Grande attore, regista e produttore americano, recentemente scomparso, è stato un divo dal sorriso disarmante, che ha saputo combattere l’ingiustizia del mondo in prima persona e non solo dietro la cinepresa
L’aria è frizzante tra le stupende montagne dello Utah, nella terra dei Mormoni, tra cime innevate e boschi di un verde intenso. Un giovane attore californiano, alto, biondo, bello, reduce dalle fatiche dei palcoscenici di Broadway (ha appena terminato le repliche, come protagonista, della nota commedia di Neil Simon, “A piedi nudi nel parco”), si sta ritemprando come di consueto in questo paradiso terrestre, quando durante un’escursione in moto si imbatte, percorrendo una scorciatoia, in un posto particolarmente suggestivo, il monte Wasatch. E’ il 1963 e il ventiseienne attore si chiama Robert Redford, già affermato nei teatri di Broadway, ma non ancora scoperto da Hollywood.
In apertura: “Come eravamo” (The Way We Were), film del 1973 diretto da Sydney Pollack e interpretato da Barbra Streisand e Robert Redford
Affascinato da questi luoghi, verdissimi d’estate e freddissimi d’inverno, Redford, nella valle di Provo, acquista due acri di terreno che poi, con il passare degli anni, diventeranno oltre quattromila: una grande proprietà, comprendente una fattoria, dove spesso vive la sua famiglia, un canyon, un impianto sciistico alimentato a energia solare, vicino al monte Timpaganos, che viene ribattezzato Sundance, “la danza del sole”, in omaggio al celebre personaggio Sundance Kid del film “Butch Cassidy”, da lui interpretato nel 1969 accanto all’amico Paul Newman.
In questo posto suggestivo, a qualche miglio da Salt Lake City, l’attore – regista “più intellettuale del cinema statunitense”, ha fondato nel 1981 il Sundance Institut, palestra per giovani cineasti indipendenti, desiderosi di cimentarsi nel cinema di qualità e nell’espressione libera di tematiche varie, senza essere condizionati dalla pressione commerciale, tipica dei grandi studios hollywoodiani. L’istituto, due grandi padiglioni di legno e vetrate e una decina di piccoli cottage, situato nel Provo Canyon, continua a ospitare laboratori, workshop, finalizzati alla realizzazione in film di quei copioni scelti tra i tanti selezionati dal comitato direttivo del Sundance, di cui il regista Sidney Pollack è stato da sempre membro effettivo.
Nel 1984 a Park City, un piccolo centro sciistico a una trentina di chilometri dall’Istituto, nasce il Sundance Film Festival, che ospita ogni anno a gennaio produzioni indipendenti e cineasti sconosciuti provenienti anche da molti Paesi stranieri; un avvenimento cinematografico che vede presenti molti anni agenti, produttori, avvocati, manager ed executive. “Non scegliamo i nostri film – ha dichiarato più volte Robert Redford – in base alla loro popolarità, al box office, ma cerchiamo, invece, di dare il maggior aiuto possibile ai filmaker indipendenti e alle loro differenti visioni del mondo”. Una manifestazione, il Sundance, che in passato ha fatto conoscere autori quali Steven Soderbergh (“Sesso, bugie e videotape”), Quentin Tarantino (“Le iene”), Tom Di Cillo (“Si gira a Manhattan”), Kevin Smith (“Clerks- Commessi”) e che presenta decine di lungometraggi, cortometraggi e documentari, con un occhio di riguardo nei confronti delle minoranze e delle diversità, privilegiando solamente l’originalità e la qualità dei prodotti.
Dal Sundance hanno spiccato il volo opere come “Quattro matrimoni e un funerale”, “I soliti sospetti”, “Buffalo ’66”, “Strade perdute”, “Shine”, “The full monty”, “Piccoli omicidi tra amici”e tanti altri importanti titoli.
Robert Redford, attore di successo
L’attore, dopo aver esordito nel 1962 con un film durissimo nei contenuti e nel messaggio, “Caccia di guerra”, recita in “Lo strano mondo di Daisy Clover” (1965) di Robert Mulligan, “La caccia” di Arthur Penn (1966), con Jane Fonda e Marlon Brando, nel commovente “Questa ragazza è di tutti” (1966) di Sydney Pollack dall’atto unico di Tenneessee Williams e nel divertente “A piedi nudi nel parco” (1967) di Gene Saks, da una commedia di Neil Simon, ancora con Jane Fonda. Sono pellicole che lo consacrano come un nuovo sex symbol di Hollywood.
“Dagli anni Settanta a oggi- scrive Giuliana Muscio nel suo libro ‘Robert Redford’ (per la collana diretta da Orio Calderon, I grandi del cinema, Gremese editore) – Redford ha rappresentato il prototipo del glamour e dell’attrattiva erotica hollywoodiana, da ‘Come eravamo’ a ‘La mia Africa’, ma anche l’eroe virile in versione moderna in ‘Butch Cassidy’ o ‘La stangata’, con un forte impegno in ‘Tutti gli uomini del Presidente’ e ‘Brubaker’, o dedito a un cinema controcorrente con ‘Il candidato’ e ‘Ucciderò Willy the Kid’. Redford è stato in particolare, il corpo e il volto dell’eroe solitario e perdente del cinema di Sidney Pollack, da ‘Corvo rosso non avrai il mio scalpo’ a ‘I tre giorni del Condor’, dal ‘Cavaliere elettrico’ al più recente (e misconosciuto) ‘Havana’. Dietro questa incarnazione perfetta del divismo hollywoodiano si nasconde, però, un uomo irrequieto, un uomo che sfugge Hollywood vivendo nel suo ranch nello Utah avendo creato a Sundance un ormai affermatissimo festival del cinema indipendente: un radical assai combattivo, un regista sensibile e originale, infine, come ha dimostrato l’Oscar per ‘Gente comune’”.
Tra le sequenze più celebri e romantiche dei film interpretati da Redford la più amata dai fan è probabilmente quella finale del film “Come eravamo“. Robert interpreta il personaggio di Hubell, rampollo bello, biondo e fortunato, appartenente all’alta borghesia bianca, che ha una storia d’amore nata in un college universitario con Kathie (Barbra Streisand), una ragazza ebrea che milita nella Lega dei Comunisti. Quando ormai da tempo la coppia si è separata, Hubell, diventato nel frattempo uno scrittore di cinema famoso, incontra nuovamente Kathie a New York, mentre lei distribuisce volantini contro la bomba atomica. I due si abbracciano teneramente e capiscono che il loro legame sentimentale non è finito, ma ormai la vita li ha separati per sempre…
Redford, star anti-sistema e simbolo dell’America liberal
Da sempre liberal e attivo nella difesa dei diritti delle minoranze e dell’ambiente, Redford hanno interpretato due film ‘green’ per eccellenza, “Corvo non avrai il mio scalpo!” e “Il Cavaliere elettrico”, e ha diretto “In mezzo scorre il fiume”, ma non ha trascurato le problematiche del multiculturalismo, della questione pellerossa e degli hispanics dirigendo il film “Milagro”. Già nel 1975 era inoltre diventato socio dell’organizzazione ambientalista Natural Resources Defense Council che poi lo aveva inserito nel consiglio direttivo. Questa lunga e preziosa esperienza lo porterà a diventare un attivo studioso della natura e dell’ambiente conosciuto anche a livello internazionale. Robert Redford, il divo dal sorriso disarmante che nascondeva un’inquietudine ribelle, ha saputo raccontare l’ingiustizia del mondo davanti e dietro la cinepresa.