Informatica in pillole, con Attilio A. Romita (1)

Pubblicato il 23 Dicembre 2008 in da Vitalba Paesano

Tutto ebbe inizio nel 1959 quando il padre di un mio amico ricevette l’invito per la presentazione di un certo ELEA 9003 della Olivetti. Roberto, il figlio, ed io andammo a sentire di che si trattava.

Ho scoperto molti anni dopo che uno dei primi veri computer elettronico a transistor era stato progettato e costruito in Italia quando ancora alcuni grandi laboratori universitari ed alcuni mitici “enti militari americani” avevano saloni con strani apparati pieni di suoni, colori e luci denominati cervelli elettronici.

La storia degli strumenti che l’uomo ha pensato, progettato e costruito per avere un ausilio nello sviluppo di calcoli è lunga e forse inizia con quel nostro progenitore che ha fatto dei piccoli segni sul muro di una caverna per vedere se tutte le sue pecore erano rientrate.

Nei diecimila anni seguenti la tecnica di calcolo non ha fatto grandi progressi fino ad arrivare a tempi storici in cui scienziati medioorientali, i veri Maghi della storia cristiana, erano capaci                          
di fare complessi calcoli astronomici contando ….sulle punte delle dita.  E questo ….metodo di calcolo è andato avanti per molti secoli talvolta aiutato da avanzati strumenti quali l’abaco o pallottoliere.

Tutti i cambiamenti che ci hanno portato agli strumenti attuali sono iniziati molte migliaia di anni fa, ma hanno avuto uno sviluppo pratico percepibile negli ultimi centocinquanta anni.

Inizialmente le macchine di calcolo erano capaci di fare operazioni singole su numeri a molte cifre con velocità accettabili, ma con il limite di un’operazione per volta che operava su i dati di volta in volta immessi dall’operatore. Queste macchine erano elettromeccaniche e davano risultati veloci….se non si inceppavano. Ovviamente il molto veloce è relativo e come esempio posso darvi questo dato: la Olivetti Divisumma nel 1968 per fare una semplice divisione quale 999.999.999 diviso per 1 (uno) impiegava 47 secondi! E la Divisumma era una macchina d’avanguardia

Insieme all’esigenza di fare rapidi calcoli singoli nascevano altre due necessità: calcolo di formule complesse partendo da un numero limitato di valori iniziali e calcolo con formule semplici di un numero notevole di dati. Per ambedue le necessità valeva anche un altra esigenza: poter conservare lo schema di calcolo per evitare di doverlo impostare ogni volta.

A questo punto si cominciano a progettare le macchine programmabili il cui progenitore è la pianola meccanica per la quale il rullo di carta perforata rappresenta il “programma”.

A fine 800 il Governo degli Stati Uniti lanciò un concorso per contare i risultati del Censimento. Hollerit, un esperto di statistica, propose un sistema in cui i dati venivano codificati su cartoncini perforati, che poi erano dati in pasto ad una macchina che poteva ottenere tutta una serie di elaborazioni (totali, medie, prodotti…). Con questa macchina in 2 anni vennero elaborati i dati di 63.000.000 di persone. Erano nate le schede perforate e le tabulatrici.

Le tabulatrici non erano altro che grosse calcolatrici elettromeccaniche alle quali i dati, invece che dalle dita dell’operatore, venivano fornite dal lettore di schede cioè un organo che con “minidita sensibili” si accorgeva del buco in una scheda.

Le macchine a schede con vari abbellimenti e perfezionamenti, ma sostanzialmente sempre uguali sono durate per gli usi industriali sino a circa il 1950 e per usi scientifici e militari sino al primo conflitto mondiale.

Nel 1967, nel Centro Meccanografico, così si chiamava allora, di una Compagnia di Assicurazioni per la quale lavoravo esisteva ancora il mitico MOLTIPLICATORE OLIVETTI. Questo mostro grande quanto un trattore di medie dimensioni, era capace di “leggere” da una scheda perforata due numeri di 7 cifre, di calcolare il loro prodotto e di perforare sulla stessa scheda il risultato; il tutto alla pazzesca velocità di circa 6 schede al minuto.

Nello stesso periodo esistevano anche macchine elettromeccaniche che lavoravano realmente a velocità impressionante: le selezionatrici. Queste macchine permettevano di mettere in ordine le schede secondo sequenze ben definite come il codice identificativo o il nome. Non era un lavoro fisicamente semplice. Per esempio per avere le schede ordinate secondo la sequenza di un codice di 6 posizioni come il numero di polizza occorreva ripassare 6 volte le schede nella selezionatrice stando attenti a non fare errori tra un passaggio e l’altro. Queste macchine leggono le schede ad una velocità di oltre 2000 schede al minuto e le suddividono in dodici caselle diverse: è una velocità quasi impensabile tenendo presente che un uomo a mano riesce a dividere un pacco di documenti in dieci gruppi ordinati ad una velocità di circa 30 pezzi al minuto.

Nel 1939 ebbe inizio la Seconda Guerra Mondiale e questo evento, per molti versi negativo, fece fare un salto di qualità alla tecnica degli elaboratori. La prima necessità che si presentò fu quella di cifrare e decifrare rapidamente i messaggi che l’avversario si scambiava. Per fare questo occorrevano strumenti capaci di fare un numero notevole di analisi in breve tempo. Inizialmente furono usati strumenti elettromeccanici, il celebre ENIGMA, poi si cominciò a pensare all’elettronica  che in quel periodo si basava essenzialmente sull’uso di valvole termoioniche, cioè quella ampolle di vetro con all’interno un circuito elettronico capace di reagire in modo controllato a variazioni esterne. Purtroppo la  valvola termoionica ha una limitata capacità di lavoro e scalda molto. Per avere risultati reali occorreva mettere in batteria qualche migliaio di valvole installate su di una centrale di raffreddamento.

 

Queste esperienze dettero buoni risultati, ma non potevano avere usi industriali perché si trattava di macchine costose, enormi, complicate e che si rompevano continuamente. Dal primo Colossus e da Harward Mark 1 (il popolare Bessie) si passò al mastodonte per eccellenza:ENIAC, 17000 valvole, 70.000 resistenze e 10.000 condensatori, ma 300 moltiplicazioni al secondo. La potenza assorbita è di 174 kilowatt: uno scaldabagno tradizionale da 80 litri assorbe 1 kw. In aggiunta si rompeva mediamente ogni 5 ore e mezza e bruciava 20.000 valvole l’anno.

Il destino dei calcolatori a valvole sarebbe stato segnato se nel 1947 tre ricercatori americani, Bardeen, Houser e Bradford, usando pezzettini di silicio non puro, avessero inventato il TRANSISTOR, una “cosa” che funzionava come una valvola, non si rompeva, era grande un millesimo di una valvola ed assorbiva potenza ed emetteva calore in proporzione.

Da qui in avanti l’evoluzione dei calcolatori diventa impetuosa, le potenze elaborative si moltiplicano di momento in momento, le schede perforate che possono contenere pochi dati sono sostituite da nastri e dischi e il Centro Meccanografico diventa più pomposamente Centro Elaborazione Dati.

Per dare una prova tangibile di questo cambiamento vi narro un fatto reale. Una delle caratteristiche di un Elaboratore è il numero di posizioni di memoria di cui può disporre. Nel 1967 il primo elaboratore sul quale ho lavorato aveva 1200 posizioni di memoria. Nel 1969 furono aggiunte 4000 posizioni di memoria e arrivò una specie di armadio grande come una frigorifero. Nel 1972 all’elaboratore che usavamo furono aggiunte 4 milioni di posizioni di memoria che il Tecnico portava con una valigetta 24 ore. Oggi, 2008, il computer portatile con il quale sto scrivendo ha 2 miliardi di posizioni di memoria.

Paragonando questo cambiamento alla variazione di velocità di una macchina,se quella del 1969 faceva 100 km/ora, quella del 1972 doveva avere la velocità di lancio di un razzo per la luna ed il mio PC arriverebbe su Marte in pochissimo tempo se Einstein con quella storia della velocità della luce non frenasse il suo slancio.