LE RIFLESSIONI DI GINO, UNO DI NOI: “Il primo contatto” (25)

Pubblicato il 12 Agosto 2021 in Letture Ideas
volontariato

Arriviamo puntualissimi. Si capisce che si tratta di una casa alloggio. Un edificio tenuto con dignità, la facciata è segnata dalla memoria di tutte le intonacature precedenti. Per dirci quante vite qui si intrecciano, e si mescolano. C’è un vociare lontano di bambini, che arriva dal piano superiore. All’ingresso una donna dai tratti arabi, senza il velo, ci accoglie. L’accento del suo italiano è dolce.

“Sono Fathma. Sono la collaboratrice della coordinatrice della casa. Voi siete i nuovi volontari, vero? Venite”. E ci fa strada nell’androne, le voci dei bambini sono più vicine. Entriamo in una stanza piccola, un tavolo e delle sedie metalliche, dall’aria tanto vissuta, sembrano in pensione dopo una vita consumata in qualche sala di attesa ospedaliera. Le pareti sono stinte, solo un quadro con una foto sbiadita della pubblicità della Coca Cola. Chissà perché. Lina mi guarda, vuole comunicarmi qualcosa. Probabilmente la sua sorpresa. Fathma torna e con una cadenza da regione italiana tutta da inventare, ci dice: “la coordinatrice si scusa ma è un momento impegnata di sopra. E’ nostra abitudine per i nostri nuovi volontari prima raccontare la nostra storia e poi vedere i locali. Va bene anche a voi, vero?”. Diretta, al sodo.

Ci sediamo, Fathma esce e rientra subito con dei fogli, si capisce essere la presentazione della associazione. Si siede accanto a noi, e senza staccare gli occhi dai fogli, da inizio alla sua presentazione. E’ così rapida che una domanda è un azzardo. Lina ed io restiamo in silenzio. Improvvisamente il tono di Fathma si alza leggermente: “è chiaro quello che vi sto dicendo?”. Mi sento in soggezione, Lina trattiene qualcosa. Provo a glissare, rispondo: “certo, tutto chiaro”. Il suo italiano è perfetto. Lina mi accenna una smorfia.

Fathma ci dice che è una associazione che accoglie giovani donne non italiane, mamme con prole, in tenera età, provenienti da esperienze dure, crude, vittime di atti violenti. Donne che hanno bisogno di ritrovare se stesse, di dare dignità e speranza alla loro vita, amore per sé e per il pargolo che hanno accanto.

Finalmente arriva quella che, mi viene da dire, è la “capa”, la persona che coordina tutta la struttura. Mi stupisce molto. In un luogo che dovrebbe fare dell’accoglienza la sua ragione di vita, lei risulta sbrigativa, senza fronzoli, empatica quel tanto che basta, quasi “frettolosa”. Ci dice subito che non ci sarà una “formazione preliminare”, ma un graduale affiancamento agli educatori e gli psicologi che operano lì. Potremo scegliere se concentrarci su un’unica ospite o dedicarci a delle attività trasversali. Ci sarà turnazione con altri volontari, compresi il sabato e la domenica. Ci dedica 10 minuti, non di più. Mi aspettavo qualche domanda, qualche curiosità da soddisfare, poter porre io o Lina qualche domanda. Nulla. Sono un po’ stupito, Lina è elettrizzata. Sbircia le ospiti che transitano nel corridoio, fissa i bambini come se volesse abbracciarli.

“Hai voglia di fare la nonna?”.

“No, mi risponde, la volontaria!”.

Come solito, ha le idee chiare, molto chiare.

colloquioIo invece un po’ meno. Quanto sta accadendo mi lascia un fondo di perplessità. La “capa” si congeda e ci lascia nelle mani di Fathma. Che arriva accompagnata da una giovane donna che si qualifica come psicologa.

“Quanto tempo potete stare qui?”.

“Anche un paio d’ore”, le rispondo.

Bene, allora accomodatevi. E ci fa cenno di sederci di nuovo nella piccola stanza. Fathma si congeda e…comincia quel che mi aspettavo: una esplorazione da “carta millimetrata” su motivazioni personali, esperienze, aspettative, punti deboli/forti caratteriali.

Lina, dopo la prima ora di grande disponibilità, comincia a manifestare risposte più vaghe, frasi brevi. L’interrogatorio procede comunque, la psicologa non molla. Ci chiede come abbiamo immaginato il nostro servizio lì dentro, quali difficoltà potremmo incontrare. Mi sembra un po’ esagerata. Le esprimo il mio pensiero.

“Senta, penso di non avere al momento risposte per tutte le sue domande, e questo credo valga anche per Lina. Le chiedo di poter essere presenti un paio di settimane, affiancati, svolgere qualcosa di molto semplice. Comprendere se lo stare qui ci tiene lontani da ogni forma di disagio, prima di tutto, e se l’entrare in relazione con le ospiti funziona. E’ il minimo che ci serve per capire se proseguire o meno. E tra un paio di settimane ne riparliamo. Che cosa ne dice?”.

Lina tira un lungo sospiro. La psicologa ascolta, e accetta le due settimane di “prova”. Ci lasciamo cosi, con un appuntamento nuovamente la mattina dopo due giorni. Un arrivederci non molto rilassato, per la verità. Ma è tutto così il mondo del volontariato?

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