Informatica in pillole, con Attilio A. Romita (4)

Pubblicato il 30 Dicembre 2008 in da Vitalba Paesano

Con l’avvento degli elaboratori e della numerazione binaria si sono diffuse le parole digitale e analogico.

Digitale letteralmente vuol dire rappresentato a digit, a valori interi o meglio a scalini, cioè due valori consecutivi di una “cosa” differiscono di un valore intero fisso, piccolo quanto di vuole, ma di grandezza definita.

Analogico vuol dire che la grandezza di una misura varia con continuità e per quanto si renda piccolo l’intervallo dello strumento “in analogia” del quale si calcola la misura non è possibile rappresentare questa misura con un numero esatto.

Ricordate il tormentone che si inventò Adriano Celentano: rock e melodico. Bene digitale è rock ed analogico è melodico.

A mo di esempio possiamo dire che una scala è digitale, una salita analogica oppure che l’acceleratore di una macchina è analogico mentre il cambio è digitale. Gli orologi meccanici sono tutti digitali in quanto l’avanzamento delle sfere è prodotto dal moto alternativo del bilanciere che si muove a scatti e condiziona il moto provocato dall’elasticità di una molla, ma la lettura dell’ora è fatta su una scala analogica. Gli orologi “digitali” sono come gli orologi meccanici perché guidati da un “motorino” la cui velocità è controllato da un “bilanciere elettronico”, il quarzo che vibra; per l’indicazione dell’ora può essere usata una scala analogica come il normale quadrante o un dispositivo digitale con i numeri che si illuminano.

I motori a scoppio sono tutti analogici perché pur alimentati da un moto alternativo, si muovono con continuità e con continuità erogano potenza.

Tutti gli elaboratori che basano il loro funzionamento sulla numerazione binaria sono digitali in quanto, qualunque sia il metodo di immissione o di emissione dei dati, tutti i valori in gioco, numeri e lettere (che sono codificate come numeri), avranno come ultima cifra  1 (uno) o 0 (zero) e non può esistere 1 più o meno qualcosa.

Il concetto di digitale è stato poi esteso a moltissimi altri dispositivi, ma non si deve confonderlo con la precisione o genericamente con la “bontà” di una attrezzatura. E’ vero soltanto il fatto che con strumenti digitali è possibile raggiungere precisioni elevate ad un costo molto inferiore che con strumenti analogici perché giocare con variazioni elettriche è molto più facile e meno costoso che usare una lima ed un tornio per costruire parti metalliche precise.2.1          Guardiamo “la macchina” da fuori.

Abbiamo visto che un elaboratore è essenzialmente un groviglio di fili e componenti elettronici capaci di aprire e chiudere circuiti in funzione di circuiti che sono stati chiusi o aperti in precedenza.

Abbiamo anche visto che un elaboratore ha migliaia di circuiti che a metà del secolo scorso collegavano dei componenti con funzionalità simili ad un interruttore particolare, che all’inizio erano fisicamente delle bottiglie da mezzo litro, le valvole termoioniche, ed ora sono dei pezzetti di metallo e metalloide di pochi millimetri che possono contenere l’equivalente di migliaia di valvole termoioniche.

Da un punto di vista descrittivo un elaboratore raccoglie dei segnali in entrata (l’input), questi segnali sono interpretati dai primi circuiti e, secondo regole ben definite, proseguono il loro viaggio nella macchina (l’elaborazione) ed alla fine danno luogo ad un risultato (l’output) che normalmente assume un aspetto comprensibile all’uomo: una nuova scheda perforata, una stampa, delle lucine a forma di lettere e numeri su di uno schermo.

I primi strumenti di input sono state le schede perforate (ricordate Holleryt) cioè dei cartoncini bucati seconda uno schema ben definito per comunicare alla macchina lettere e numeri. Tramite il lettore queste schede entravano nella macchina che cominciava ad accendere e spegnere i circuiti iniziali a seconda di dove era posizionato il buco. La “lettura” avveniva tramite un “pennellino metallico” che passava sulla zona del buco e se lo trovava aperto chiudeva un contatto cioè il circuito contenente quel contatto passava da uno stato 0 ad uno stato 1. Questo processo elementare era ripetuto per ciascuna scheda 80 volte, le colonne di una scheda ovvero i caratteri che una scheda poteva contenere.

I primi elaboratori erano “fissi” cioè i loro circuiti interni erano per così dire bloccati e potevano fare sempre e soltanto lo stesso tipo di elaborazione su i dati di input.

Questi elaboratori fissi erano però poco utili e ben presto furono inventati gli elaboratori programmabili cioè macchine che prima di ingurgitare i dati di un lavoro, leggevano una serie di schede (il programma) che predispone i circuiti della macchina in modo che siano capaci di reagire nel modo specifico che quel tipo di dati richiede.

Per es. uno di questi elaboratori potrebbe leggere le schede che contengono le informazioni sugli ordini di un Cliente per stampare le fatture e, in una seconda elaborazione, calcolare le provvigioni per il rappresentante.

Lo output di una elaborazione può avere un formato “umano” come una stampa o un formato “elettronico” come una scheda perforata che può servire per elaborazioni successive.

Riepilogando, lo schema di lavoro di un calcolatore è sempre lo stesso: leggere un programma, leggere i dati, elaborare i dati, emettere un output che può anche avere un formato comprensibile dal calcolatore.

Con il passare del tempo il formato, o meglio gli strumenti, di input sono cambiati, ma il ciclo di elaborazione è sempre restato lo stesso e potremmo dire che la fase iniziale primordiale di una elaborazione è sempre un uomo che con una attrezzatura particolare trasferisce l’informazione su un supporto “elettrico” che è in grado di farsi capire da una macchina.

Quando andiamo alla cassa di un supermercato la cassiera fa leggere ad una macchina il codice che identifica il prodotto, ma prima il capo-supermercato aveva detto, tramite una tastiera, all’elaboratore collegato alla cassa il prezzo da attribuire a quel prodotto. Al termine della registrazione degli acquisti, la cassiera inserisce la nostra Carta di Credito ed i soldi passano dalla nostra Banca alla Banca del supermercato, ma qualcuno prima aveva registrato sulla Carta e per mezzo di una tastiera il nostro nome ed il codice identificativo del conto.

Sia che facciamo la spesa al mercato, sia che progettiamo il più lungo ponte del mondo, sia che calcoliamo come mandare un razzo su Marte, il calcolatore funziona sempre allo stesso modo.2.2          Proviamo ad aprire “la macchina”.

Abbiamo detto che in un elaboratore entrano le informazioni, che gli addetti ai lavori chiamano input, che vengono “elaborate” ed quindi altre informazioni organizzate diversamente escono dalla macchina e questi dati elaborati si chiamano output.

A questo punto è bene ricordare una massima che tutti gli “uomini del computer” conoscono, ma talvolta dimenticano. Il proverbio, in inglese, suona così: “If garbagge in, than garbagge out”.

Questa massima è la volgarizzazione per computer dell’aurea regola scientifica: “In natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma” che in “computerese” si traduce in “se entra porcheria, allora può uscire solo porcheria”.

Armati di un magico cacciavite apriamo il computer e vediamo che è una scatola…..quasi vuota. Avevamo in mente i grandi elaboratori complicati pieni di fili ed apparati ed ora vediamo una scatola con dentro qualche tavoletta di plastica cui sono attaccati un po di fili di collegamento. L’unico organo che ci sembra di riconoscere, forse per il rumore e l’aria che emette, è un piccolo ventilatore.

Abbiamo scoperto la magia della miniaturizzazione. I tecnici sono riusciti a comprimere transistor, condensatori, resistenze ed altre mercanzie elettroniche in piccoli quadretti, simili a cioccolatini, che si chiamano “Consolidated Highly Integrated Processor” o più familiarmente CHIP. Ma chip vuol dire piccolo pezzo, granulo ed anche il più piccolo gettone in una partita di poker.

Un chip è un micro calcolatore completo che, partendo dal transistor, i tecnici sono riusciti a inventarsi, con tecniche microscopiche e quasi magiche. Infatti in un chip, più piccolo di un francobollo piegato in quattro, sono presenti migliaia, avete letto bene…migliaia, di componenti elettronici.

Ogni chip può essere considerato come una squadra di tecnici ed operai molto specializzati, cioè capaci di fare bene solo poche cose. Dal lavoro organizzato di tutti i chip si passa dall’input all’output.

Forse a questo punto è necessario passare dalla struttura tecnica di un calcolatore ad una descrizione più vicina a noi in grado di chiarire meglio il funzionamento del nostro computer.