Tirati per il loden. Dalle banche.

Pubblicato il 2 Marzo 2012 in da redazione grey-panthers
Minacce dell'Isis all'Italia

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Tav, vertice per la linea dura. Napolitano teme infiltrazioni. Monti convoca i ministri. Cortei e blocchi in tutt’Italia. Devastato un tratto di autostrada. Aggredita troupe del Tg3”. A centro pagina: “Emendamendo sui prestiti, scatta la rivolta delle banche: lasciano i vertici dell’Abi”.

La Stampa: “Tav, blocchi in tutta Italia. La protesta coinvolge quaranta città. Disagi a Torino, Milano, Bologna, Genova. Interrotte due autostrade. Oggi il vertice straordinario a Palazzo Chigi. Monti: non si cambia linea”. In alto: “Liberalizzazioni, l’ira delle banche. Tensioni Abi-governo, si dimette Mussari. Il decreto approvato dal Senato”.

Libero: “Tutte le balle sulla Tav. Danni per l’ambiente, rischi per la salute, costi, vantaggi: ecco come stanno realmente le cose. Solo una parte degli abitanti si oppone all’opera: ora la maggioranza faccia sentire la sua voce. Violenti in azione: bloccate strade e stazioni, belati agli agenti. Sequestrato pure Bersani”.

La Repubblica: “Le banche contro Monti. Liberalizzazioni al Senato, passa la fiducia. Abi in rivolta, si dimette il vertice: credito a rischio”. Di spalla il direttore del quotidiano, Ezio Mauro, da Mosca, segue gli ultimi giorni di campagna elettorale per le presidenziali russe: “Nella dacia di Putin: ‘Io’, l’opposizione e la nuova Russia’”. A centro pagina: “‘Tav, fermeremo i violenti'”. Lo ha detto ieri Mario Monti.

Il Sole 24 Ore: “Alt alle commissioni, banche in rivolta. Sì del Senato al maxiemendamento: il vertice Abi si dimette. Catricalà assicura: modifica pronta alle Camere”. E poi: “Tutte le novità su farmaci, energia, Rc auto, taxi. Regia antitrust a Palazzo Chigi”. L’editoriale di Guido Gentili è titolato: “Senza credito non c’è ripresa”.
A centro pagina: “Spread a quota 308, la Borsa vola”. Il rendimento dei Btp è ai minimi da agosto, “le banche spingono Piazza Affari”. “Tra una settimana il via libera agli aiuti per Atene. S&P: l’Italia può tornare categoria A”.

Il Giornale: “Banchieri no global. Basta un emendamento che cancella le commissioni sui fidi e i vertici di Abi fanno le barricate: dimissioni in blocco. La finanza sale sul traliccio”.

Europa: “Il governo non si schiera sulla rivolta delle banche. Finisce col botto l’iter sulle liberalizzazioni al Senato. Si dimetta il vertice Abi. Draconiana misura contro le commissioni, poi i partiti si pentono”.

Su tutti i quotidiani commenti su Lucio Dalla, stroncato ieri mattina da un infarto a Montreaux, dove era per un concerto. Michele Serra su La Repubblica racconta “l’artista imprendibile”, Il Sole 24 Ore lo ricorda con due articoli, uno di Romano Prodi (“Il poeta di piazza Grande. Grande come lui”) e uno di Renzo Arbore. Il Corriere della Sera con Aldo Cazzullo e Mario Luzzato Fegiz. La Stampa offre “l’ultima intervista”, realizzata proprio a Montreaux.

Banche

La Stampa, in un “retroscena”, ricostruisce la genesi della norma contenuta nel decreto liberalizzazioni, nata per consentire ai pensionati di aprire un conto corrente senza spese, visto che non saranno più possibili alla P.A i pagamenti in contanti oltre i 1000 euro. Il parlamento ha deciso, per evitare che le banche trovassero il modo di far pagare in altro modo i titolari di conto corrente con pensioni fino a 1500 euro, di dichiarare “nulla” ogni “commissione comunque denominata”. L’emendamento passa tra gli applausi bipartisan. Il problema è che la norma, per come è scritta, impedisce alle banche di ottenere qualunque tipo di remunerazione dal rischio di un prestito, e non solo dall’apertura di un conto corrente. Ecco perché – racconta il quotidiano torinese – la protesta delle banche trova la solidarietà di Confindustria, Coop, delle banche estere presenti in Italia. Ora, scrive il quotidiano, tutti si dicono convinti che occorre trovare una soluzione. Per primo uno dei due relatori del testo, il senatore pd Bubbico.
Su Il Sole 24 Ore Guido Gentili ricorda che la decisione sull’azzeramento delle commissioni per gli affidamenti, anche in caso di superamento del fido o di sconfinamento, è “più che discutibile, e dunque da correggere. Si agisce per decreto su una fonte di ricavi importante (se vogliamo anche troppo, perchè ‘fare’ banca attraverso le commissioni è facile e molto comodo) e non è errata l’impressione che sis sia imboccata così la strada delle tariffe e dei prezzi amministrati. Che una simile opzione sia prevista in un decreto che ‘liberalizza’ è un controsenso, formale e di sostanza”.
Su La Repubblica Alberto Bisin, in prima pagina, firma l’analisi dal titolo “Chi ha paura della concorrenza”. Scrive che, con le dimissioni, l’Abi essendo il sindacato del sistema bancario, “fa il proprio mestiere. Combatte quelle liberalizzazioni che colpiscono le rendite del sistema bancario”. A Bisin sembra “inaccettabile” la reazione dei banchieri, che hanno suggerito, “con velata minaccia”, che la norma costringerà a rivedere il sistema del credito a imprese e famiglie e metterà a rischio l’occupazione di 300 mila bancari. “Il settore bancario italiano è molto lontano dalla competitività necessaria perché possa contribuire al risanamento e alla crescita del Paese”: le banche italiane sono protette da meccanismi di controllo che garantiscono gli azionisti di maggioranza e gli amministratori “indipendentemente dai risultati di gestione, in cambio di una commistione incestuosa con la politica”. Le Fondazioni bancarie continuano a controllare la maggior parte degli Istituti di credito senza che il proprio operato sia sindacabile dagli altri azionisti. Il nostro sistema bancario non fa bene il proprio lavoro, poiché anziché distribuire credito alle imprese sulla base del loro rendimento atteso, tende a farlo con meccanismi clientelari e anziché investire nelle imprese private favorisce investimenti nel pubblico (oggi, ad esempio, nel debito pubblico del Paese), “per ingraziarsi la politica”.

Tav

Ampio spazio anche oggi sui quotidiani per i blocchi e i cortei in Val di Susa. E’ stata occupata di nuovo l’autrostrada A32, ci sono state cariche a Milano. Aggredita anche una troupe del Tg3 e ieri i militanti NoTav hanno tentato un blitz nella sede del Pd a Roma. Il Corriere della Sera intervista Mario Virano, presidente dell’Osservatorio alta velocità, che ha fatto da interfaccia per i governi dal 2005 ai nostri giorni. E’ secondo solo a Giancarlo Caselli, il Procuratore di Torino, nella classifica dei più odiati dai No Tav.
Dice: “Non c’è nulla di razionale in questa protesta. La Tav ha assunto un valore simbolico per una certa enclave politico-sindacale”. Sul “dialogo” invocato da molti: “Per fare delle concessioni reciproche, alla base di qualunque forma di confronto, bisogna prima sapere cosa si vuole. Ma i no Tav non hanno mai avuto subordinate. L’opera non andava fatta, a prescindere. Ma non era questo lo spirito con il quale era nato l’Osservatorio. Noi dovevamo concordare un percorso comune con le Amministrazioni locali, come poi è avvenuto. La mediazione è stata possibile solo con coloro che continuavano ad invocare l’opzione zero. E ricordo a tutti chesi tratta di una minoranza, per quanto rumorosa e aggressiva, anche in bassa valle”. Cosa non ha funzionato? “Se dovessi tornare indietro, mi opporrei con ogni forza alla riunificazione delle tre diverse comunità montane in una sola entità, fatto che ha consentito alle liste civiche no Tav di detenere una sorta di golden share nel nuovo organismo”. L’articolo sottolinea che dietro c’è anche la decisione di una parte del Pd di allearsi con i rappresentanti politici della attuale protesta.
Il Corriere dà conto anche della preoccupazione del Quirinale, scrive che il Presidente ha avuto dal commissario Virano la conferma che come su nessuna altra opera pubblica ci sono state consultazioni con le amministrazioni locali, centinaia di audizioni e modifiche approvate.
E La Stampa evidenzia che ieri il capo dello Stato ha incontrato il Procuratore di Torino Caselli: “I timori del Quirinale, attacco alle istituzioni”. Il quotidiano si occupa anche del sit-in dei No Tav nella sede del Pd, accusato di essere “il vero promotore” dell’opera ferroviaria. Uno striscione scioglieva la sigla Pd in “Profitti democratici”. Contestato anche il quotidiano L’Unità, perché avrebbe dato troppo risalto ai feriti tra i poliziotti e alla aggressione ai gioirnalisti, tacendo che “i manifestanti sono stati massacrati”. Ieri peraltro al Viminale il ministro Cancellieri ha avuto un incontro con il presidente della Provincia di Torino Saitta, il sindaco Fassino, il presidente della Regione Cota. Secondo il quotidiano, la delegazione piemontese ha fatto presente che in val di Susa il movimento che tra il 2004 e l 2006 riuscì a far modificare il tracciato iniziale, che aveva un forte impatto ambientale negativo, non esiste più. Per cui quello attuale, “è solo un pretesto per le frange antagoniste e anarco-insurrezionaliste che pregiuidizialmente si dichiarano contrarie alla Tav”.

Internazionale (Russia)

La Repubblica, insieme ad altri cinque giornali internazionali, ha intervistato il primo ministro russo Putin, candidato alle presidenziali di domenica. Parlando delle contestazioni nate all’indomani della denuncia dei brogli alle elezioni legislative di dicembre, dice che non è sorpreso, non c’è nulla di strano (“allora da voi, con migliaia di persone in strada per la crisi?”). Dice anche di essere “contento” perché questo significa “che le strutture del potere devono reagire, sono costrette a farsi venire delle idee per risolvere i problemi. Questa è una cosa costruttiva, una grande esperienza per la Russia”. Tuttavia, una delle risposte successive sottolinea che in piazza c’erano anche molti fra coloro che “erano leader già in passato e non possono vantare grandi risultati”. Nell’opposizione, tra gli slogan, si definiva il partito di Putin come una formazione di ladri e malfattori. Risponde Putin che sono “frasi ad effetto, puri slogan”. I loro capi sono stati al potere, hanno ricoperto cariche, discutere in base a un linguaggio populista non è buona cosa. Dice anche che chi denuncia brogli e falsificazioni può rivolgersi al tribunale,risponde al blogger “anticorruzione” Navalny che “molte persone, anche nelle alte sfere del potere, sono state inquisite e processate, però bisogna avere le prove, deve esserci un processo. Non faremo mettere in galera la gente se non esistono riscontri indiscutibili sulla loro colpevolezza”.
Loda Monti, pur confermando di essere amico, tuttora, di Berlusconi. Dice che il compito di Monti è molto difficile, e che il primo ministro italiano è, da questo punto di vista, “un kamikaze”. Parla anche della Siria, e spiega che la Russia non ha firmato la risoluzione Onu perché “c’è scritto che bisogna portar via le truppe governative dai villaggi dove si trovano. Ma perché non dire che deve ritirarsi anche l’opposizione armata?”; “facciamo sedere le parti ad un tavolo, apriamo le trattative, questa è la strada”. Assad può restare al potere? “Non lo so, sono le parti che si devono mettere d’accordo. Con gli sforzi congiunti di Ue, Stati Uniti e Russia possiamo farcela. Una cattiva pace è sempre meglio di una buona guerra”.
Sul Corriere della Sera si racconta invece dell’appello lanciato da uno scrittore molto popolare in Russia, B.Akunin, la cui parola d’ordine per le elezioni è “scheda nulla”, perché le elezioni non sono legittime.
Il Sole 24 Ore: “Per Putin vittoria scontata e promesse insostenibili. “Spese sociali da 120 miliardi per zittire e proteste e tornare al Cremlino”. A gennaio sono state alzate le pensioni del 7 per cento. La parola chiave dell’offerta di Putin è stabilità, per convincere tanto i russi che gli investitori stranieri, che vuol fare aumentare al 25 per cento del Pil. Per incoraggiare gli investimenti dall’estero è tornato a parlare di privatizzazioni, trasparenza, lotta alla corruzione. Ma è illusorio aspettarsi un ridimensionamento del sistema di capitalismo di stato su cui, da presidente e da primo ministro, ha basato i suoi 12 anni al potere. Nel cuore del sistema ha installato l’elite, in gran parte di provenienza dai servizi di sicurezza, che lo mantiene al comando ed è ben poco propensa a lasciarsi “modernizzare”.

Internazionale (Iran, Siria, Usa)

Al voto di oggi in Iran, per eleggere il Parlamento, è dedicata la corrispondenza di Lorenzo Cremonesi sul Corriere. La sfida è tra la guida Suprema Khamenei e il presidente Ahmadinejad, visto che sono stati esclusi tutti i candidati riformisti, come i leader dell’Onda verde del 2009, ancora agli arresti domiciliari. La guerra è dunque nello schieramento conservatore.
La Stampa intervista l’islamologo Olivier Roy, che analizza tanto gli effetti della primavera araba che la situazione in Iran. “C’è un abisso tra come hanno preso il potere gli ayatollah e come lo hanno preso o lo stanno per prendere i Fratelli Musulmani in Egitto e Tunisia”. Nel secondo caso, si tratta di “partiti che hanno accettato il gioco democratico, che hanno il problema di far partire l’economia”, non di lanciare programmi nucleari. E quanto alla sharia, non è più nell’agenda politica, di fatto. Tranne in Libia dove, bisogna dirlo, l’intervento armato non ha favorito uno sviluppo democratico”. L’Iran non è un modello? “Se guardiamo ai Fratelli Musulmani in Egitto o a Ehnnada in Tunisia, no. E non lo è neppure per i salafiti. Sono predicatori religiosi, non un partito rivoluzionario, si sono presentati alle elezioni per non esser tagliati fuori, per condizionare ‘da destra’ i Fratelli Musulmani. Ma penso che alla fine vedremo una alleanza tra moderati islamici e laici come El Baradei, con l’esercito a fare da garante. Modello turco, non iraniano. Non sto parlando di democratici liberali, ma di una destra religiosa non così dissimile da quella americana”. L’Iran ha tentato di inserirsi nella primavera araba? “Sì. Ma è ai marggini. Sostanzialemnte i Fratelli Musulmani sono sostenuti da Qatar, i salafiti dall’Arabia Saudita. Persino Hamas si è spostato dalla Siria, alleato iraniano, al Qatar. I più spiazziati dalla primavera araba sono proprio l’Iran e Israele”. Quanto al voto di oggi in Iran, alla domanda se potrà cambiare qualcosa, Roy risponde: “Da trent’anni, in Iran, ogni elezione serve a far fuori un pezzo della rivoluzione. Questa volta tocca ad Ahmadinejad, come è toccato a Khatami” (ovvero l’attuale e l’ex presidente). Dice che “è come sbucciare una cipolla”: alla fine rimarrà solo il nocciolo duro, ovvero la Guida suprema e il partito degli oltranzisti.
Delle elezioni in Iran, “con il peso della crisi”, si occupa anche Il Sole 24 Ore, che racconta come il Paese sia impoverito dalla inflazione e dall’effetto delle sanzioni. Lo spirito dell’Onda verde del 2009 è lontano, e i cittadini cercano di salvare risparmi puntando sull’oro, bene rifugio per eccellenza.
La Repubblica spiega che intanto in Siria, nella città di Homs, il quartiere simbolo della resistenza contro la repressione di Bab Amro è caduto nelle mani dell’esercito di Assad. E’ una vittoria simbolo, dopo 27 giorni di assedio e di bombardamenti i gruppi armati presenti nel quartiere hanno deciso il ritiro tattico per risparmiare ulteriori sofferenze ai 4 mila civili rimasti nelle case. E proprio ieri le autorità di Damasco hanno finalmente dato il via libera alla Croce Rossa Internazionale e alla siriana Mezzaluna rossa per entrare nel quartiere. Il consiglio nazionale siriano ha deciso di creare un comitato militare per coordinare le azioni dell’opposizione sul terreno e la raccolta di armi provenienti dall’Arabia Saudita e destinate agli insorti, ma l’esercito libero siriano si rifiuta di sottostare all’autorità dello stesso consiglio.
Un appello alla opposizione siriana a superare le divisioni si trova sulle pagine di Europa. Tra i firmatari, esponenti del Pd come Furio Colombo, Giorgio Tonini, Marco Minniti, che indicano all’Italia e all’Europa il modello della missione Unifil in Libano.

Torniamo a La Stampa per segnalare il blog del quotidiano sulle elezioni americane,che si arricchisce del taccuino dell’Ambasciatore Usa David Thorne.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini