Cassetta di sicurezza, come comportarsi in caso di furto

Un utile vademecum legale per sapere cosa succede in caso di furto o manomissione della cassetta di sicurezza

Dopo aver affrontato in maniera generale l’argomento relativo al servizio offerto dalle banche con le cassette di sicurezza, vediamo di capire cosa succede in caso di furto, manomissione, successione, morosità, fallimento dell’intestatario del contratto del servizio.

La responsabilità della banca per la cassetta di sicurezza 

Nel caso di furto del contenuto di una cassetta di sicurezza, la banca è da considerarsi sempre responsabile ed è quindi tenuta al risarcimento del danno subito dal cliente. In alcuni casi giudiziari è stata data la possibilità alla banca di cercare di dimostrare che nessuna azione avrebbe potuto evitare lo scasso e quindi il furto dei beni del cliente contenuti nella cassetta di sicurezza, ma una sentenza del Tribunale di Roma ha escluso che un istituto di credito possa esimersi da responsabilità adducendo l’impossibilità tecnica di evitare il furto, anche nel caso in cui quest’ultimo sia stato messo in atto con la complicità del personale interno della banca, caso più comune di quanto si possa immaginare. Insomma, dal punto di vista della responsabilità bancaria in caso di furto, la cassetta di sicurezza può considerarsi una soluzione sicura. L’istituto di credito avrà l’onere di dimostrare di non essere responsabile ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Si precisa in tal merito che il caso fortuito non è integrato dal furto, visto e considerato che lo scopo delle cassette è anche quello di evitare un simile evento. Sono invece inclusi tra i casi fortuiti alcuni eventi come i terremoti.

Intervento in caso di manomissione 

Nel caso in cui la cassetta di sicurezza sia stata manomessa – si parla di “alterazione dell’integrità” – il cliente ha il diritto a chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti, a condizione che l’evento non sia stato generato da una sua responsabilità, per esempio la perdita della chiave senza aver tempestivamente avvisato la banca. È importante conoscere le azioni da mettere in atto nel momento in cui ci si accorge che la propria cassetta di sicurezza è stata manomessa, pena la decadenza del diritto a ottenere il risarcimento dei beni mancanti. Bisogna infatti:

  1. Evitare di aprirla
  2. Presentare immediatamente un reclamo scritto alla banca
  3. Fornire, al momento del reclamo, l’elenco completo e dettagliato dei beni contenuti nella cassetta di sicurezza.
  4. L’apertura della cassetta per controllare il danno deve avvenire alla presenza di un incaricato della banca e di un notaio.
  5. Va redatto un verbale con la descrizione dello stato esteriore della cassetta, dei beni contenuti e di quelli che a detta del cliente della banca risultano mancanti.
  6. Se è la banca ad accorgersi della manomissione, deve avvisare il cliente con lettera raccomandata e se questi no si presenta per la verifica, l’istituto di credito può passare all’apertura forzata della cassetta di sicurezza.

Una volta accertato che c’è stato un furto di beni contenuti nella cassetta di sicurezza, è necessario dimostrare l’entità del danno subito. L’anonimato e la segretezza del servizio in questione rendono poco agevole tale dimostrazione. Alcuni fruitori di cassetta hanno l’abitudine di fotografare il contenuto della cassetta, man mano che vi introducono dei beni, tuttavia poiché la banca  non tiene traccia dei beni inseriti nella cassetta, non può avere un riscontro oggettivo del danno subito dal cliente in caso di furto. In questo caso la giurisprudenza si avvale del criterio chiamato “presuntivo”, in base al quale il giudice chiamato a  decidere nella eventuale causa tra fruitore di cassetta e istituto bancario, potrà dedurre il danno arrecato al cliente e stimare quindi, con “valutazione equitativa ex art. 1226 c.c, l’entità del danno subito dal cliente deducendolo da altri elementi  (testimoni del cliente a conoscenza del contenuto della cassetta ante furto, la condizione economica dell’intestatario del servizio, il costo annuale della cassetta, fatture dei beni trafugati, valore massimo stabilito in fase contrattuale)

L’apertura della cassetta di sicurezza

L’art 1840 c.c. stabilisce che se la cassetta è intestata a più persone, l’apertura di essa è consentita singolarmente a ciascuno degli intestatari, salvo diversa pattuizione. In caso di morte dell’intestatario o di uno degli intestatari, la banca che ne abbia ricevuto comunicazione non può consentire l’apertura della cassetta se non con l’accordo di tutti gli aventi diritto o secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria. Il successivo art. 1841 c.c. stabilisce i casi di apertura forzata della  cassetta.

Quando il contratto è scaduto, la banca, previa intimazione all’intestatario e decorsi sei mesi dalla data della medesima, può chiedere al tribunale l’autorizzazione ad aprire la cassetta. L’intimazione può farsi anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento. L’apertura si esegue con l’assistenza di un notaio all’uopo designato e con le cautele che il tribunale ritiene opportune. Il tribunale può dare le disposizioni necessarie per la conservazione degli oggetti rinvenuti e può ordinare la vendita di quella parte di essi che occorra al soddisfacimento di quanto è dovuto alla banca per canoni e spese.

Cosa accade in caso di fallimento dell’intestatario del contratto di cassetta di sicurezza?

In questi casi, la banca procederà all’apposizione di un blocco sul rapporto e darà al curatore fallimentare una tempestiva comunicazione scritta circa l’esistenza del rapporto di cassetta di sicurezza. Nel caso in cui la cassetta sia cointestata al soggetto fallito e un terzo, la banca procederà ad apporre il blocco specificando nella comunicazione al curatore del fallimento l’esistenza della cointestazione e invitando dunque il cointestatario non fallito a prendere contatti con il curatore. Nel caso frequente in cui il curatore non disponga della chiave della cassetta di sicurezza, la banca acconsentirà all’apertura forzata su richiesta dello stesso. Il curatore potrà quindi ritirare quanto in essa contenuto previa autorizzazione del giudice delegato, con specifico decreto di acquisizione.

Daniela Sanna:
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