“Personalizzare”? Ora si studia come riuscire a farlo anche in medicina

Pubblicato il 10 Maggio 2017 in , , da Evasio Pasini

“Bisogna curare il paziente in modo personalizzato”. “Il futuro della medicina è nelle ‘terapie personalizzate’”. Così, sempre più frequentemente, si legge sui giornali, si sente nelle trasmissioni in tv. Si tratta di affermazioni realistiche che possono contare già su applicazioni cliniche codificate o sono solo aspirazioni a potenzialità variabile? Occorre fare chiarezza….

Dobbiamo ricordare che sino alla prima metà del secolo scorso le terapie mediche erano empiriche e si basavano sull’esperienza del singolo medico.

Negli ultimi 35 anni si è evoluta la medicina basata sull’evidenza, che utilizza come metodi di analisi i trial randomizzati nei quali pazienti affetti da una particolare patologia, sovrapponibili per alcune variabili ritenute fondamentali per l’evoluzione della patologia stessa, venivano trattati con placebo o terapia attiva in modo che essi stessi e il medico sperimentatore non sapessero quale trattamento venisse somministrato. Al termine di un periodo di tempo prestabilito, si analizzava in modo statistico quale era stata l’influenza della terapia attiva su specifici endpoint, quali mortalità o peggioramento della malattia di base, e si valutava il beneficio ottenuto dalla terapia somministrata. Tale approccio scientifico-statistico forniva informazioni oggettive sugli effetti di una terapia basata su fenotipi (cioè sintomi o segni di malattia) ritenuti comuni di specifiche patologie.

Tuttavia la ricerca medica moderna ha dimostrato che la stessa patologia con gli stessi sintomi o segni ha, invece,  basi molecolari endocellulari diverse da individuo a individuo con evoluzioni, gravità e risposte cliniche diverse. Di fatto, di recente la scienza medica si è accorta che nei grandi trial non tutti i pazienti rispondono in modo ottimale ai farmaci somministrati. In alcuni casi solamente il 50% circa dei pazienti risponde alla terapia.

Infatti le grandi sindromi cliniche, oggetto dei trial randomizzati, sono causate ognuna da una miriade di meccanismi patogenetici diversi che variano da individuo a individuo. Non essendo in grado di curare e prevenire i singoli meccanismi perché non sono ancora noti e diagnosticabili, la prevenzione può essere solo statistica.

La risposta clinica alla terapia dipende quindi dalla prevalenza delle cause sensibili al trattamento, da fattori ambientali e dalla costituzione genetica del singolo paziente.

Di fatto, la variazione piccolissime parti di DNA possono portare alla formazione di una struttura molecolare che modifica in modo significativo il processo cellulare o pathway metabolico in cui essa sia inserita.

È indubbio che, quando saranno scoperti gli specifici meccanismi delle malattie, nuove metodiche molecolari diagnostico-terapeutiche si presenteranno all’orizzonte. Tra di queste sono da ricordare la genomica (Disciplina biologica che studia l’organizzazione e la struttura dei geni di un organismo nel contesto dell’intero genoma), la proteomica (Disciplina biologica che studia le proteine cellulari su larga scala, prendendo in esame quali, quante e in che tempi vengono espresse da una cellula o da un organismo in seguito ad un determinato stimolo; è complementare alla genomica in quanto si focalizza sui prodotti dei geni) e la metabolomica (lo studio sistematico delle uniche impronte chimiche lasciate da specifici processi cellulari – nello specifico, lo studio dei loro profili metabolici a molecole piccole).

Tale nuovo approccio consentirà di sviluppare la vera “medicina personalizzata”. Essa valuterà lo stato globale del paziente che include il fenotipo (quello che clinicamente si può valutare nel paziente come altezza, peso, razza, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, ecc.) con i suoi specifici meccanismi di malattia e il genotipo che dipende dal patrimonio genetico del singolo paziente.

I pochi lavori di medicina che hanno affrontato per il momento la valutazione della risposta personalizzata del paziente alla terapia o al divenire della malattia basandosi su caratteristiche molecolari che riguardano la genomica e la proteomica hanno utilizzato la metodica di analisi detta “ex post” (a posteriori). Di fatto, pazienti che hanno le stesse caratteristiche cliniche sino a ora identificate per dare un grado allo stato di malattia, come ad esempio nello scompenso cardiaco la frazione di eiezione, hanno comportamenti diversi in termini di prognosi e risposta alla terapia nel tempo. Tali comportamenti sono imprevedibili con le conoscenze attuali e i criteri ad oggi usati. Infatti, i comportamenti clinici delle malattie dipendono ad esempio, a parità di condizione di altre variabili quali la terapia ottimizzata e la sua assunzione, dal fatto che un recettore alfa ha o non ha un residuo di arginina.

Si deduce che in questa fase l’analisi “ex ante” (a priori) è improponibile perché non è ben noto:

  • che cosa analizzare,
  • che impatto quanto analizzato a priori potrebbe avere sull’evoluzione della malattia e
  • perché dovremmo analizzare tutti i pazienti previsti nello studio e seguirli nel tempo, mettendo insieme, dopo anni di follow up, la risposta clinica con le caratteristiche molecolari cellulari identificate in partenza.

Di fatto, la prima fase di questa ricerca innovativa dovrebbe prevedere di raggruppare i pazienti in base ai criteri tradizionali di omogeneità (ad es. età, sesso, frazione di eiezione, consumo di ossigeno, ecc.). In seguito i vari gruppi di pazienti verrebbero seguiti per un certo periodo di tempo. A parità di trattamento e stato di malattia iniziale è tuttavia prevedibile osservare delle risposte diverse in alcuni individui studiati.

In base alla metodologia di studio a posteriori, dovranno essere studiate la genomica e la proteomica solo di quei pazienti che hanno risposte diverse da quelle attese o da quelle ottenute dalla maggioranza dei pazienti. In questo modo si potrebbero evidenziare le differenze molecolari cellulari di signaling che esistono fra il gruppo che ha avuto una particolare evoluzione della malattia e quei pazienti che hanno avuto evoluzioni diverse. Se ne deduce che solo in questo modo si otterranno delle informazioni molecolari che consentiranno a priori, cioè “ex ante”, di identificare i pazienti che avranno una storia clinica diversa da quella della maggioranza dei pazienti e indipendente dalle variabili cliniche utilizzate sino ad oggi.

Siamo sicuri che ha ragione il dr. Motulsky, padre della farmacogenomica e sostenitore della terapia personalizzata, quando in una recente intervista al “New York Times” ha affermato “certamente dovremo svolgere molta ricerca prima che la farmacogenomica diventi una realtà nella pratica clinica […] prima che si realizzi il miracolo che tale ricerca promette”. Siamo sicuramente all’alba di una nuova era dove la ricerca di base creerà un continuum con la ricerca clinica, fornendo mezzi per impostare e sviluppare terapie personalizzate al fine di evitare effetti collaterali dei farmaci e massima risposta terapeutica in base ai vari momenti fisiopatologici molecolari che caratterizzano il divenire della malattia e la risposta ai farmaci nel singolo individuo.

Di fatto, la moderna ricerca in alcune discipline avanzate quale l’oncologia propone già la nuova figura del medico in grado di avere un’ottima preparazione clinica per curare il paziente, ma anche in grado di gestire, organizzare e capire informazioni di biologia molecolare su campioni biologici del paziente che consentiranno al medico stesso di impostare una terapia personalizzata, ricavata da informazioni molecolari endocellulari che regolano la risposta biologica della cellula e che dipendono dalle molecole circolanti, inclusi i farmaci. Tali valutazioni potranno essere fatte sul singolo paziente al fine di ottenere la massima risposta terapeutica in quel paziente in base alle sue caratteristiche cliniche e alla risposta biologica analizzata mediante valutazioni personalizzate molecolari. Questa possibilità avrà inoltre importanti ricadute sulle valutazioni costo-efficacia, in quanto verrà impostata una terapia al paziente che veramente si potrà giovare di tale terapia e verranno evitate somministrazioni o procedure costose a pazienti che, invece, non si potranno giovare di tali interventi. L’importanza della terapia personalizzata su base genetica e proteomica è stata recentemente enfatizzata dal “New England Journal of Medicine” che in un editoriale dedicato ha affermato che “siamo testimoni di un nuovo approccio della medicina”.

Detto questo è logico chiedersi: a che punto siamo oggi? e che cosa si intende oggi per “medicina personalizzata”?

Alla luce dei risultati oggi disponibili nella pratica clinica possiamo dire che esistono un numero limitato di informazioni attendibili e usabili. Esso sono quasi tutte applicabili al campo oncologico. In tale area medica specialistica esistono, infatti, informazioni particolari sulla presenza nelle cellule tumorali di particolari recettori o di geni che rendono tali cellule più o meno sensibili a particolari farmaci o che favoriscono una specifica evoluzione della malattia.

Su altre patologie siamo ancora molto indietro anche se una semplice terapia personalizzata può essere usata dal medico anche in altre patologie in attesa che la scienza identifichi particolari e sofisticate informazioni molecolari di genomica e proteomica.

È, infatti, oggi molto noto che una ridotta massa muscolare correli con la prognosi delle malattie sia essa acuta o cronica. Si sa che un adeguato contesto familiare è fondamentale per seguire al meglio il paziente ed esso gioca un ruolo importante nella sopravvivenza del paziente stesso. Quindi, a tal proposito, diventa fondamentale preservare, con specifiche attenzioni, la massa muscolare e intervenire con adeguati accorgimenti sul contesto familiare e sul rapporto che il paziente/persona ha con la sua malattia. Quanto detto in precedenza rappresenta due semplici, ma concreti esempi di strategie efficaci di “terapia personalizzate”.

Curare la persona è non la malattia o il singolo organo è un altro approccio personalizzato già oggi applicabile da un medico attento anche a digiuno di conoscenze molecolari. Essere ben nutriti (che non è sinonimo di ben alimentati), avere una buona digestione gastrica dovuta dalla presenza o meno di dentiera e/o di  terapie associate quali i gastro-protettori,  possedere una accettabile assimilazione dei nutrienti a livello intestinale garantita da un adeguato equilibrio della flora intestinale non alterata da concomitanti terapia antibiotiche, sono tutti altri semplici esempi di “terapie personalizzate”.

Come si vede, aldilà dei paroloni altosonanti, fare delle cose semplici, con grande attenzione al paziente/persona è oggi possibile per curare la meglio le nostre malattie …in attesa che il futuro prossimo regali le conoscenze molecolari per capire e curare sempre meglio le varie patologie.

Supporto Bibliografico

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One thought on ““Personalizzare”? Ora si studia come riuscire a farlo anche in medicina

  1. Interessante articolo. Noto che nel Supporto Bibliografico lo studio più recente risale al 2009. Non ci sono pubblicazioni più recenti sull’argomento di estrema attualità?

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