malate. I capelli sciolti, l’alone della luna che le carezza il contorno del corpo. Indistinto, vago, ancora più inquietante nel suo negarsi. Marco immagina il suo viso, immagina di prenderla per mano, di guardarla negli occhi, di annusare il suo profumo. La gioia che gli provocano quei momenti è pari all’angoscia di non sapere come avvicinarla, alla paura che lei non si presenti più. Invece le sue visite si fanno più frequenti, ora è là quasi ogni notte, a volte solo per pochi minuti, e così come appare scompare, quasi creata dalla schiuma delle onde. Allunga le braccia per afferrarla, lassù dov’è, e il vento gli porta l’eco della risacca, come una risata sommessa.
Marco ora ha uno scopo ben preciso, vuole conoscere la donna della spiaggia, così inizia a uscire più spesso, si dà degli obiettivi: il tabaccaio, la cooperativa che vende di tutto, il bar della piazza del paese; parla con gli avventori del più e del meno e un giorno nota, seduto a uno dei tavolini del bar, un bel giovane che legge dei fascicoli, fuma ed è assorto nelle sue letture. Solo più tardi saprà che si tratta dell’avvocato del paese.

Solito bar, solita gente attorno. Per fortuna avevo il lavoro che mi assorbiva, una causa importante da discutere il mese successivo, altrimenti questo paese mi avrebbe soffocato. Me ne stavo lì a leggere il giornale tutte le mattine, cercando fra le righe notizie di un mondo nuovo da costruire e conquistare, dopo questa guerra infernale che  ha cancellato identità e spensieratezza. Pensavo – Forse si potrà andare verso un futuro migliore, forse potremo vivere relazioni più profonde con gli altri esseri umani, aprirci, essere sinceri, discutere e rimettere in funzione un cervello atrofizzato da un ventennio di bugie di regime.
Ma lì, davanti il mare e dietro le montagne, niente sembrava cambiare e io non vedevo nessuna luce d’intelletto negli occhi dei miei compaesani.
Avevo notato l’arrivo di un giovane dalla città. Sembrava triste, malato, non trovare pace. Era passato davanti al mio tavolino una decina di volte. Mi guardava, credeva che non me ne fossi accorto. Al prossimo incontro decisi di rivolgergli la parola, forse avevamo qualcosa in comune. Mal che vada,  avrebbe alleviato la noia dei miei giorni.
– Avvocato a lei il solito ristretto?
– Sì grazie come sempre.
Incontrai i suoi occhi alzando i miei dalla tazzina di caffè. Occhi scuri profondi e tristi. Gli sorrisi pronto a sfruttare quell’occasione, l’agganciai con domande di cortesia, da dove venisse, se si trovasse bene nel nostro piccolo paese e poi, da buon padrone di casa, mi dichiarai pronto a fargli da cicerone a raccontargli la storia di ogni singola pietra… e di pietre ce n’erano tante… rise divertito a questa battuta e si sedette al mio tavolo.

– Mi chiamo Marco.

Mi sentii felice come quando da bambino vincevo alla fiera un pesciolino rosso. Le ore passavano e noi lì a quel tavolo presi da una foga che non si esauriva, come un fuoco nell’anima,  bruciavamo ricordi di guerra, politica, arte e poesia, amore e morte. Tirammo notte.  Poco prima di lasciarci  Marco mi chiese se conoscessi la strada per arrivare a quella caletta che si vedeva dall’alto dello strapiombo. Si, la conoscevo,..ma era difficile da spiegare a parole…per trovare il sentiero bisognava essere pratici del luogo. Insistette così tanto che alla fine gli promisi di accompagnarcelo io  un pomeriggio. Non gli chiesi il motivo di tanto interesse né lui me lo volle dire. Ma, forse, un’ idea ce l’avevo.

Dal verbale del 28 giugno 1946: Porto le pecore al pascolo molto presto la mattina, poco prima che sorga il sole. Le lascio brucare sul ciglio della scogliera e più su, dove comincia il bosco. Non c’è mai   nessuno in giro, a quell’ora. Così mi sono quasi spaventato quando vidi il giovane cittadino che  usciva dalla foschia e mi veniva incontro.
 – ‘giorno – gli dissi. Mi fissò come fossi uno spettro, aveva le guance arrossate e un’aria da  invasato.
 – Viene qui spesso?, mi chiese
 – Tutti i giorni, pioggia o sole
 – Ha mai visto qualcuno che non dovrebbe esserci?
 Cominciavo a preoccuparmi, forse aveva la febbre, faceva ancora freddo e aveva l’aria di essere stato fuori tutta notte
 – neanche i fantasmi si alzano a quest’ora, risposi, facendo finta di assecondarlo.
 Scosse la testa e si allontanò borbottando. Mi feci il segno della croce e gli augurai di  guarire presto. Ma si sa, quelli della città sono tutti un po’ strani.

Era diventato un rito ogni mattina fare colazione con l’Avvocato, mi alzavo per tempo, mi preparavo con cura e emozionato, mi dirigevo al solito tavolino: il cuore mi batteva e sentivo dentro di me una strana frenesia. Quella mattina Augusto non c’era, la delusione mi procurò una tristezza infinita. Mi guardavo intorno sperando di vederlo arrivare…..arriverà, sarà in ritardo, ma i minuti passavano e lui non arrivava. Strana la vita, io mi ero avvicinato a lui per cercare  di capire chi fosse la donna vista  sulla spiaggia e solo ora mi resi conto che mentre parlavo con lui di lei mi ero dimenticato.

Dal verbale del 28 giugno 1946:  Si presentò al portone dopo che i bambini erano usciti
 – Salve, ho una domanda da farle e Augusto mi ha detto di rivolgermi a Lei
 Mi indispettì immediatamente. Augusto! Nemmeno io che ero il Direttore della scuola avevo  l’impudenza di chiamare l’Avvocato per nome! E poi non aveva preso appuntamento, e io avevo da fare.

–  Ditemi, ma fate presto, cercando di essere più freddo possibile.
 – Mi chiedevo se…avete avuto qualche supplente per i bambini, qualcuna che non sia di qui, che abbia prestato servizio temporaneamente…
 Che voleva? Cercava un amoretto passeggero per passare il tempo, o era alla ricerca di una  donna che gli si nascondeva volontariamente? Non mi sarei stupito se fosse stato uno di quei  viziosi di cui parlavano i giornali, con quello sguardo febbrile e l’aria sfuggente.
 – Nessuno che non sia al nostro servizio da almeno vent’anni e comunque non vedo perché dovrei raccontare a Voi i fatti privati dei nostri paesani. E con un secco cenno del capo mi accomiatai.

Ero andato come tutte le mattine dopo una breve camminata nel bosco a comprare il pane, quando notai un capannello di donne che parlottavano tra di loro con voce quasi impercettibile come avessero qualche segreto. Capii subito che stavano parlando di me. Non mi meravigliai perché anche se io non vedevo mai molta gente  per le strade, loro invece guardando dalla finestra potevano vedere bene me. Tra di loro c’era la postina, la ragazza con la borsa a tracolla che avevo individuato qualche giorno prima.
Quando il capannello si sciolse e la ragazza si avvicinò all’Ufficio Postale per sistemare la bicicletta l’avvicinai con molta cautela.

– Scusi, se mi permetto di chiederle un’informazione. Lei va in tutte le case del paese e mi sembra la persona che meglio di qualsiasi altra può essermi di aiuto. Qualche tempo fa un’amica carissima fin dall’infanzia lasciò la città dove abitavamo per un piccolo paese lontano dal mondo. Io la sto cercando e mi dico che potrebbe essere questo il paese in cui ha trovato rifugio. Si chiama Gloria, è alta e bionda, molto raffinata nel vestire, una persona che si fa notare. Forse le è capitato di vederla quando consegna la posta.
– Mi lasci pensare un attimo, ma credo proprio di non averla mai vista! Venga qui tra 2 giorni, starò attenta a chi consegno la posta e se è in questo paese forse potrò aiutarla.
Mi salutò ed entrò nell’Ufficio Postale. Io vergognandomi di questi piccoli tranelli che inventavo di volta in volta me ne tornai alla mia stanza sentendomi osservato dagli occhi curiosi delle finestre del paese.

Dal verbale del 28 giugno 1946: Eh… giornata fiacca.  Stavo quasi per chiudere bottega e andarmene un po’ prima del solito quando sentii frusciare le tendine  a perline sulla soglia.

– Sono ancora in tempo per barba e  capelli?
 Lo feci accomodare sulla poltrona contento di poter conoscere da vicino lo straniero di cui sentivo parlare ormai da giorni. Le voci che correvano su di lui mi avevano incuriosito. Chi me lo aveva descritto quasi con timore come se si fosse trattato di uno mezzo matto, chi diceva che doveva essere ammalato. Il direttore della scuola aveva suggerito di tenere gli occhi aperti  perché di maniaci in giro ce ne erano tanti e di “quello” lui non si fidava proprio, anche perché  andava in giro facendo domande strane. L’unico che ne parlasse bene era l’Avvocato Augusto.
– E’ un uomo colto, sensibile, diceva.
 Ma io, dell’avvocato non mi fido molto. Lo stimo e lo rispetto, è una persona importante ma anche lui è un po’ strano. Non si sa nulla della sua vita privata. Per lunghi periodi si assenta dal  paese e va in città, dice, a discutere le sue cause…mah! Lui non dà confidenza a nessuno
 ascolta e basta e quando parla usa paroloni difficili, fa discorsi astratti che alla fine non si capisce cosa vogliano dire.
 – E così mi ha lasciato per ultimo, so che è arrivato già da una settimana, ormai conoscerà  tutti…il paese è piccolo. Prima o poi, mi dicevo, di qui deve passare, al barbiere non si sfugge!
  Parlavo solo io come sono abituato a fare quando il cliente ha tutto il viso imbrattato di schiuma che sembra una meringa.
  Gli disegnai una precisa scriminatura a sinistra e controllando nello specchio il risultato ne incontrai lo sguardo riflesso .

 – Mi scusi, posso farle una domanda un po’  delicata?  
   – Dica, son qua apposta!
   – E’ possibile che una vostra compaesana soffra di disturbi psichici che la costringono a  rifugiarsi in casa di giorno lasciandola libera solo di notte?
Forse lo guardai un po’ troppo a lungo, o ci misi troppo a rispondere un po’ evasivo che la guerra ci aveva segnati tutti…fatto sta che da quel momento non spiccicammo più parola.

Facevo paura a me stesso, quella donna aveva svegliato i fantasmi che erano dentro di me.
Non ero uno di primo pelo, le mie avventure le avevo avute e me le ero godute, ma niente somigliava a questa febbre che mi divorava. Mi chiedevo se era amore, curiosità, voglia di sesso o se preferivo una donna immaginaria a una in carne e ossa, che mi abbraccia con dolcezza quando torno a casa e a cui dovevo rispetto e tenerezza.
Ora appariva quasi tutte le notti, a volte solo per qualche minuto. Come se mi stesse sfidando, come in un gioco a darsi e negarsi…e magari neanche sapeva che la stavo osservando ed era tutto dentro la mia testa.
Era il mistero forse che mi attraeva. Avrei voluto scendere fino a lei, prenderla alle spalle, farla mia  senza che io ne potessi vedere il volto, sussurrarle sconcezze, usarle una violenza che mai avrei associato a un corpo femminile. E non riuscivo a fare altro che starmene lì a gemere, fumando una sigaretta dopo l’altra, passando notti insonni e disprezzandomi per quei pensieri.
Dormivo fino a tardi al mattino, sembravo uno di quei viveur da strapazzo che frequentano le bettole malfamate, avevo una faccia che faceva ribrezzo. Per fortuna poi vedevo Augusto, ridevamo, discutevamo, tornavo a essere degno di stima e di amicizia. Lui non sapeva…forse avrei dovuto aprirmi con lui, raccontargli tutto. Forse non mi avrebbe giudicato un pervertito, fra noi uomini ci si capisce e può darsi anche che mi potesse aiutare.

Ti vedo, sai, che mi guardi. Una forma nera contro il nero del cielo, ma so che sei lì, e che sei lì per me. Mi lusinga la tua attenzione, mi sento al centro di un palcoscenico con i riflettori addosso. Resta dove sei, non scendere, non rovinare tutto. Forse una notte ballerò per te.

Augusto in paese non ha amicizie, ma solo conoscenze, parla con tutti del più e del meno ma sono rapporti superficiali i suoi con nessuno aveva instaurato un legame più stretto. Li sente estranei e molto diversi da lui, i suoi compaesani lo vedono solo come l’avvocato, si rivolgono a lui per pratiche legali, lo stimano e lo trattano con deferenza, nulla di più. L’arrivo di Marco ha fatto scattare in lui la voglia di avere finalmente un amico, una persona con cui condividere i propri pensieri e aprire la sua anima. Può  parlare con lui di tutto e dall’altra parte sente disponibilità, apertura e voglia di stare insieme; da tempo non gli capita di stare tanto bene con una persona. Fantastica tra sé di invitarlo a cena una sera, sogna di vedere gli occhi di Marco attraverso il fumo della sigaretta. Sono belli i suoi occhi, neri, profondi e anche ambigui in certi momenti, nascondono qualcosa e Augusto adora sviscerare l’animo umano. Sì lo avrebbe invitato molto presto…….Forse non avrebbe accettato il suo invito, chissà ma lui glielo avrebbe fatto comunque, qualche volta bisogna anche saper osare.

Alcuni giorni dopo, stavamo prendendo il caffè al solito bar quando inaspettatamente Augusto mi fece la strana proposta di andare a casa sua per una piccola cena. Il primo impulso mi spinse a dire di sì, ma subito il pensiero di non andare da lei che mi stava aspettando là nella piccola cala cercando la mia ombra sulla scogliera mi sembrò un tradimento. Sentii in me lottare due sentimenti ugualmente importanti. Dissi ad Augusto che avrei accettato il suo invito non appena lui mi avesse accompagnato alla cala.

Il pomeriggio, con un travaglio interno che non mi dava riposo, pensai di andare dal sacerdote del paese, come facevo quando ero un ragazzo nella mia città dal mio confessore e lui mi ascoltava e mi consigliava. Entrai nella piccola chiesa, il prete era là seduto nel primo banco, stava leggendo il breviario. Mi avvicinai titubante, gli dissi chi ero, lui mi rispose che aveva sentito parlare di me e che gli faceva piacere conoscermi. Gli raccontai perché ero venuto in questo piccolo paese sconosciuto. Mentre parlavo prendevo coraggio e finalmente riuscii a dirgli il problema vero per cui ero andato da lui. Gli parlai dell’Avvocato, della nostra amicizia, e non gli tacqui l’emozione che provavo per la donna della cala. Il sacerdote non sapeva nulla della donna, ma mi rispose che si sarebbe informato. Mi disse che se fossi andato laggiù con l’Avvocato sarei riuscito a mettere ordine nel mio cuore. Ci salutammo cordialmente con la promessa che sarei tornato da lui presto.

Ora Marco conosce la strada! Non avevo potuto dirgli di no, la giornata era splendida finalmente estiva. Il mare dall’alto brillava invitante.

– Andiamo, me l’hai promesso!

E giù a capofitto, una discesa tutta di corsa eccitati come due fanciulli. Il sorriso stampato in viso, il fiato grosso, la voglia di urlare di gioia e di lasciarsi andare…Dio come è bello sentirsi un po’ animali, riscoprire i muscoli tesi che guizzano elastici e forti, l’agire improvviso senza pensiero con la saggezza primordiale che la natura intorno richiama!
Dopo una lunga nuotata ristoratrice, stesi sulla sabbia calda, Marco aveva raccontato di Lei, ne era ossessionato, la voleva.
Lo avevo lasciato  parlare a lungo. Lui era inconsapevole della sua vera natura, attribuiva i suoi insuccessi alla mala sorte, alla sfortuna di incontrare donne sbagliate. Lui non sapeva quello che io avevo capito fin da quando ero un ragazzino.  Sono un “ diverso”. Sono omosessuale e riconosco quelli come me…
Allungai il braccio e come una carezza ti  tolsi la sabbia ormai asciutta dalla schiena. Mi sorridesti spontaneo col tuo sguardo dolce e sensibile ma poco dopo ti allontanasti rabbuiato e pensieroso. Camminavi tirando sassolini nell’acqua, eri di spalle, poi all’improvviso vidi cedere le tue gambe. In ginocchio, la testa tra le mani, ti eri messo a singhiozzare disperato. Ti raggiunsi ma non volevi farti avvicinare ti vergognavi non volevi farti vedere così. Sembravi un bambino spaventato. Ti abbracciai stretto.

Marco è nella sua camera, sdraiato sul letto. Si sente leggero. Per la prima volta dopo giorni di tensione il nodo che aveva in gola si è sciolto, ed è quasi euforico. Gli sembra che d’ora in avanti tutto andrà per il meglio: si è sfogato con il suo amico, ha ricevuto comprensione e supporto, e sa la strada per la cala. Caccia dalla mente quel leggero senso di imbarazzo che gli hanno provocato le tenerezze di Augusto, ne ride fra sé.  Si addormenta, spossato.
Augusto passeggia su e giù per il suo giardino, fumando. E’ insoddisfatto, nervoso. Ripensa alla  fragilità e ai turbamenti di Marco, alle sue parole e ai suoi gesti, e continua a darsi dello stupido.
Ha barattato un giorno perfetto con l’informazione che si era ripromesso di dare il più tardi possibile. Adesso Marco conosce il modo di avvicinare la donna sulla spiaggia, e nonostante lui abbia tentato di dissuaderlo, certamente non potrà resistere alla tentazione di raggiungerla.
Il profumo delle rose si sparge inutilmente nella luce calante del crepuscolo.
Marco sta leggendo aspettando che arrivi il sonno ristoratore, ma più legge, più si sveglia; poi le pagine scorrono e lui non riesce neppure a capirne il senso, il suo pensiero corre alla donna della spiaggia. In un attimo è vestito e si dirige alla caletta, ha deciso: la vuole conoscere!
La discesa è più lenta di quel che si aspetta, è buio, deve fare attenzione a dove mette i piedi c’è il rischio di rompersi l’osso del collo. Sono mille i pensieri che si accavallano nella sua mente: stasera non verrà, sarà infastidita della sua intrusione…
E’ arrivato. Dal mare sale un odore forte di alghe che,  con la bassa marea,  imputridiscono a riva.

E’ quasi nauseabondo, gli prende la gola…ma ecco che la vede, è sul bagnasciuga e cammina lentamente, il vestito rosso ondeggia pian piano i lunghi capelli svolazzano
– Finalmente sei arrivato…ti aspettavo…

Dal verbale del 28 giugno 1946: Mi vennero a cercare subito dopo l’alba. C’era da dare l’estrema unzione, anche se,  dissero, probabilmente era troppo tardi. Scesi col viatico alla cala sotto la scogliera, incespicando  sui sassi dietro a loro che correvano.  La luce era appena un rosa perla sul mare, e in quella dolcezza di latte vidi un corpo sulla spiaggia.
 Era riverso a testa in giù nel bagnasciuga, e le onde facevano danzare i lunghi capelli  biondi intorno alla figura vestita con un abito rosso sangue. Era immobile, sapevo già che  doveva essere annegata da qualche ora, nondimeno mi affrettai, con i piedi che  affondavano nella sabbia umida e il fiato corto per la ripida discesa. Nessuno l’aveva ancora toccata. Il pastore stava lì col capo chino tra le sue pecore,  l’aveva trovata lui, vista dall’alto come un pupazzo spezzato, e dato subito l’allarme.

– Povera figliola, mi disse, e si voltò di spalle per non vedere mentre la giravo.  Rimasi senza fiato quando la massa di capelli mi rimase in mano, poi scoppiai in lacrime  silenziose. Con la faccia gonfia e livida, dalla spiaggia mi fissavano gli occhi spalancati e  senza vita dell’Avvocato

Dal verbale del 2 luglio 1946: E’ l’odore che non riesco a togliermi. Mi lavo e rilavo le mani, e l’odore è sempre lì. E’ come  qualcosa di putrefatto, di marcio… Certo che ero in spiaggia, l’altra notte. Non ricordo bene… C’era poca luna, e mi ero graffiato scendendo per il sentiero, e il mare sciabordava appena.  Ero piegato su me stesso e vomitavo, e lanciavo improperi, e dicevo cose terribili…Augusto se
 ne stava fermo, immobile nel buio, e singhiozzava. Allora gli sono andato vicino e l’ho  abbracciato, sentivo il suo corpo contro il mio perdere quella rigidità da statua…No, Maresciallo,  di solito non sono un tipo violento. Ora rialzo la sedia che ho rovesciato e mi risiedo, tranquillo.  Sono queste insinuazioni…No che non sono scappato, avevo bisogno di stare solo e di  lavarmi. Mi avete trovato subito a casa mia, in città. Ho lasciato tutte le mie cose in paese perché avevano quell’odore….ma sarei tornato, appena fossi riuscito. Sono stato bene qui con voi, davvero.
 Adesso mi lasci andare, devo assolutamente lavarmi le mani.

 

redazione grey-panthers:
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