La nostra produzione di febbraio

Pubblicato il 28 Febbraio 2014 in da redazione grey-panthers

 

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Tutto ebbe inizio alla fine dell’inverno. Un giorno aveva udito una voce sconosciuta, poi altre voci che dicevano questo sì questo no –  per quanto si sforzasse, non era riuscito a intendere altro –  e un rumore come di affaccendarsi di più persone tra gli alberi,  calpestio di fogliame,  passi sempre più ravvicinati  e odore di vernice. Un fremito di terrore era volato di cima in cima e poi, all’improvviso, se l’era trovato davanti. Gelido nel suo sguardo sprezzante, lo sconosciuto lo osservava senza parlare.Cuore verde

Succedeva spesso che qualcuno sostasse per qualche istante nella sua ombra, ma non così, non questa volta. L’albero ne percepì chiaramente la minaccia.

Poi arrivò la primavera con le piogge leggere che lavavano le foglie, i boccioli che si aprivano al tiepido sole e i bambini che giocavano e correvano sull’erba verde dei prati, e con la primavera arrivò una brezza leggera che portava un senso di inquietudine. Era successo qualcosa in paese e tutti gli alberi lo percepivano chiaramente. La magnolia fremeva ed era tutta spettinata mentre i suoi  petali cadevano volteggiando sull’erba, la ginestra agitava le lunghe braccia, la quercia, la betulla, il platano, l’acero e il larice  erano molto seri e borbottavano con voce profonda. Solo lui, il vecchio  pino argentato,  cercava di calmarli.

– Amici, prima di saltare a conclusioni avventate, aspettiamo, sicuramente quando Fabio verrà a trovarmi  mi spiegherà tutto, ne sono sicuro.

Piano piano il silenzio ritornò e verso sera, sotto un cielo tempestato di stelle, l’ albero tornò con i ricordi a più di  cinquant’anni prima…

“Il campo degli alberi”, lo chiamavano, il luogo in cui, per tradizione e consuetudine, veniva piantato un nuovo esemplare per ogni bambino nato. Ogni albero aveva la sua targhetta con un nome inciso, solo lui ne aveva due: Diego e Fabio, nati nello stesso giorno. Era una grande responsabilità, ne era consapevole, ma anche tanto orgoglioso. I due ragazzi erano cresciuti con lui, dopo la scuola andavano a giocare nei prati, d’estate si riposavano nella sua ombra e controllavano che fosse in buona salute. A Natale lo addobbavano con quelle palline colorate che gli davano un gran tormento, ma non se n’era mai lamentato. Sapeva di essere il loro grande amico silenzioso che li capiva e li proteggeva.

Dieci anni erano trascorsi, anni spensierati e senza nubi, fino a quel tremendo giorno.  Diego lo guardava triste con i suoi grandi occhi scuri e le parole faticavano a uscire dalla sua bocca.

– Sai Pino, devo lasciare il paese, papà deve trasferirsi all’estero per motivi di lavoro. Ma ti prometto che un giorno tornerò a trovarti.

Lui aveva incurvato la sua cima verso il ragazzo, a cogliere meglio quelle parole soltanto sussurrate. E aveva compreso. Niente sarebbe più stato come prima.

Era rimasto Fabio a consolarlo, l’aveva aiutato a superare quel momento difficile e fu per amor suo e per la promessa di Diego che era riuscito a guarire da quella ferita.  Anche i suoi vicini, che  l’età aveva reso più saggi,  gli rivolgevano sguardi comprensivi e cercavano di distrarlo in ogni modo.

– Pino, ricordi  quell’anno che è caduta tantissima neve che sembrava che il cielo volesse farci morire di fatica?

– Certo Quercia, meno male che eravamo molto giovani e quindi molto forti; anch’io ho avuto paura di rompermi tutto sotto il peso di quella enorme coperta di neve. E l’anno dopo, quell’alluvione che  ha allagato tutto il campo e che ha ucciso tanti altri alberi?

– Si! Mi arrivavano addosso tronchi da tutte le parti……e quanti rami mi sono rotta! Se ci penso, mi par di sentire ancora dolore.

– I tronchi addosso li ho ricevuti anch’io, ma non ho subito nessuna frattura. Sai, i miei rami sono molto flessibili, comunque ho sofferto tantissimo e ho avuto anche paura che le mie radici potessero cedere. E tu, Betulla, te lo ricordi?

– Veramente no, ma che anno era?

– La neve è caduta nel 1985, e l’alluvione c’è stata due anni dopo.

– Ecco perché! Non ero ancora arrivata!

Gli anni erano passati, e Fabio aveva conseguito il diploma con ottimi voti. L’albero era al settimo cielo, ma quella gioia non era destinata a durare. Un giorno, molto delicatamente, il ragazzo gli aveva comunicato di doversi trasferire in città per frequentare l’Università. Era nella natura delle cose, doveva farsene una ragione. Non era stato facile e se c’era riuscito era stato anche grazie ai ragazzi del paese che l’avevano adottato sostituendosi ai suoi: d’altra parte, si era detto, l’amicizia, quando ti viene donata, non si deve  sprecare, è troppo preziosa. E una domenica, durante una delle sue visite, dopo aver ascoltato il racconto di tutto ciò che gli era capitato in settimana, l’aveva informato.

– Sai Fabio, ci sono dei ragazzini più giovani di te che mi vogliono bene tanto quanto tu e Diego, sono diventati miei amici e mi fanno tanta compagnia: non ti dispiace, vero? Non sei geloso che altri abbiano preso in parte il vostro posto?

-No Pino! Anzi, sono molto felice di saperlo, mi fa stare più tranquillo già che sei in buona compagnia.

– Devo chiederti un altro favore, Fabio.

– Dimmi Pino.

– Li vedi questi miei rami che sono malridotti?

– Si. Ce ne saranno quattro o cinque.

– Esattamente. Il favore che ti chiedo è se puoi farmeli togliere da qualcuno o farlo tu, che è quello che preferirei: sicuramente non mi faresti sentire dolore. Sai, come quando voi andate dal dentista per farvi estrarre un dente, io ho bisogno che quei rami mi siano tolti perché mi danno un dolorino fastidioso.

– Va bene, Pino. Ci penserò io!

– Grazie, sei molto gentile. Un’altra cosa, hai notizie di Diego?

Così aveva saputo che Diego stava bene e dopo le prime difficoltà con la lingua si era perfettamente inserito. E chissà con quanta fatica, timido e introverso com’era!  Anche se fin da piccolo aveva nutrito la segreta aspirazione di conquistare il mondo, glielo aveva confessato una volta che era solo, senza Fabio. Quel giorno aveva visto la felicità sul suo volto di bambino. Si era sdraiato a terra e mentre osservava confondersi sopra di sé l’intrico dei rami e il verde e l’azzurro gli aveva rivolto quella confidenza. La sua partenza allora aveva suscitato mille domande: starà bene? Troverà il suo sogno? Si ricorderà di me? Oscuramente sapeva che un giorno l’avrebbe rivisto e questo pensiero se lo sentiva scorrere dentro come linfa vitale.

E poi anche Fabio se n’era andato. Non aveva mai desiderato brillare, ma solo essere utile al prossimo, per questo era diventato medico. E tutti lo tenevano in gran considerazione perché quando diceva una cosa la diceva per averla pensata più degli altri. La sua serenità dava sicurezza. Certo, aveva attraversato momenti bui di incertezza durante i quali non s’era fatto vivo, e poi un giorno, improvvisamente, la notizia del suo matrimonio.

Da parecchio tempo l’albero era rimasto solo, invecchiava giorno per giorno facendo mille congetture.

– Sta’ tranquillo, tentavano di consolarlo Quercia e Betulla, quando meno te l’aspetti verranno a trovarti,  e allora faremo gran festa.

– Avete un bel dire voi, non vi tocca, non sapete cosa siamo stati l’uno per l’altro.

– Questo non puoi dirlo, caro Pino, anch’io ho avuto il mio ragazzo, mi sembra si chiamasse Daniele, che per alcuni anni veniva tutti i giorni; poi non l’ho più visto e di lui non so più niente. E tu Quercia cosa ne pensi?

– Cosa volete che vi dica? Io non l’ho mai visto, non so neanche se è maschio o femmina e non hanno neanche messo la targhetta! Ma non per questo sono triste, vivo in questo ambiente che mi piace, con amici che mi vogliono bene, ci facciamo compagnia, dunque….. mi godo la vita in santa pace! Riesco a sopportare anche qualche monello che mi rompe qualche ramo,  il vento che mi scombussola la chioma,  l’acqua che a volte mi annega e la neve che mi appesantisce i rami e…………..basta! Sono felice di vivere!

Intanto il boschetto era cambiato, grandi abeti, faggi, querce si stagliavano verso il cielo e l’edera aveva ricoperto i  loro tronchi di un verde scuro. Alcuni erano stati abbattuti, il più bello se n’era andato pochi giorni prima, vinto dalla tempesta, e cadendo aveva annientato un’intera popolazione di giovani arbusti.  Presto l’avrebbero portato via. Ora al suo posto c’era il vuoto e in lontananza si intravedevano altri alberi prima invisibili. Era stata una notte orribile, nessuno aveva chiuso occhio e l’indomani c’erano rami spezzati ovunque. Anche lui aveva qualche ramo rotto, ma questa volta non c’era Fabio a soccorrerlo.

Dopo il trambusto che c’era stato, alla fine dell’inverno nessuna notizia era trapelata nel boschetto, finché un giorno i discorsi di una coppia che passeggiava tra gli alberi rivelarono inaspettatamente la verità.

– Certo che diventerà un bellissimo parco, guarda che alberi! E sono stati piantati quasi tutti a seguito di nascite.

– E come lo chiameranno?

–  Non so, credo “Parco dell’amicizia”.

Quel nome gli piacque subito, come gli piacque l’idea di essere sistemato  in un ambiente più ordinato e signorile; chissà se avrebbero avuto ancora i cani liberi, le feste e i picnic che tanto li infastidivano.

– Dicono che il progetto è stato realizzato da un botanico venuto apposta dall’estero, addirittura dalla Cina, ma non ho capito chi sia: è bellissimo, non hanno badato a spese!

– Naturalmente dovranno aggiungere nuovi alberi e abbattere quelli più vecchi e malandati, guarda quello, è proprio decrepito!

Di chi parlavano? Della quercia? No, la quercia no! E betulla? Era ancora giovane e sana. Un brivido di terrore gli attraversò tutte le fibre. E se fosse toccato a lui?

L’inaugurazione del nuovo “Parco dell’amicizia” avvenne in ottobre alla presenza di tutte le autorità cittadine e anche del progettista/realizzatore dell’opera. Fu una splendida festa con tanta gente e tantissimi bambini vocianti e allegri che si rincorrevano sull’erba, qualcuno tenne un discorso e fu organizzato anche un buffet con ogni ben di Dio, una gran baldoria per tutto il giorno. Ma Pino  non si sentiva per nulla felice. S’aspettava di vedere i suoi carissimi amici tornati per l’occasione, invece niente. Il loro silenzio era più assordante degli schiamazzi dei presenti.

Verso sera, mentre il parco andava svuotandosi, vide avanzare verso di sé due uomini con le mani in tasca, lo sguardo basso, l’andatura lenta; li vide soffermarsi ai suoi piedi e poi chinarsi a cercare qualcosa nascosta tra l’erba. Lui sapeva che cosa, era la targhetta con incisi i nomi di Diego Martelli e Fabio Girondini, ma loro cosa cercavano veramente? Poi li riconobbe. Erano proprio loro, i suoi ragazzi!

–  Pino! Come sei cresciuto! Sei meraviglioso, fatti accarezzare, ci sei mancato da morire!

Dopo i saluti e gli abbracci gli svelarono ogni cosa. Il Parco era stato realizzato anche per merito loro. Loro si erano spesi per organizzare i lavori di ristrutturazione, loro si erano battuti per evitare l’abbattimento degli alberi anziani. E Diego, sì, era proprio lui il famoso botanico venuto dall’estero, addirittura dalla Cina per realizzare il progetto, e avevano fatto tutto a sua insaputa!

L’albero era stato felice molte volte, ma questa gioia aveva un significato ancora più grande, come se tutta la sua vita e tutte le cose intorno esistessero solo per quell’incontro tanto, tanto desiderato.

Diego e Fabio accesero una sigaretta e si sedettero sulla terra morbida. A lungo rimasero a osservare il tronco rugoso, i rami con i loro aghi sottili e più volte si soffiarono rumorosamente il naso. L’albero comprese che i loro occhi si stavano riempiendo di lacrime dalla gioia.

Dopo qualche minuto arrivarono le loro famiglie coi loro figli e nipoti e furono grandi abbracci.

– Nonno, è questo il tuo albero? E come si chiama?

– Si chiama Pino, così l’abbiamo chiamato, io e Diego. Venivamo qui a giocare agli indiani, tanto tempo fa, quando eravamo bambini come voi. Allora era solo un alberello.

Era chino davanti a loro, lo sguardo fisso sui due uomini e a un tratto si sentì commosso. Se gli uomini, alcuni uomini, avevano ancora un dono da offrire, ebbene questo lui l’aveva ricevuto.

E poi arrivò l’ora in cui ogni cosa è stanca e ogni minimo soffio di vento diventa percettibile. Da qualche parte in lontananza il latrare di un cane e poi il rumore di un’auto. L’albero la segui voltare l’angolo, accelerare e dileguarsi nella grande quiete. Sentiva la stanchezza della giornata avvolgerlo come un telo pesante, ma il sonno ancora non voleva venire. Nella penombra le sagome del faggio e del piccolo pino appena trapiantato lo guardavano costernate, pareva volessero dirgli sei un albero come noi. La terra, in basso, emanava un forte e dolcissimo  odore di vita, ma lui fissava solenne  il rosso volto del tramonto. Qui, in alto, sopra le cime, era come se si celebrasse una grande festa.

Non vide i suoi amici per due giorni. Cercava di convincersi che non potevano essere ripartiti  senza salutarlo e poi il terzo giorno li vide in lontananza che si avvicinavano con i volti tristi e spenti, come se avessero da comunicargli la notizia più dolorosa del mondo.

– Sai Pino, dobbiamo dirti una cosa, ma non sappiamo come.

Poi Fabio sorrise, strizzò l’occhio a Diego e con la voce ridente continuò.

– Come vedi siamo ormai avanti con l’età, siamo anche nonni e non riusciamo più a fare come vorremmo. Qualche tempo fa siamo andati in Municipio per informarci se era possibile portare a termine un’idea che ci era venuta: abbiamo chiesto la residenza che ci è stata concessa. Quindi, se non ti dispiace, resteremo a vivere gli ultimi nostri anni insieme a  te fino a quando la morte non provvederà a separarci.

– Sappi che, se dovessimo morire prima noi, i nipotini miei e di Fabio sono  incaricati di aver cura di te per tutta la durata della tua vita.

E allora tutta la linfa vitale prese a scorrere veloce nei rami, negli aghi argentati, giù, fino al tronco rugoso e alle radici saldamente piantate nel terreno, la sua cima più alta toccò quasi il cielo, sentiva come se la giovinezza fosse ritornata, era un pino alto, argentato, robusto e annoso, e aveva tanti amici e due figli perfetti che gli volevano bene.

sole di mezzanotte

 

 

Sole di Mezzanotte

La scelta di un viaggio dipende spesso dalla storia di ciascuno di noi e le storie di Demetra, Bianca e Foscolo si allineano per poi intrecciarsi sul Postale dei Fiordi, un luogo non luogo tra i più estremi del mondo che percorre, in un paesaggio suggestivo, le coste più settentrionali della Norvegia. Il loro sarà un legame temporaneo ma intenso, capace di suscitare confidenze e risvegliare emozioni, alla ricerca di se stessi in una realtà senza tempo, in uno spazio infinito.   
                                                    
Mi trovo sul molo di Bergen in attesa di partire per una crociera lungo i fiordi fino al Polo che non avrei mai immaginato di fare in questo periodo. Avevo acquistato alcuni biglietti della lotteria di Radio Popolare e me ne ero completamente dimenticata.
Un giorno ricevo una telefonata.

_   Pronto, parlo con la Signora Demetra Sorti?
_   Sono io, mi dica.
_   Lei ha il biglietto AZ603 della Lotteria di Primavera?
_   Sì, ce l’ho! Ho vinto qualcosa?
_   Sì, un viaggio premio che consiste in una crociera sul postale Andersen, uno dei famosi traghetti postali norvegesi; parte il 16 giugno da Bergen e arriva a Kirkenes  dopo 7 giorni; le verranno forniti tutti i dettagli dall’ agenzia di viaggio.
_   Ma bene, che bella notizia!
Nei giorni seguenti Demetra riceve tutte le notizie relative al viaggio e si predispone a partire; già si domanda come saranno le altre persone e se ci sarà bel tempo; per non sbagliare sceglie di portare capi di tipo e peso diverso. Arriva a Bergen con grande anticipo sull’orario di partenza e davanti al molo vede un grande mercato, si avvicina incuriosita e si aggira tra le bancarelle; ce ne sono di ogni genere: souvenir, cibo, abbigliamento, biciclette, etc.
D’un tratto viene catturata da un profumo intenso di salmone, si gira e vede una distesa di panini che risvegliano il suo appetito; il sapore è delizioso e per concludere il pranzo compra anche un cestino di lamponi freschi. Sul molo ci sono pochi turisti, forse perché è giugno e le vacanze estive sono appena iniziate: molti volti nordici, molti capelli biondi, alcune coppie con bambini di ogni età e un gruppo di giovani con gli zaini colorati sulle spalle.
Chissà se c’è qualcuno del sud  Europa;  intravedo una  ragazza  bruna  molto carina   che   sta  in disparte proprio come me; mi avvicino con discrezione e cerco di captare qualche  messaggio di apertura:
_    Hallo, how are you? Where are you from?
_    I’m from Italy.
_    Oh, allora possiamo scambiare qualche parola in italiano, se ne ha piacere.
_    Ma certo, io mi chiamo Bianca Lucchi e sono di  Tarquinia, e lei?
_    Vengo da Milano, mi chiamo Demetra, come è arrivata a Bergen?
_    Sono partita da Roma stamattina all’alba, per fortuna il  volo è stato  diretto  e  breve,  solo 4 ore, e non mi sento affatto stanca,  ho solo una fame terribile, ma ora non c’è tempo e dovrò  aspettare di essermi imbarcata prima di poter mangiare qualcosa. Mi piacerebbe fotografare questo momento prima della partenza ma ora davvero non me  la  sento  di sfoderare  la mia Nikon,  che tra l’altro ho appena riposto  nel mio trolley per non appesantirmi; infatti  sa,  da quando tre mesi fa mi sono accorta di aspettare un bambino, persino la mia amata macchina fotografica mi dà fastidio, quando la tengo appesa al collo.                              
Bianca guarda la donna dall’aria interessante e dal look alternativo e si sente felice di aver incontrato qualcuno con cui parlare; pensa che la giornata sia a dir poco fantastica, luminosa e tiepida e d’un tratto comprende il perché sia andata fin lassù per trascorrere parte delle vacanze, sola e con un sacco di domande da risolvere.
Dopo essersi presentate, le due donne salgono sul traghetto e, dopo aver mostrato i biglietti allo steward di bordo, restano in attesa dell’assegnazione delle rispettive cabine.
Bianca si rivolge a Demetra:
_   Speriamo che la mia si affacci sul mare, ho bisogno di aria e poi così potrei ritrarre il paesaggio in tutte le ore del giorno, sa sono una fotografa.
_   Io invece penso che sia una gran fortuna essere in bassa stagione, così abbiamo una cabina  singola; pensa se dovessi dividere la cabina con quell’uomo laggiù col cane?  Ti posso dare del  tu vero?
Bianca annuisce e poi volge lo sguardo verso l’uomo indicatole da Demetra; è seduto in disparte su uno dei sedili rossi del ponte, non si avvicina agli altri passeggeri e sembra particolarmente assorto nei propri pensieri.
Eccomi qui, sul Postale dei Fiordi che fra poco salperà. Ancora mi sto chiedendo cosa mi ha fatto scegliere d’impulso questo viaggio in terre sconosciute e lontane ma già vedere il mare e tutta questa luce mi fa stare un po’ meglio. Argo, il mio cane, è irrequieto, annusa l’aria, le orecchie pronte a percepire i rumori intorno, è il suo primo viaggio sul mare. Per fortuna c’è poca gente e per lo più mi sembrano quasi tutti stranieri; meglio così, non sopporterei i soliti gruppi di italiani chiassosi e invadenti.
Sento che l’aria entra ed esce dai polmoni, mi sembra quasi di berla e la sento scendere pian piano in tutto il corpo; per anni è come se avessi trattenuto il respiro, in una sorta di apnea permanente.  Finalmente luce e spazio, sole e mare, colori e sfumature che avevo dimenticato; vorrei che tutte queste immagini, che ritrovo come se fosse la prima volta, si fissassero per sempre nella mia retina in una sorta di foto permanente.
Se potessi mi accamperei qui in un angolo, fino a quando il sole tramonta, per godere della notte e del giorno, delle ombre e delle luci e del rumore del mare.
Invece dovrò decidermi a scendere con Argo nella mia cabina e mi preoccupa un po’ chiudermi in uno spazio così angusto e limitato, che fa riaffiorare in me troppi ricordi dolorosi.

Bianca saluta Demetra ed entra nella sua cabina che si affaccia sul mare, proprio come lei aveva desiderato; si sdraia sul letto e finalmente inizia a mangiare la tavoletta di cioccolato fondente comprata all’aeroporto. Da settimane la voglia di dolci si è fatta prepotente, forse per la gravidanza o forse per quella paura di non farcela che da un po’ di tempo non l’abbandona mai, soprattutto di notte.
Mentre lascia che il cioccolato scenda pian piano fino al cuore, ripensa a quella sera di due mesi prima quando Francesco, suo compagno da ben cinque anni, le ha comunicato di non volerne sapere del figlio che lei sta aspettando. Ricorda esattamente il volto di lui mentre pronuncia quelle parole dure e fredde come il marmo; i suoi lineamenti sono stampati nella sua mente come quei ritratti in bianco e nero che lei sa eseguire con un gioco di contrasti marcati, che sono la sua cifra stilistica; ama moltissimo il proprio lavoro perché le permette di vedere al di là delle apparenze e di cogliere i lati più nascosti e profondi della realtà.

Ora però devo smettere di torturarmi, pensa, andrò sul ponte a respirare dell’aria fresca.

Nel frattempo anche Demetra si affaccia nel corridoio:
_   Ciao Bianca, hai visto che casualmente le nostre cabine sono vicine? Tra l’altro mi sembra che anche quella del signore con il cane sia qui accanto;  ho  sentito che  lo chiamava  Argo,  certo  che le analogie si sprecano: Argo, Ulisse, le Sirene, la Sirenetta e Andersen, il nome del nostro traghetto, chissà cosa ci riserva ancora il futuro.
_   Hai ragione, è davvero una bella coincidenza! Sto andando sul ponte, dai vieni anche tu, così delineiamo il nostro percorso, tappa per tappa.
_   Va bene, fammi sistemare le mie cose e poi ti raggiungo.
Demetra rientra in cabina e si guarda attorno.
 
Certo che, per usare un eufemismo, questa cabina è proprio piccola, spero di non soffrire di claustrofobia; sono molto contenta di aver trovato  Bianca, è piuttosto giovane e mi sembra molto discreta; mi ha detto che aspetta un bambino, è un po’ strano che abbia scelto un viaggio come questo.

Una volta sul ponte, le due donne si siedono su due comode poltroncine per esaminare la mappa del viaggio.
-Ecco Demetra, il percorso dell’Andersen sarà questo: i primi tre giorni visiteremo le cittadine  di Alesund, Molde, Trondheim e Rorvik, il quarto, oltrepassato Il Circolo Polare  Artico,  dove assisteremo allo spettacolo del sole di mezzanotte, arriveremo alle Isole Lofoten. Lasciata Tromso, punto di partenza per le spedizioni alla conquista del Polo Nord, salperemo alla volta del Mare di Lopp,  entreremo  nella  regione del  Finnmark per poi procedere verso  nord-est, fino al mitico  promontorio di  Capo Nord.  L’indomani  saremo  in  navigazione per Kirkenes, nostra destinazione finale.
-Accidenti quanti posti interessanti visiteremo!
Dopo cena Demetra saluta Bianca e scende in cabina. C’è qualcosa che la rende nervosa, forse perché si trova in una situazione che non ha scelto e che le suscita un po’d’inquietudine, o forse per via del paesaggio che richiama in lei certi ricordi dimenticati.
Anche i due vicini sembrano agitati, si sentono i loro movimenti al di là delle pareti; sarà una notte piuttosto tormentata per tutti.

L’alba è passata da poco e l’uomo col cane è già salito sul ponte.
Neanche stanotte sono riuscito a dormire, i miei ritmi appartengono ancora al passato, a  regole stabilite in una vita precedente. Sono venuto qui con Argo per farlo sgranchire un po’ approfittando del fatto che non c’è gente, tranne una giovane donna intenta a fotografare che si gira all’improvviso perché Argo si mette ad abbaiare, quasi a segnalare la sua presenza;  mi sorride e saluta, io rispondo con un cenno, riprende a scattare foto, sto per andarmene ma sento che mi chiama.
-Ehi signore, mi scusi, posso chiederle di lasciarmi fotografare il suo cane, è così  bello!
Questa richiesta mi spiazza e vorrei risponderle d’istinto un po’ bruscamente, non sono più abituato a parlare con persone sconosciute, né alla gentilezza con le donne;  mi impongo di essere più disponibile e le rispondo:
-Solo lui però, io non amo farmi fotografare.
-Di che razza è?
-E’ un pastore belga.
-Come si chiama?
-Chi io o il cane?
-Tutti e due, mi dice con un ‘espressione dolcissima.
-Lui è Argo e io sono Foscolo.
– Ah che nomi particolari, piacere io mi chiamo Bianca.
L’uomo ricambia il saluto e zoppicando ritorna sui suoi passi. Bianca, rimasta sul ponte, lo guarda muoversi con armonia come se scivolasse senza lasciare tracce, quasi a non volere segnalare in alcun modo la propria presenza.

E’ un bell’uomo, pensa, alto, massiccio ma slanciato; poco fa sono riuscita a scattargli alcune foto senza che lui se ne sia accorto. Il suo aspetto, ma soprattutto i lineamenti del suo volto,   mi hanno colpita fin dal primo momento in cui l’ho visto salire sull’Andersen: naso aquilino, viso scavato con molte rughe, sopracciglia folte, labbra carnose, capelli brizzolati un po’ disordinati e soprattutto gli occhi neri e penetranti, dallo sguardo di rapace ferito.

Solo il suo pallore mi sembra strano, è  come  se non  avesse preso sole e luce  da  tempo  e  non sorride mai; ha una barba appena accennata, si vede che non se la fa ogni giorno, però non ha un’aria trasandata.

Bianca scende in cabina, va a bussare a Demetra e le chiede se è pronta.
-Ciao, la giornata è bellissima, vieni a fare colazione?  Fra  poco  arriveremo  ad  Alesund, città dai particolari edifici Liberty, non  vedo  l’ora  di  fotografarli! Purtroppo avremo poco  tempo a disposizione  perché  poi per pranzo  dovremo raggiungere  Molde dove ogni anno, a  luglio,si tiene un famoso Festival del Jazz, peccato che noi non potremo assistervi.
-Certo, ho una gran voglia di camminare un po’ sento la mancanza di spazio aperto, non quello del mare o del cielo, ma uno spazio tangibile e calpestabile.
Durante la colazione parlano un po’ delle loro vite; Bianca svela che sarà sola a gestire sia la gravidanza che la nascita del bambino e Demetra si sente spinta a raccontare la sua maternità di donna single. All’inizio ne parla come se vivesse ancora le difficoltà di quel periodo, racconta come chi le stava intorno fosse ben poco benevolo nei suoi confronti, il problema delle feste del “papà” che non c’era e altri episodi che ora non hanno più senso perché appartengono ad un tempo ormai lontano. Si sente però di condividere con Bianca altri  momenti  di grande soddisfazione e cerca di trasmetterle l’equilibrio e la serenità che ha raggiunto dopo tanti anni. Le parole di Demetra sono per Bianca di grande conforto; ora le sembra di sentirsi meno sola e di pensare al proprio futuro di madre, con speranza e orgoglio.
-Grazie per le tue confidenze, Demetra; vorrei poter essere forte come te, un giorno!
-Dai Bianca, scendiamo. Ah guarda, anche il signore con il cane sta scendendo.
-Io gli ho parlato prima, si chiama Foscolo ed il cane, Argo, come ti era sembrato di sentire.
-Non posso credere alla casualità del suo nome, come ti ho detto il mio cognome è  Sorti che è  l’anagramma di Ortis.
Durante la visita ad Alesund le due donne ridono, le appassiona la calda presenza del sole e del paesaggio verde e  luminoso  che si presenta davanti a loro.  Al  ritorno  dall’ escursione Bianca sente il bisogno di riposare; Demetra, invece, preferisce rimanere sul ponte e guardarsi un po’ intorno prima di sedersi a leggere.
Ad un tratto si sente sfiorare le gambe, è Argo con il suo padrone. Demetra vede che l’uomo sta fissando la sua borsa di plastica multicolore, fatta di materiale riciclato.
-E’ un po’ eccessiva nei colori, non trova?
-Non guardavo la borsa ma il logo, è dei “Gatti galeotti” vero?
-Sì, l’ho comprata in un negozio che vende oggetti “made in jail”.
-Conosce Massimo, il proprietario?
-Non mi dica che lo conosce anche lei.
-Sì, l’ho conosciuto.
In quel “Sì l’ho conosciuto” c’è tutta la sua storia e Demetra, guardandolo,  gli dice:
-Ognuno combatte i suoi demoni come può.
Lei stessa è stupita dalla frase che le uscita senza averla pensata; lui la osserva interessato e le porge la mano:
– Sono Foscolo
– E io Demetra
Nella loro stretta scorre una corrente di empatia; Demetra si china ad accarezzare Argo e poi entrambi si rivolgono verso il mare, rispettosi dei reciproci silenzi. Il traghetto continua il suo percorso fino a Molde, dove i passeggeri scendono per il pranzo. 
Al ristorante Bianca e Demetra si siedono allo stesso tavolo; quando arriva Foscolo con Argo e sta per mettersi in disparte, lo chiamano e lo invitano ad unirsi a loro. Foscolo si accorge che Bianca spilucca il pranzo di malavoglia e le chiede perché non ha appetito, lei risponde che ha qualche nausea dovuta alla gravidanza.
-Come mai ha affrontato da sola un viaggio così faticoso?
-Per lavoro, faccio la fotografa;  quattro mesi fa la rivista inglese per  la  quale collaboro, come   freelance,  mi ha incaricata di fare un servizio sul percorso dell’Hurtigruten;  poi  un mese più  tardi mi sono accorta di  aspettare  un  bambino  ma non  me la sono  sentita  di  annullare  la  partenza. Però non  me ne pento, sento che questa sarà un’esperienza importante.
Demetra interviene:
-Foscolo, che lavoro fai?
-Faccio il traduttore, e tu?
-Io ho smesso di lavorare qualche mese fa; avevo una piccola libreria che ho  dovuto  chiudere, con grande dispiacere.  Per l’autunno mi hanno proposto di partecipare ad un progetto per un caffè letterario, ci sto pensando.
-Anch’io sono un appassionato lettore, ho visto che leggi Murakami, ti piace?
-Attualmente è uno dei miei autori preferiti!  Mi dà una sensazione  di  libertà  e  di possibilità infinite, con la sua  esposizione  di allegorici universi paralleli e  di figure  così  complementari tra loro.  La coincidenza delle casualità e la trasposizione dei personaggi fa pensare che  tutto possa accadere e non solo per mano nostra.
Demetra ad un certo punto non riesce a trattenersi e, rivolgendosi a Foscolo, gli chiede:
-Scusa la curiosità, mi  piacerebbe  sapere  come  mai  hai questo  nome così particolare, come quello del tuo cane, del resto.
-Beh, il  mio  nome, piuttosto  impegnativo, lo  devo  a mio padre,  grande  appassionato  delle opere di Ugo Foscolo che, quando sono nato io, mi ha chiamato come il grande poeta.
 Argo invece, che ho preso quando era ancora cucciolo, ha questo nome in  onore  dei  racconti omerici che mi hanno sempre affascinato;  lui,  come il cane  di Ulisse,  ha con me  un  legame speciale  e  indissolubile. Inoltre,  Argo è  anche  il  nome  della nave che   guidò Giasone,  così  come fa il mio compagno con me. Comunque anche tu non hai certo un nome comune!
-Demetra ha sempre avuto un valore  simbolico per la mia  famiglia, che ha  origini  contadine;  infatti, fin da bambina, la terra e la natura sono stati i miei punti di riferimento.Successivamente ho poi scoperto  che Omero,  in  un  suo  inno,  la  descrive  come  Dea  dalla  spada d’oro e dalle splendide messi e questo mi lusinga molto.
Dopo pranzo i tre si separano e, mentre Demetra e Bianca decidono di andare a visitare la città, Foscolo si inoltra nel bosco con Argo e lo lascia finalmente libero di scorrazzare felice.
Questo incontro è stato piacevole, pensa, incomincio ad apprezzare di più  lo stare con le persone; anche Bianca mi è sembrata attraversata da qualche tormento, Demetra, poi, quando ha accennato al negozio e a Massimo, ha percepito perfettamente che anch’io ho avuto a che fare con la giustizia.
Foscolo continua a camminare inoltrandosi tra gli alberi e paragona questa libertà con la costrizione forzata del carcere. Un tempo vedeva solo scorci di mondo esterno dalle inferriate di una finestra o da un cortile, dove conosceva a memoria i passi che poteva fare. Ora non deve più condividere la cella con persone che non ha  scelto, senza  mai  un momento di intimità e lo ha salvato, dopo i primi anni, ottenere finalmente il permesso di leggere, studiare e poi laurearsi in filosofia.
Anche il lavoro nel laboratorio di falegnameria della prigione gli ha occupato la mente pur lasciandogli, quando gli è caduta la piallatrice sul piede, un ricordo incancellabile su una gamba, che ora si trascina; così oltre che nell’anima, porta anche nel corpo i segni di quel difficile passato. Ancora adesso non riesce a dormire la notte, gli sembra di vedere, dalla sua brandina, le luci perennemente accese nel corridoio; sente le voci delle guardie che ogni tanto passavano davanti alla sua cella e la presenza rumorosa dei suoi compagni di pena.
Era un prigioniero politico e gli anni di piombo pesano dentro di lui come una zavorra che è  destinato a portarsi per sempre nel cuore, come cicatrice indelebile.    
Il Foscolo di quegli anni impetuosi non c’è più, il giovane che credeva di cambiare il mondo, anche con la violenza, è diventato un uomo disincantato, pieno di amarezza e sensi di colpa per quelle scelte irresponsabili, pagate a caro prezzo. Vorrebbe cancellare tutto e trovare un po’ di quiete; adesso però c’è Argo nella sua vita, lui gli chiede pochissimo e gli dà molto, è il compagno ideale.
Ciò che all’inizio le era parso un viaggio entusiasmante, adesso per la sua lentezza, rende impaziente Demetra.  Le giornate trascorrono abbastanza uguali, la temperatura è bassissima e la successione giorno notte le creano uno scompenso veglia-sonno.
Non vede l’ora di arrivare al Circolo Polare Artico e a capo Nord, due simboli assolutamente metaforici di una posizione geografica non definita. L’essere al Polo Nord l’affascina; è idealmente il luogo fin dove si può arrivare per cercare il proprio bene perduto, del resto si dice, “ti seguirò in capo al mondo”. 
Con i suoi due compagni di viaggio si trova bene, sono molto riservati e anche i non detti hanno un significato.
Bianca invece è decisamente eccitata dallo scenario che le si presenta di fronte; l’Andersen, dopo essere passato a malapena tra fiordi alti e strettissimi, attraversa il Circolo Polare Artico,  il confine della terra, un cerchio invisibile intorno al globo terrestre che segna il punto più meridionale in cui è visibile il fenomeno del sole di mezzanotte. Lei ha da tempo preparato la sua Nikon ed è pronta a scattare una foto dietro l’altra al sole che non tramonta mai e che fa confondere il giorno con la notte. Si tratta di una luce sorprendentemente surreale, perché, la palla infuocata, dai colori stupefacenti, è visibile per ventiquattro ore, ininterrottamente.

Qui la natura è davvero l’indiscussa e straordinaria protagonista, non credevo di provare queste emozioni. E’ come se fossero direttamente i miei occhi a fotografare questo spettacolo e so che questa esplosione di bellezza sta raggiungendo anche il mio bambino. Mi tornano alla mente alcuni dipinti di Turner, dove i gialli e i rossi intensi si riflettono nel cielo e sul mare, senza soluzione di continuità e penso di essere di fronte ad un’incredibile opera d’arte.
Si gira perché sente una presenza alle sue spalle:
-Buonasera  Bianca,  o dovrei  dire buongiorno?  Vedo   che  stai  fotografando , potrei  vedere qualche foto?
-Salve Foscolo, ma certo ora te ne  mostro  qualcuna.  Queste  le ho fatte poco fa,  il paesaggio è semplicemente magico non trovi? Voglio farti vedere anche quelle precedenti,  vedi  queste le ho scattate alla cattedrale gotica di Trondheim,  la chiesa  più importante  della  Norvegia e  queste durante la nostra prima tappa ad Alesund.
-Aspetta un momento, ma quello sono io, allora non hai fotografato soltanto il mio cane, quel giorno sul ponte?
-E’ vero, scusami, non ho resistito, i ritratti sono il  genere che  io  preferisco; li  stampo  poi  in  bianco e nero, così posso mettere meglio in risalto le espressioni e i segni  che il tempo  lascia  sul volto e il tuo è così interessante!
Foscolo guarda se stesso e prova una strana sensazione; non si era fatto fotografare da tanto tempo e così, all’improvviso, si vede molto cambiato. La foto, ben eseguita, evidenzia il suo sguardo intenso e malinconico e le rughe della fronte e della bocca spiegano più di mille parole.
-Non ti preoccupare, non mi dà poi così fastidio e poi tu sei una bravissima fotografa.
-Meno male, avevo paura  ti fossi offeso!  Allora ti lascio  un mio  biglietto  da visita  così,  se ti  capiterà di fare un giro nel centro Italia, potrai venire a trovarmi nel mio studio a Tarquinia.     
Hai  visto  che  panorama?  Sembra un paese dimenticato dal mondo,  invidio  quei   pescatori laggiù in mezzo al fiordo, forse potrei  trasferirmi qui,  ma chissà  se riuscirei  a  prendere  una  decisione così radicale per la mia vita!

Siamo quasi giunti alla fine del percorso, pensa Demetra la mattina del settimo giorno,  mentre il traghetto sta procedendo verso nord-est, fino al promontorio di Capo Nord.

A cena, Bianca arriva in ritardo.
– Scusatemi, non riuscivo a fare i bagagli, mi sento piuttosto agitata.
-Ma vi siete resi  conto  che  domani  la  nave  concluderà il suo viaggio, chissà  il  nostro ,  dice Demetra guardando Foscolo.
-In realtà non si arriva mai, replica l’uomo
La mattina seguente si arriva a Kirkenes, meta finale dell’ Andersen e Bianca e Demetra scendono a terra e aspettano Foscolo al bar dell’imbarcadero per salutarsi, ma lui non appare.
Da una radio si diffonde in sottofondo la canzone dei Beatles Norwegian Wood: “And when I awoke I was alone this bird had flown. So I lit a fire isn’t it good, Norwegian wood”, canticchia Demetra e dice: 
-Quale migliore musica per salutare la Norvegia e concludere il nostro viaggio!
 Che dici Bianca, cosa ci portiamo a casa oltre ai nostri lunghi discorsi, al sole  di  mezzanotte e ai bellissimi scenari naturali? Forse la  consapevolezza  che ogni  vita  si assomiglia ed ognuno ha la forza, secondo le sue possibilità e  nonostante le difficoltà, di portare  avanti  la  propria al meglio ; per questo vi  sono grata, anzi vorrei ringraziare anche Foscolo.
-Strano che non  sia  ancora  arrivato;  sai ieri sera mi è parso  un po’  sorpreso  quando  gli  ho accennato il  desiderio di  restare qui  e mi è  sembrato di  vedere una  luce di  meraviglia  nei suoi occhi.  Io, in questo  viaggio ho deciso di  portare avanti la mia gravidanza e immagino tu  abbia capito quanto io potessi essere preoccupata per questa scelta;  la certezza  di potercela  fare la devo soprattutto a te, ma anche alla forte fragilità di Foscolo.
-Anch’io devo a voi qualcosa d’importante; l’aver condiviso le tue ansie, i tuoi dubbi e, poi, la tua speranza per il futuro ha confermato la piena soddisfazione del  mio presente,  mentre la storia di Foscolo ha addolcito il ricordo del mio passato.
Dopo queste parole e la promessa di rincontrarsi, Bianca e Demetra si salutano; entrambe arriveranno a casa in giornata e la loro mente è già proiettata altrove.
Dopo qualche mese Bianca riceve un biglietto da Foscolo.          
Ciao Bianca, sono Foscolo, ti ricordi di me? Forse ti stupirai di ricevere questo mio scritto , ma voglio far sapere a te e a Demetra, con la quale sono sicuro sarai rimasta in contatto, che non mi sono dissolto nel vento. Negli ultimi giorni avevo maturato la decisione di non proseguire il viaggio perché sentivo la necessità di trovare un approdo temporaneo per me e per Argo; perciò mi sono fermato in un piccolo borgo di pescatori gentili e accoglienti e ora qui stiamo davvero bene. Spero che anche voi, come me, abbiate trovato le risposte che stavate cercando. Le nostre tre vite si sono casualmente incrociate in un luogo particolare ed estremo e  posso dirvi che, durante il nostro viaggio, ho imparato a riconciliarmi col mondo e soprattutto con me stesso. A breve riprenderò la mia vita, come un naufrago che ritrova la rotta e torna a casa, da uomo finalmente libero.
Un caro saluto, Foscolo

-Pronto Demetra?  Ciao sono Bianca!  Prima  di tutto  volevo dirti che  la  serata per  l’apertura dell’ Andersen, il  tuo caffè letterario, è  stata  fantastica e  poi ho  due  notizie  importanti  da  darti; la prima è che ho ricevuto un bellissimo biglietto  da  Foscolo, la seconda è che ieri  sera 
     è nata Gaia, la mia bambina!