In bici tra i siti Unesco della penisola

Dalle Dolomiti alla Valle dei Templi di Agrigento e ritorno. Con la bicicletta. Un’occasione per scoprire una buona fetta d’Italia, per calarmi nella sua bellezza, nella sua eterogeneità, nelle sue insanabili contraddizioni. Mi metto di buona lena per unire sport e cultura, pedalate e letture. Si fa fatica, si arranca su chine sempre più ripide, anche e soprattutto prima di partire. Trovare i soldi in un momento gramo come questo, reclutare i compagni per questo viaggio che è ancora tutto solo nella mia testa, queste sono le vere difficoltà. Ma giunto il momento di mettersi in marcia tutto scompare. Si parte.

Siamo in 4 a partire da Trento, con 2 bici scalcagnate, un camper di 21 anni e attrezzatura video-fotografica. Obiettivo del viaggio: congiungere in bicicletta i 44 siti italiani che l’Unesco ha classificato patrimonio dell’umanità. Questa istituzione, che in 40 anni ha concesso questo riconoscimento a quasi mille siti – opere dell’ingegno umano o meraviglie naturali – in ogni angolo del globo, è stata generosa con il nostro paese, che vanta il record mondiale per numero di siti (47 nel 2012).

GIOIE E DOLORI DEL BELPAESE

Un lento viaggio che si trasforma in un caleidoscopico stuolo di informazioni, paesaggi e facce in continuo mutamento. L’Italia svela il proprio fascino senza pudori, in modo quasi aggressivo, dietro ogni curva, dietro l’angolo di ogni palazzo. Ostenta la propria bellezza come un trofeo, e allo stesso modo fa con le sue idiosincrasie, il suo scarso amor proprio, le sue negligenze. Non cerca di nascondersi, nel bene e nel male. A volte certi luoghi sono talmente meravigliosi da far dimenticare ciò che di sgradevole si trova poco oltre, altre invece, saturano i contorni di questa caricatura. A Noto, capoluogo siculo delle città tardo barocche abbiamo trovato storia, ospitalità, cultura e cibo deliziosi, mentre poco fuori le mura i mandorleti sono deturpati da quintali di rifiuti abbandonati. A Pisa, Roma e Venezia abbiamo osservato stupiti i frutti più alti del genio artistico e architettonico italiano, ma anche un modello di turismo esasperato e irrispettoso. Appena discosti dai monumenti, fuori le mura del campo dei Miracoli, a sfregio delle calli più belle, di fronte alla fontana di Trevi, si riuniscono eserciti di finti centurioni, venditori di paccottiglia, esercenti truffaldini. Ad Alberobello abbiamo constatato la mistificazione che questo tipo di turismo ha causato agli abitanti del paese, i quali si sono detti privati della loro identità. La loro tranquilla quotidianità è stata invasa da migliaia di occhi sgranati, facendoli sentire personaggi di un presepe in cui le donne che stendono i panni fuori dal loro trullo vengono fotografate giorno dopo giorno da masse di visitatori, solo perché abitano lì.

L’ITALIA É RICCA E IMMATURA

In fondo al viaggio è maturata in noi la consapevolezza della più grande delle contraddizioni: questo Paese, leader mondiale di cultura, non ha la necessaria maturità per gestire in modo adeguato quanto possiede Imbavaglia il sistema turistico, che vive, e in alcuni casi sopravvive, per merito di iniziative particolari ed è alimentato dalla fama che l’Italia vanta al di fuori dei propri confini. Nulla o quasi nulla è fatto a livello statale per sviluppare l’apparato di tutela e di fruizione (intelligente e non dissennata) del patrimonio nazionale. In buona sostanza siamo fermi in un settore dove non dovremmo temere concorrenza, poiché l’Italia ha ciò che tutti gli altri Paesi non hanno. Non a caso siamo il primo Paese al mondo per numero di siti Unesco. Un fatto che alimenta la domanda turistica: nei campeggi vicini ai siti abbiamo incontrato centinaia di visitatori stranieri che pianificano le proprie vacanze con la lista Unesco alla mano. Ma non è riuscito a migliorare l’offerta, che resta mal amministrata e sottodimensionata.

LA BUROCRAZIA SOFFOCA UN TESORO SEPOLTO

Abbiamo attraversato l’incoerenza e la farraginosità di una struttura stanca e inefficiente che, a seconda dei luoghi, procede a velocità diverse creando disparità enormi per beni della medesima importanza storica o artistica o naturale. In alcuni siti, per assolvere a tutta la burocrazia richiestaci, dovevamo lavorare in due per giornate intere, in altri bastava presentarsi con la telecamera sottobraccio. Questo per poter fare, in entrambi i casi, un po’ di foto e delle riprese video per un progetto divulgativo no profit. Tutte o quasi le persone che abbiamo intervistato (professori, direttori di musei e di parchi, geologi, architetti, guide) hanno espresso la loro insoddisfazione per quanto si potrebbe fare e che, per mancanza di risorse, non può essere fatto. Ho capito che spesso sono proprio queste figure le uniche a battersi tenacemente contro i vizi di questa incuria, continuando a proporre nuove idee anche a costo di rimetterci. In certe situazioni però non è possibile agire di propria iniziativa, così le cose rimangono come stanno per anni, come nel caso di Agrigento, Pantalica e Pompei, dove è stata rinvenuta solo una parte delle vestigia. L’altra parte rimane sotto terra perché non ci sono le risorse per riesumarla e gestirla. Buona parte dei tesori archeologici e storici presenti soprattutto al Sud potrebbe essere ancora sepolta.

I VINCOLI DELL’UNESCO

L’Unesco obbliga a una serie di norme per la conservazione architettonica, urbanistica, paesaggistica e artistica che devono essere rispettate, pena l’esclusione dalla lista dei siti patrimonio dell’umanità. In alcuni casi, quando il sito è il centro storico di una città o un intero centro abitato (come Alberobello o Siena), è difficile per la popolazione conciliare queste regole con esigenze di ordinaria amministrazione come il rifacimento di un tetto o l’imbiancatura di una facciata. I costi per tali lavori sono più alti perché devono intervenire operai specializzati e a volte restauratori anche per case abitate da famiglie non abbienti. Si  creano così sentimenti contrastanti:  le persone sono da un lato orgogliose e dall’altro frustrate. Lo stato anche qui è inefficiente con aiuti e incentivi scarsi, in ritardo e inadeguati. Di conseguenza molte famiglie abbandonano una casa di interesse culturale per l’impossibilità di far fronte alle spese.

LA MATERIA PRIMA DELL’ITALIA

Ciò che stupisce è che non si parla di un’economia a perdere, ma di un sistema che gestito bene può moltiplicare i posti di lavoro nel settore dei beni culturali e naturali, e nell’indotto che genera. Può aumentare il numero di turisti stranieri contribuendo alla ricchezza nazionale. E può funzionare da volano per ospitalità e ristorazione: elementi caratterizzanti dell’offerta di qualità in Italia. C’è bisogno di una politica che riconosca l’importanza dei beni culturali e la necessità di un loro approccio attento e sostenibile come una risorsa unica e insostituibile nel nostro Paese, che porterebbe dei benefici ad alberghi, enogastronomia, artigianato e piccole imprese.

di Alessandro Cristofoletti

Fonte: www.ecoturismoreport.it
redazione grey-panthers:
Related Post