Un amore, quello tra Beatty e Bening, che resiste senza difficoltà da trentacinque anni, dopo che l’irresistibile Casanova del cinema americano si è innamorato dell’attrice. Un legame che molti a Hollywood invidiano
La notte dell’11 marzo 1992 in gran segreto “l’uomo di Hollywod”, Warren Beatty, lo scapolo d’oro del cinema americano, si sposa con la collega Annette Bening. Il divo, 54 anni, fratello dell’attrice Shirley McLaine, con alle spalle una carriera da rubacuori (tra le numerosissime conquiste Joan Collins, Cher, Raquel Welch, Britt Ekland, Leslie Caron, Goldie Hawn, Madonna, Natalie Wood, Julie Christie, Diane Keaton), ha dato l’addio al celibato, diventando monogamo e padre in pochi anni di quattro figli.
Nato il 30 marzo 1937 a Richmond, Virginia, Warren Beaty (la doppia t sarà aggiunta solo più tardi, a inizio carriera) in una famiglia di ferventi cristiani battisti, la madre Kathlyn, un’insegnante di recitazione e Ira, psicologo dell’educazione e amministratore di una scuola pubblica, fin da adolescente vuole fare concorrenza alla sorella maggiore Shirley che Hitchcock aveva scelto come protagonista di “La congiura degli innocenti”. Il ragazzo, alto e atletico, iscrittosi alla Northwestern University, gioca a football nel ruolo di centravanti con buon profitto, ma dopo un anno abbandona l’università per trasferirsi a New York dove, per mantenersi, suona il piano in un piccolo bar sulla 58esima strada. Nella Grande Mela studia anche teatro con Stella Adle, attrice teatrale e insegnante di recitazione di alto livello.
Per un breve periodo diventa segretario del Washington National Theatre e nel ’58 va a Los Angeles per registrare uno spettacolo televisivo, rimanendo incantato dalla grande metropoli californiana. Qui ha la possibilità di firmare un contratto cinematografico con la MGM molto remunerativo, ma il commediografo William Inge gli suggerisce di fare esperienza recitando in teatro prima di affrontare l’impegnativo mondo del set cinematografico. Beatty allora torna a New York e recita sui palcoscenici arrivando fino a Broadway dove, nel 1959, è nel cast della commedia “A Loss Of Roses2, scritta proprio da William Inge, colpito dal suo talento. Così lo segnala all’amico Elia Kazan, il regista che sta cercando il protagonista del suo film “Splendore nell’erba”, un melodramma a sfondo storico-sociale ambientato nella provincia americana puritana, all’epoca del crollo di Wall Street dell’ottobre 1929. Per Beatty è il primo film, ma la sua sicurezza e spavalderia incantano Kazan.
“Warren – fu chiaro fin dall’inizio – voleva tutto e lo voleva subito a suo modo. Perchè no? Aveva energia, una spiccata intelligenza, e più chutzpah (termine yiddish che descrive audacia, sfacciataggine, insolenza, ndr). Perfino più di me. Brillante come pochi, intrepido, dotato di ciò che tutte le donne segretamente rispettano: un assoluta fiducia nella sua forza sessuale, una fiducia così grande che non aveva mai necessità di mettersi in mostra, seppur velatamente” (“Elia Kazan appunti di regia” – Edizione Cineteca Bologna).
Warren Beatty, irresistibile Casanova
Così comincia la carriera dell’ultimo seduttore di Hollywood. Con lui le cronache rosa vanno a nozze per le sue innumerevoli conquiste, spesso partner nei film da lui interpretati e sedotte dal suo fascino irresistibile. La Ekland, con cui ha avuto una relazione incandescente (lui aveva una storia in contemporanea con Julie Christie) lo ha definito come colui che ”è in grado di manovrare una donna come farebbe con la tastiera di un ascensore. È il miglior amante di tutti i tempi”.
Protagonista femminile del film di Kazan è Natalie Wood. All’epoca Beatty è fidanzato con Joan Collins e la Wood è sposata con Robert Wagner. Le cronache del gossip raccontano che i due durante le riprese si sono tenuti a distanza, ma hanno iniziato poi un legame sentimentale durante la campagna promozionale del film. Elia Kazan invece non la pensa così. “Tutto un tratto lui e Natalie divennero amanti. Quando successe? Quando non li osservavo. Non mi dispiacque; diede intensità alle scene d’amore”.
Il debutto di Beatty davanti alla macchina da presa è comunque strepitoso e il suo personaggio di giovane bello e tormentato, piace molto soprattutto al pubblico femminile. Nel ’62 potrebbe interpretare John F. Kennedy in “PT 109-Posto di combattimento!”, incentrato sulla missione eroica del futuro presidente degli States durante la seconda guerra mondiale al comando di una motosilurante nell’Oceano Pacifico, ma rifiuta accettando invece il ruolo di un infermiere di un ospedale psichiatrico del Maryland che si innamora di una paziente ninfomane (Jean Seberg) in “Lilith, la dea dell’amore” (’64) di Robert Rossen.
Nel ’65 è in “Mickey One”, diretto da Arthur Penn, nei panni di un cabarettista. In questa prima parte della sua carriera l’attore si impone nel personaggio sexy, ma nevrotico in stile Marlon Brando e James Dean, tipico di quel periodo. Nel ’67 a Parigi con Leslie Caron, la sua compagna del momento, nel corso di una cena con François Truffaut rimane colpito dalla vicenda raccontatagli dal regista francese su di una coppia diabolica di rapinatori di banche formata da Clyde Barrow e dalla sua complice Bonnie Parker, nell’America rurale della Grande Depressione. Ritenendolo un soggetto interessante, convince il potente Jack Warner a produrre il film intitolato “Gangster story” con l’attrice Faye Dunaway nei panni di Bonnie, che lo trasformerà in un divo e per di più molto ricco: ha ottenuto un contratto economicamente vantaggioso, ben il 40% sugli utili del film!
Nel ’71 con “I compari” di Robert Altman raggiunge l’apice del successo con il personaggio di John McCabe, un avventuriero, pistolero e giocatore d’azzardo timido e impacciato in una zona mineraria del nord America di inizio 900, alleato della prostituta Constance Miller (Julie Christie) nella realizzazione di un ambizioso progetto della trasformazione di un bordello in un locale di lusso, osteggiato però dai proprietari della miniera. Sul set con la Christie nasce un rapporto tumultuoso che durerà diversi anni. Ancora nel ’71 gira “Il genio della rapina” di Richard Brooks, un noir intriso di umorismo in cui impersona un americano, Joe Collins, esperto di antifurti in una banca di Amburgo apparentemente sicuro di sé, ma in realtà fragile e spaventato. La sua partner, la biondina Goldie Hawn, finisce inevitabilmente nel lungo elenco delle sue conquiste.
Gli anni Settanta sono per lui una svolta importante perché diviene il simbolo di un’America spaventata dallo scandalo Watergate e dalla fine del sanguinoso conflitto in Vietnam, interpretando “Perché un assassinio” (’74), uno splendido apologo di Alan J. Pakula nel quale è un giornalista d’assalto determinato a trovare i mandanti dell’omicidio di un senatore. Nel ’75 è il regista Mike Nichols che lo vuole, insieme all’ amico Jack Nicholson, in “Due uomini e una dote”, spumeggiante omaggio alla sophisticated comedy degli anni Trenta e poi è ancora in “Shampoo” per la regia di Hal Asby, commedia amara e originale che vede le due ‘rivali’, la Christie e la Hawn al suo fianco. Il film è premiato al botteghino e conferma il suo fiuto eccezionale nel scegliere i copioni giusti. Hollywood lo considera una sorta di Orson Welles, ma ben più scaltro dal punto di vista finanziario. Nel ’78 produce, dirige a due mani con Buck Henry e interpreta “Il paradiso può attendere”, remake di “L’inafferrabile Mr. Jordan”, una commedia di Alexander Hall del 1941, che ottiene un successo anche a livello internazionale.
Warren Beatty dimostra anche di avere idee chiare sul cinema come processo collettivo e non individuale. “I film sono un’esperienza di gruppo… ricordatevi che persino Bergman attribuisce parte della qualità dei suoi film alla fotografia di Sven Nykvist” (intervista a Gordon Gow su “Film and Filming”, agosto 1975).
Nel ’81 la Paramount Beatty investe ben trentacinque milioni di dollari per “Reds”, con Diane Keaton coprotagonista, la sua nuova compagna strappata a Woody Allen, interpretato anche da Jack Nicholson, Maureen Stapleton e Gene Jackman. Una pellicola realizzata in piena era Reagan dedicata alla figura del giornalista americano John Reed del Greenwich Village di New York, affascinato dalla Rivoluzione d’Ottobre in Russia del 1917 che lui tradurrà nel libro, il suo capolavoro, “Dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Reed, morto nel 1920 di tifo, sarà l’unico americano sepolto tra le mura del Cremlino. Il film conquista anche l’Europa e da noi fa commuovere gli spettatori di sinistra, soprattutto nella sequenza dei bolscevichi che sfilano con le loro bandiere rosse in una Mosca notturna piena di fascino. “Reds”, premiato con tre Oscar (uno a lui per la miglior regia) macina incassi da capogiro e il divo politicamente schierato da sempre con i Democratici, guadagna soldi a palate pur non avendo investito molto nell’impresa.
Anche Hollywood è ormai una sua conquista. “Non sarò un grande interprete, ma so organizzare le mie idee” afferma con orgoglio Beatty, già pronto a buttarsi in altre imprese come “Ishtar” (1987) di Elain May, al fianco di Dustin Hoffman e Isabelle Adjani (che non sfugge al suo fascino), un innocuo divertimento girato in Marocco, questa volta però un flop con cinquanta milioni di dollari di perdita. Tre anni dopo però l’indomito Beatty torna sulla scena come sceneggiatore, produttore e protagonista di “Dick Tracy”, un kolossal tratto da un celebre fumetto colto e commerciale di successo ideato da Chester Gould e girato al fianco di Madonna, con cui intrattiene un’altra breve love story. Nel ’91 eccolo in una nuova produzione, “Bugsy” di Barry Levinson, dedicato alla figura di Benjamin Bugsy Siegel, un gangster ambizioso deciso a costruire nel deserto del Nevada un tempio del gioco d’azzardo, la futura Las Vegas. Il ruolo di Virginia Hall, la donna che rovinerà Bugs, è interpretato da Annette Bening.
Bening, la donna che ha fatto capitolare lo scapolo d’oro di Hollywood
Nata il 29 maggio 1958 a Topeka, nel Kansas, Annette Bening cresce con il teatro nel sangue da quando alle scuole medie un insegnate la porta all’Old Globe Theatre di San Diego a vedere “I due gentiluomini di Verona” e “Il mercante di Venezia”. Per lei è un’esperienza straordinaria. “Annette decise – scrive Alessandra Venezia su “Io Donna” il 13 gennaio 2024 – che voleva essere parte di quel mondo, provare quelle emozioni, trasmetterle, comunicarle. Il palcoscenico mi dà, per esprimermi – afferma l’attrice – un vocabolario ricco, pieno di sfumature. Mi affascina poi la fisicità, la corporalità della recitazione, il respiro e i movimenti che vanno sincronizzati come quelli di un atleta”.
Il teatro diventa allora la sua vita: segue il programma teatro alla high school di San Diego, poi al college, quindi studia arte drammatica all’università di San Francisco. Nel 1986 si sposta a New York dove le offrono una parte nell’opera “Coastal Disturbances” di Tina Howe. Solo sette anni dopo tenta la strada del cinema, mentre nel frattempo è diventata la moglie del regista teatrale J. Steven White da cui divorzierà nel 1991. Il primo insuccesso, “Non è stata una vacanza…è stata una guerra!”, con Dan Ayroyd, non scoraggia l’attrice che si rifà nel 1989 con Milos Forman nel ruolo della Marchesa de Morteuil in “Valmont”, un film di successo, seguito da “Indiziato di reato” di Irwin Winkler con Robert De Niro, ambientato durante il periodo maccartista e da “A proposito di Henry” di Mike Nichols, al fianco di Harrison Ford.
Nel 1991 l’attrice è scelta come protagonista di “Bugsy” di Barry Levinson dove incontra Warren Beatty. Il divo racconterà di averla vista la prima volta al ristorante – dove l’aspettava per fare conoscenza prima di iniziare le riprese del film – e ne rimane folgorato: “Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso” ricorderà l’attore. “Annette – scrive ancora Alessandra Venezia – aveva 33 anni, era bella, seducente, radiosa, bucava lo schermo e nel ruolo della starlet hollywoodiana Virginia Hill, seduceva un po’ tutti. Aveva anche fatto capitolare il più irriducibile scapolo-playboy di Hollywood. Beatty, che aveva una ventina d’anni di più e contava tra le innumerevoli conquiste Jacqueline Kennedy e Madonna, con lei si trasformò in un compagno fedele e un padre orgoglioso. Annette gira film, recita in teatro e io rimango a casa coi bambini, beato – mi raccontò l’attore in un’intervista di vari anni fa”.
Insieme le due star girano nel 1994 “Love Affair- Un grande amore”, diretto da Glenn Gordon Caron, il remake di “Un grande amore” (1939) per la regia di Leo McCarey e ripreso nel 1957 con “Un amore splendido” sotto la direzione dello stesso regista, magnificamente interpretato da Cary Grant e Deborah Kerr. In questa nuova versione la chimica tra i due protagonisti è evidente e aiuta a rendere più credibile la storia romantica raccontata nel film. “Io credo moltissimo nel potere di redenzione dell’amore – afferma Warren in un’altra intervista a Paola Piacenza sempre su Io Donna, maggio 1997 – Annette ha completamente ribaltato la mia esistenza. Prima di lei correvo sempre in quarta. Improvvisamente mi sono trovato a usare le altre marce, guardando alla mia vita passata e futura sotto una luce nuovissima. Sono stati i miei figli a farmi capire la differenza tra ciò che conta nella vita. Sono stato felice di cambiare”.
Dal solido loro legame sentimentale nascono quattro figli, oggi ormai adulti. “Una donna perfetta e anche la migliore attrice al mondo!” dice il divo Beatty, che nel ’98, in pieno scandalo Lewinsky nel quale è coinvolto il presidente Bill Clinton, firma la sua terza regia con “Bulworth – il senatore”, una satira politica presentata alla Mostra di Venezia del 1998, edizione nella quale sarà premiato con il Leone d’Oro alla carriera. Il film, storia di un senatore corrotto in via di redenzione per merito del sentimento d’amore per Nina, una bellissima ragazza afroamericana progressista, è il simbolo dell’America condizionata dalle discriminazioni razziali.
Dopo una poco significativa partecipazione a “Amori in città… e tradimenti in campagna” di Peter Chelsom (2001), si ritira dalle scene per dedicarsi alla cura dei figli. “Non c’è solo il cinema nella mia vita” afferma tornando davanti e dietro la macchina da presa dopo diciassette anni di lontananza da Hollywood per realizzare un suo vecchio sogno, un omaggio al milionario eccentrico Howard Hughes, uscito negli Usa nel novembre 2016 con il titolo “L’eccezione alla regola”. Ambientata a Hollywood nel ’58 in un clima di puritanesimo, ma alle soglie della prima rivoluzione sessuale, la pellicola nella quale impersona lui stesso Howard Hughes (“un rivoluzionario, un genio e il mio eroe” lo definisce) potrebbe essere il canto del cigno dell’ultimo seduttore di Hollywood, una leggenda del cinema appagato dalla fama e dal successo conquistati che oggi è un tranquillo signore quasi novantenne sereno e felice di dedicarsi alla sua famiglia nella bellissima villa dove vive su Mulholland Drive, con vista sull’oceano da una parte e le montagne dall’altra.
In quanto a sua moglie, oltre un’intensa attività teatrale e cinematografica, è un’attivista che si batte nel suo piccolo per rendere migliore il mondo. Nel settembre 2021 ha ricevuto il Pilar Award per la campagna di raccolta di fondi (484 milioni di dollari) del nuovo Museo dell’Academy disegnato da Renzo Piano ed ha anche accettato l’incarico di presidente dell’Entertainment Community Fund, l’organizzazione di beneficenza che sostiene i lavoratori dello spettacolo. Intanto il tempo passa ma “l’amore splendido” tra Warren e Annette resiste senza difficoltà da trentacinque anni. Un legame che molti a Hollywood invidiano!