Da vedere al cinema: “Il discorso perfetto” di Laurent Tirard

tit. orig.Le discours sceneggiatura Laurent Tirad cast Benjamin Lavernhe (Adrien) Sara Giraudeau (Sonia) Kyan Khojandi (Ludo) Julia Piaton (Sophie) François Morel (papà di Adrien) Guilaine Londez (mamma di Adrien) Sébastien Cassagne (Sébastien) Sarah Suco (Karine) genere commedia lingua orig francese prod Fr 2021 durata 87 min.

 

Ma davvero i francesi lo fanno meglio di noi? Il cinema commedia, beninteso. Sta di fatto che da almeno 10 anni a questa parte le sale cinematografiche del Bel Paese subiscono la pacifica invasione stagionale di commediole francesi. A volte sospinte da larghi successi in patria (Quasi amici, per esempio, capostipite della serie) a volte da una distribuzione compiacente, a volte da un pubblico sin troppo accomodante. Certo sono film migliori dei cinepanettoni nostrani, ma non ci vuole molto per avere più spessore di un Vanzina o attori più brillanti di Boldi-De Sica.

Ed ecco il punto: questo Discorso perfetto (o semplicemente Il discorso, in originale) non è che l’ennesima, ripetuta, stanca pochade, già vista mille altre volte, basata sulle baruffe chiozzotte di una coppia in crisi contornata da figurine liebig ricalcate su altrettante migliaia di situazioni codificate: i genitori “rompi”, gli amici allegri, gli psicologi, gli astrologi, i tuttologi e via replicando. Ciò non toglie che il risultato sia, comunque, gradevole mentre a fare difetto è proprio la freschezza del soggetto e lo sviluppo della trama. Né giova la pensata di coinvolgere il pubblico in sala con continui ammiccamenti e sguardi in macchina. Se lo fa Jean Paul Belmondo in Fino all’ultimo respiro (1960) di Jean-Luc Godard è un’innovazione d’avanguardia e si chiama Nouvelle Vague, 62 anni dopo è una minestra riscaldata. Detto ciò, come in un bel gioco dell’oca, torniamo alla casella di partenza ossia al fatto che, nonostante tutto, l’ora e mezza di trovate con cui Adrien ci delizia a cena dai suoi genitori con sorella e cognato oppure in giro per la città con la (quasi) ex fidanzata o, ancora, quando ci porta avanti nel tempo alla futura festa di matrimonio nella quale dovrà pronunciare il fatidico discorso, ebbene: le battute crepitano come raffiche di mitraglia, il ritmo incalza e i movimenti di macchina assecondano la sarabanda con grazia e candore. Che volere di più? Ecco, magari un po’ di originalità, si vous plait. Perché siamo pur sempre nel terzo millennio e queste cose, i francesi, le facevano già molto bene (se non meglio) 40, 50 e anche 60 anni fa.

 

E allora perché vederlo?

Per rimpiangere a calde lacrime il ginocchio di Claire, la notte di Maud, la spiaggia di Pauline o un qualsiasi altro film di Rohmer.

 

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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