Ageismo, la discriminazione che classifica il mondo per età

Pubblicato il 19 Novembre 2021 in Ideas Tempi d’oggi / Noi e Società
Medicina sociale
Le Nazioni Unite, nel dicembre 2020, insieme all’OMS, hanno proclamato il 2021-2030 come il Decennio dell’invecchiamento in buona salute (Decade of healthy aging), definizione che succede a quella del decennio precedente, dell’invecchiamento attivo. Tra le quattro aree di intervento in cui si articola, nel Rapporto, la definizione, l’ONU  si è concentrato sull’ageismo (ageism) perché è il fenomeno più globale e insidioso, non riconosciuto, non contrastato e persino scarsamente compreso. A partire dal nome che lo identifica, che si riferisce alle discriminazioni legate all’età.
Dopo aver letto il rapporto ONU in questo Speciale e in più puntate avviamo una discussione aperta su questo tema così importante.  Leggete, lasciatevi coinvolgere, e date le vostre testimonianze su quello che voi percepite, anche in base alle esperienze di vita quotidiana, come discriminazioni legate all’età, in particolare quella anziana.
Dopo razzismo e sessismo, l’ageismo è il terzo “ismo” della nostra società, più insidioso perché onnipresente. Colpisce chiunque sia oggetto di discriminazione, unicamente sulla base dell’età: sono anche i giovani che non trovano considerazione e spazi; uomini e donne di mezza età che non riescono a  trovare lavoro; sono soprattutto gli anziani, anche qui.
Ageismo deriva dall’inglese age= età, ma nella sua trasformazione è praticamente intraducibile. L’ageismo nasce quando l’età è usata per rinchiudere in categorie e dividere le persone con modalità che si configurano come uno svantaggio e un’ingiustizia, erodendo così la solidarietà tra generazioni.

All’interno di  questo campo concettuale generale,  emerge la preponderanza dell’incidenza dell’ageismo sull’età anziana, confermata da uno studio mondiale sulle condizioni di invecchiamento e buone pratiche cui hanno contribuito 100 differenti organizzazioni, con 35 studi di caso in 55 Paesi in tutto il mondo (nel novero dei Paesi menzionati non figura l’Italia). Le Nazioni Unite, nel dicembre 2020, insieme all’OMS, hanno proclamato il 2021-2030 il Decennio dell’invecchiamento in buona salute (Decade of healthy aging), un patto sottoscritto da Governi, società civile, agenzie internazionali, professionisti, università, media e settore privato per migliorare la vita delle persone anziane, delle loro famiglie e delle loro comunità.

Il decennio, nella definizione dell’ONU, si articola in quattro aree di intervento:

  1. L’ambiente fisico e sociale
  2. Le discriminazioni basate sull’età
  3. La sanità integrata
  4. L’assistenza a lungo termine

Il Rapporto dell’ONU (marzo 2021) si concentra sulla seconda area, l’ageismo appunto, perché è il più globale e insidioso, non riconosciuto, non contrastato e persino scarsamente compreso, a partire dal nome che lo identifica. Come si manifesta l’ageismo? Ha diversi aspetti correlati che si possono configurare come dimensioni, livelli, forme di espressione.

Le dimensioni sono tre:

  •  L’insieme degli stereotipi (le idee e le conoscenze, vere o false che siano, che condizionano il modo in cui pensiamo)
  • L’insieme dei pregiudizi (i preconcetti, le supposizioni, i sentimenti che manifestiamo, il modo, quindi, in cui sentiamo)
  • L’insieme delle discriminazioni (gli atti, le decisioni, le scelte, il modo in cui ci comportiamo)

Stereotipi, pregiudizi, azioni discriminatorie riguardano anche altre fasi di età, ma assumono maggiore importanza e incidenza nell’età anziana.

L’insieme degli stereotipi

Dai dati del Rapporto si evince che a livello mondiale una persona su due ne è agente diretto, e una persona su tre ne è vittima. Si potrebbe anche intuire che per quanto riguarda i giovani e i giovani adulti, donne e uomini, si sommino e acquistino maggiore rilevanza fenomeni quali il razzismo e il sessismo. Comunque gli stereotipi legati all’età possono essere sia negativi sia positivi, e cambiano a seconda della cultura generale dei vari Paesi o continenti. Ad esempio, in alcuni Paesi i vecchi sono per definizione fragili, e incompetenti. Mentre i giovani adulti sono considerati materialisti, pigri e impazienti. In altri Paesi i vecchi sono indice di saggezza e calore umano. In definitiva gli stereotipi sono semplificazioni  e generalizzazioni che, partendo anche da una base di realtà, annullano la variabilità individuale ed eliminano gli aspetti discordanti. Tutto è reso uniforme. La percezione di fenomeni complessi risulta semplificata. Insomma, sono dispositivi che bypassano la complessità del mondo e della società in cui viviamo al fine di rassicurarci.In realtà imprigionano.

Gli stereotipi che colpiscono gli anziani includono le loro capacità fisiche e mentali, le competenze sociali e le loro credenze politiche e religiose.

L’insieme dei pregiudizi

I pregiudizi sono una reazione emotiva, sia positiva sia negativa, che colpisce una persona sulla base della sua presunta età, contribuendo a creare gerarchie tra i diversi gruppi. Reazioni di pietà o di simpatia sono le forme più comuni di pregiudizio. Rispetto agli anziani possono provocare nei giovani il desiderio di escludere la compagnia dei vecchi. Ma possono provocare anche sentimenti di paura o di avversione verso i giovani, basati sulla presunzione che siano tutti delinquenti o criminali

L’insieme delle discriminazioni

Le discriminazioni consistono in azioni, pratiche e politiche applicate a determinati gruppi sociali. Possono essere sia negative sia positive. Il rapporto ONU si sofferma sulle discriminazioni basate sull’età. Per fare alcuni esempi di discriminazione negativa ci possono essere situazioni in cui non si considera giusto che un/una giovane coordini una discussione perché non ha l’età. Oppure che si impedisca a un dipendente di seguire un corso di formazione perché lo si considera troppo vecchio. Esempio di discriminazione positiva è,  invece, il sussidio che lo Stato elargisce a giovani e adulti che non hanno un reddito sufficiente. In definitiva l’ageismo coinvolge quello che pensiamo, quello che sentiamo, come agiamo in relazione ad altri, ma anche verso se stessi.

di Marina Piazza

3 thoughts on “Ageismo, la discriminazione che classifica il mondo per età

  1. L’ageismo purtroppo è un fenomeno diffuso molto più di quanto non si creda. L’ho provato, per così dire, sulla mia pelle. Mi ha ferito profondamente e, confesso, che ancora oggi questa ferita mi brucia, tanto che trovo difficile scriverne. Ma voglio farlo, perché qualcuno deve pur iniziare. Sono una donna che può essere catalogata anagraficamente tra le Young Old. Sono una ex dirigente, attiva nel Terzo Settore. Mi piace fare sport e lo pratico regolarmente. Grazie al cielo, godo di ottima salute. Qualche mese fa, dopo la morte della mia micia (aveva 17 anni), desideravo adottare un randagio da un canile. Non volevo un cucciolo, ma una cagnolina sui 4-5 anni. Purtroppo l’adozione mi è stata rifiutata proprio per ragioni di carattere anagrafico.
    Questo semplice episodio apre la strada a moltissime considerazioni. La prima che mi viene in mente, per ovvi motivi, è che l’invecchiamento in buona salute passa anche (ed è dimostrato scientificamente) dalla compagnia di un animale domestico.
    Privandomi di quella che può sembrare piccola cosa, ma per me era un impegno importante ed un atto di amore e cura, si è attuata una discriminazione pesante, dolorosa e ingiusta. Per la prima volta in vita mia mi sono sentita vecchia e inutile!
    Questa è la mia testimonianza. Grazie

  2. Grazie per la sua testimonianza, che dà il via, speriamo, ad altri interventi, racconti e denunce. Solo se abbiamo tutti più attenzione e più coraggio a identificare il fenomeno e a contrastarlo, possiamo incidere, impercettibilmente ogni giorno a cambiare il tessuto sociale. Mi piace anche pensare, gentile amica, che qualcuno la contatti, attraverso le nostre pagine per esaudire il suo desiderio.

  3. Anch’io spero che tante persone trovino il coraggio di denunciare questo fenomeno (molto diffuso ad esempio sui social!), anche se comprendo come non sia facile. Chi è soggetto a ageismo (così come ad altre forme di discriminazione o violenza) spesso si sente in colpa, anche se di colpe non ne ha. Questo è ciò che è successo a me. Infatti è dovuto passare un po’ di tempo perché razionalizzassi e superassi certe barriere psicologiche. Senza dubbio, i vostri articoli sul tema mi hanno dato un buon impulso! Grazie moltissimo per l’augurio. Sarebbe un bel regalo di Natale!

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