L’ultimo impegno cinematografico di Nanni Moretti: Mia Madre

regia Nanni Moretti sceneggiatura Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella cast Margherita Buy (Margherita) Nanni Moretti (Giovanni) John Turturro (Barry Huggins) Giulia Lazzarini (Ada) Beatrice Mancini (Livia) Stefano Abbati (Federico) Enrico Iannello (Vittorio) Renato Scarpa (Luciani) durata 106′

Da molto tempo andiamo sostenendo che Nanni Moretti ha reso migliori servizi al cinema italiano come produttore, distributore ed esercente piuttosto che come regista e questa sua ultima fatica ne è la riprova. Non che Mia madre sia un brutto film. Tuttavia, emergere nel generale piattume contemporaneo significa, nel migliore dei casi, essere orbi in mezzo ai ciechi. Questo film è il più intimo di Moretti, il racconto della sua esperienza di perdita della madre, nel 2010, durante la lavorazione di Habemus papam, eppure nel descrivere la lacerazione e i tormenti di un lutto, Moretti era stato più efficace, asciutto e rigoroso con La stanza del figlio. A riprova del fatto che l’autobiografia non garantisce la qualità artistica di un’opera mentre il non aver sperimentato sulla propria pelle ciò che si mostra può dare esiti di notevole spessore. Giulia Lazzarini, gran dama del teatro italiano, riesce poco credibile nei panni di una malata terminale e i vezzi, i tic di una vita passata sul palcoscenico lasciano fastidiosi strascichi sul set cinematografico che tolgono credibilità e potenza drammatica al personaggio. Le “morettate” in questo film vengono riservate al comprimario di lusso John Turturro, interprete del “film nel film” che Margherita sta girando mentre si destreggia tra la stanza d’ospedale e le cure parentali di una figlia adolescente. Forse l’aspetto più riuscito di Mia madre è proprio il ritratto di donna affidato alla Buy. Specchio di moltissime italiane multitasking di mezza età che si devono dividere tra casa, famiglia e lavoro a totale scapito di loro stesse, delle proprie passioni e persino della propria femminilità.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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