L’ultimo urlo di Failla a Sabratha: aiutatemi

Pubblicato il 10 Marzo 2016 in da redazione grey-panthers

Il Corriere della Sera: “Scontro totale sulle primarie del Pd. Bassolino pensa a una lista separata”, “No al ricorso dell’ex sindaco. A Roma incontro Marino-Fassina per la candidatura”. Alessandro Trocino intervista l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani: “’La Capitale è scorticata’”.
Di fianco, su “Renzi e la sinistra dem”, un’analisi di Maria Teresa Meli: “’C’è chi gioca a farci male’”.
Ai partiti, alle primarie, ma globalmente al tema dei “canali di comunicazione tra società e Stato” è dedicato un editoriale di Sabino Cassese: “I cittadini e il diritto di contare”, “Paese reale e legale”.
A centro pagina, il caso Libia, con i nastri delle telefonate di Salvatore Failla: “’Chiama tutti, aiutatemi’”, “L’ultima telefonata di Failla, un rapitore parlava italiano. Rientrate le salme”, “La vedova: no ai funerali di Stato. Autopsie in Libia, inviati della Farnesina minacciati con le armi”.
Più in basso, con foto di un posto di blocco nel deserto del Sahara, 120 chilometri a est di Sirte in Libia, il reportage di Lorenzo Cremonesi “con i miliziani della Brigata 166”: “La trincea dell’Isis a Sirte, ‘Da qui presto in Europa’”.
In prima anche un’intervista all’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina: “’Recupereremo quel barcone con 400 morti’” (è affondato il 18 aprile del 2015 nel canale di Sicilia, spiega Elisabetta Rosaspina).
A fondo pagina: “Prodi contro Prodi sulla benedizione”, “Bologna, don Matteo e il fratello divisi sulla Pasqua a scuola: acqua santa? Porterò gli ovetti”.
Poi la vicenda dell’”imam” arrestato in Molise, raccontata da Giovanni Bianconi: “L’imam e l’idea di colpire a Roma”.
Sul tema banche un commento di Federico Fubini: “Banche, l’era del post Btp”.
In prima anche le stime Istat sul Pil: “Cresciamo poco, investiamo meno. La zavorra sui conti pubblici”, di Francesco Daveri.
Su La Repubblica il titolo in maggior rilievo è dedicato ad una ondata di arresti ieri a Roma: “La tangentopoli del fisco”, “A Roma 13 arresti, indagini da Milano a Catania, giudici tributari nel mirino. Svelato il tariffario per sfuggire alle tasse: in tutta Italia un affare da 50 miliardi”. Con l’analisi di Gianluca Di Feo: “Il potere immenso di 3400 uomini”. Di questo tema si occupano le prime tre pagine del quotidiano.
La foto in prima è per due atlete russe: “Mosca prigioniera del doping. L’atletica verso l’addio ai Giochi” (di Emanuela Audisio)
In apertura a sinistra: “Resa dei conti pd. Bassolino attacca: ‘Partito diabolico’”, “Primarie Napoli, ricorso bocciato. Nella capitale si ricandida Marino”.
“Modesta proposta per salvare il Sud” è il titolo di un intervento di Roberto Saviano. Di fianco, il commento di Francesco Merlo: “Lo strano caso di Brogli Puliti”.
In prima anche l’inchiesta di Roberto Mania su Confindustria, che deve designare il successore di Squinzi: “La lotta che divide Confindustria”.
Sul tecnico italiano Failla ucciso in Libia: “L’ultimo urlo di Failla: aiutatemi. Uno dei rapitori parlava italiano”, “il tecnico ucciso in Libia. Il Colle: fare luce su Regeni”.
Sull’arresto in Molise di un “imam”: “’Facciamoci esplodere a Termini’. Fermato l’imam”.
A fondo pagina: “Il clima pazzo ci cambia la dieta”, “il caldo record stravolge i consumi: meno sughi, più piatti freddi”, di Marino Niola.
La Stampa: “Allarme migranti, vertice al Quirinale”, “Il governo teme 140 mila arrivi in Puglia dopo il blocco dei confini in Slovenia, Croazia e Macedonia”, “I dati del Viminale: nelle ultime settimane un’ondata dalla Nigeria. Crisi del petrolio e terrorismo spingono all’esodo”.
In apertura a sinistra un commento di Bill Emmott, già direttore del settimanale britannico ‘The Economist’: “Erdogan socio scomodo ma necessario”.
Sui dipendenti della Bonatti uccisi in Libia: “La moglie di Failla: ‘Il sequestratore parlava italiano’”, “Gli investigatori: a Sabratha cellula vissuta nella Penisola. Isis, spunta una lista di 22 mila affiliati e kamikaze”.
In basso: “Renzi sfugge al caso primarie”, “Napoli, respinto il ricorso di Bassolino. A Roma il caos schede bianche. Il segretario Pd non interviene”, scrive Federico Geremicca.
E il quotidiano dedica un altro articolo alla “Battaglia sotto il Vesuvio”, occupandosi di Bassolino: “L’ex sindaco tentato dallo strappo. Ma la Valente prova a ricucire”.
Il Fatto: “Fanno come vogliono “, “Renzi pigliatutto. Napoli, respinto ricorso di Bassolino. Rai, occupazione totale”, “Pd, primarie truccate. Ma è tutto regolare”, “Rai3 normalizzata: fuori Giannini, Iacona ridotto e Tg3 di governo”.
A centro pagina: “Libia, l’ultimo ricatto sulle salme. E Napolitano mette in riga Renzi”, “L’aereo che riporta i cadaveri dei due tecnici uccisi parte infine da Tripoli. La vedova: ‘I funerali di Stato non mi interessano’. L’ex presidente critica i tentennamenti sull’intervento. Mattarella riceve i genitori di Regeni mentre l’Egitto continua a negare elementi d’inchiesta sul ricercatore torturato a morte”, “La famiglia Failla: armi spianate contro gli 007 italiani che chiedevano i corpi”.
Alle parole pronunciate ieri dall’ex presidente Napolitano nel corso del dibattito al Senato sulle comunicazioni del ministro Gentiloni sulla Libia è dedicato il commento di Fabio Mini: “Quell’elmetto emerito di Re Giorgio che va in guerra”.
L’editoriale del direttore Marco Travaglio (“Noi merdolani”) prende spunto da uno spettacolo di Sabina Guzzanti (ambientato nel 2041 tra le macerie di quel che resta dell’Italia, “appena uscita dal ‘secolo di merda’”, che tenta di raccontare con le poche tracce lasciate dai ‘merdolani’).
In prima, con foto delle segretaria Cgil Susanna Camusso: “Corleone, la battaglia tra sindaco e Cgil per Placido Rizzotto”.
Il Giornale: “Pagavamo il profugo-imam che stava per far saltare Roma”, “Libia, una vedova accusa: ‘I rapitori parlavano italiano’”.
Più in basso: “Il Pd nel panico legalizza i brogli”, “Scandalo primarie truccate”, “La lettera di Bruxelles a Renzi: trenta giorni per fare una manovra bis”.
Poi, con foto di Guido Bertolaso, che viene presentato come “Il candidato di Forza Italia” e viene ritratto accanto ad un bimbo in ospedale: “Quel Bertolaso ‘sconosciuto’ medico dei bambini in Africa”.
Alle elezioni a Roma è dedicato l’editoriale del direttore Alessandro Sallusti: “Il caso Capitale e tutto quello che Salvini non dice” (si riferisce alle voci che ipotizzano che il leader della Lega Nord voglia correre al voto da solo o con alleati diversi da Forza Italia come i grillini, ovvero un test in vista delle prossime elezioni politiche”.
Sulla colonna a destra, l’omicidio a Roma di Luca Varani: “Chi ha cancellato la parola ‘gay’ dall’omicidio di Luca”, “Sempre colpa della famiglia” (di Renato Farina). E Più in basso, sul tema, intervista a Padre Amorth, l’esorcista, che dice: “’Ispirati da Stana ad abbattere i limiti’”. Ne scrive anche Aurelio Picca: “Gli stessi dannati dal Circeo ad oggi”.
A fondo pagina anche sue “Controstorie”: “Il Sudafrica ingordo che ha tradito Mandela” (di Livio Caputo) e “Tra gli ultimi ‘hutong’ della Pechino imperiale” (di Tino Mantarro).

Primarie, elezioni

Il Mattino intervista Antonio Bassolino: “Lista civica? Ci penso. In tanti mi spingono”, “Voglio che le irregolarità documentate da quel video vengano sanzionate politicamente”, “Da Roma bisognava stare zitti. Che ne sanno loro? La verità deve stabilirla Napoli. Parlando prima hanno voluto condizionare le decisioni”, “il mio è un invito a fare chiarezza, a discutere nel merito il mio ricorso”.
Sul Corriere: “Caos primarie, no al ricorso di Bassolino. L’attacco di Bersani ai vertici del partito”, “Valente proclamata vincitrice. Guerini: non si può aprire ogni giorno un fronte”.
Sulla stessa pagina, intervista di Alessandro Trocino a Pierluigi Bersani: “Fatti incredibili, così gli elettori non ci seguono”, “L’ex segretario e il disagio a Roma e Napoli: Capitale scorticata, Bray legittimato a correre”. Sul caso Napoli: “non mi paiono accettabili certe dichiarazioni dei vertici del partito. Prima che si sappia davvero come sono andate le cose”.
E a pagina 6, ancora su Bassolino: “’Colpo di spugna, farò appello’. L’ex sindaco pensa a una lista sua”. Bassolino può fare un secondo ricorso, previsto dal regolamento interno nelle 48 ore successive alla proclamazione del vincitore delle primarie. Il quotidiano intervista anche Anna Maria Carloni, deputata Pd e moglie di Bassolino: “Più doloroso dell’addio al Pci. Valeria era un’amica, ma non è stata leale”.
Su Il Giornale: “Il Pd legalizza i brogli con un colpo di spugna. E sprofonda nel panico”, “Respinto il ricorso di Bassolino sul risultato delle primarie a Napoli. La fronda attacca i renziani. Bersani: il nostro popolo è disorientato”. Di Laura Cesaretti.
Sul Corriere il “retroscena” di Maria Teresa Meli: “Ora il premier vuole un documento per vincolare la minoranza interna” sul risultato delle primarie (“Non si può ogni volta rimettere in discussione il risultato delle primarie tentando di minarle alle fondamenta”, “Una certa sinistra dentro e fuori il Pd vuole giocare a farci male”, avrebbe detto).
Su La Repubblica: “Bassolino, ricorso bocciato. ‘Colpo di spugna del Pd’. Si rischia il bis della Liguria”, scrivono Dario Del Porto e Ottavio Lucarelli, in riferimento a quanto accadde con la candidatura di Luca Pastorino sostenuto da Cofferati, contro Raffaella Paita (che portò all’elezione di Giovanni Toti, Forza Italia, alla guida della Regione). A pagina 11 le interviste ad Antonio Bassolino (“Errori diabolici, si vuole perdere. Ne vedrete tante”) e alla vincitrice Valeria Valente (“Niente brogli né camorra, risultato regolare”).
Sulla stessa pagina: “E a Roma gonfiato il numero dei votanti: 3.700 in meno”.
Su Il Fatto, pagina 2: “Napoli, Bassolino non molla e pensa a candidarsi lo stesso”, “Respinto il ricorso. Per i garanti del Pd napoletano è arrivato troppo tardi. Lui si infuria: ‘Era già tutto deciso’. E resta in campo: ‘Vado avanti, me lo chiedono in molti”. Sulla stessa pagina un articolo di Tommaso Rodano torna sulle primari a Napoli di 5 anni fa, che furono vinte da Antonio Cozzolino contro Umberto Ranieri: “La rimozione”, “Per i renziani nel 2011 fu ‘uno scempio’, oggi invece i brogli sono ‘un’invenzione’”, “Orlando, Picierno e lo stesso premier erano indignati, ora fanno finta di nulla”.
Sulle primarie a Roma: “Ops, ci sono sparite le schede bianche”, “Roma, il comitato ammette: ‘Ci siamo sbagliati’. I veri voti sono 44 mila”.
E in basso: “Primarie marziane Marino-Fassina-(forse) Bray”, “Gazebo alternativi. Il sì dell’ex sindaco. L’ex ministro della Cultura, invece, scioglierà oggi la riserva” “Patto del salotto. All’incontro con l’ex sindaco c’era anche Fratoianni per il via libera dei vendoliani”, scrive Giampiero Calapà.
Su Milano, a pagina 4 de Il Fatto, sulla possibile candidatura di Gherardo Colombo: “Colombo: ancora 48 ore prima di candidarsi”, “La Balzani dice ‘no’ alla lista arancione pro-Sala. E ora l’ex pm ci pensa davvero”.
Dalla prima pagina del Corriere segnaliamo l’intervento di Sabino Cassese dal titolo “Paese reale e legale. I cittadini e il diritto di contare”. Ne citiamo solo alcuni passi: si sottolinea come il malessere, se non crisi della democrazia, “emerge in un momento nel quale, paradossalmente, l’offerta di istituzioni democratiche aumenta, gli stessi partiti si aprono, il ‘capitale sociale’ cresce. Basti pensare alla diffusione mondiale di organismi intermedi, tra Comune e Statol chiamati Regioni, territori, comunità, per dare un’altra voce ai cittadini”; “basti pensare alla introduzione di elezioni primarie, sull’esempio americano, per aumentare il tasso di democraticità dei partiti (che, da strumento della democrazia, divengono essi stessi obiettivi della democrazia”. Ma “accanto all’aumento di offerta di democrazia, all’apertura dei pariti e alla crescita sociale, si registra anche un aumento della domanda di democrazia. Dopo un ciclo secolare o semisecolare -a seconda degli Stati- di vita del suffragio universale, i cittadini si sentono padroni e questo fa emergere la debolezza originaria della democrazia moderna: essa è in realtà una oligarchia corretta da periodiche elezioni delle persone alle quali è affidato il potere (democrazia delegata o indiretta)”.

Centrodestra

Sul Corriere: “Berlusconi a Salvini: stai attento, sei mal consigliato”, “Bertolaso va avanti anche con una sua lista. Il leader leghista: se salta c’è Meloni”.
Su Il Sole 24 Ore: “Endorsement M5S, ira di Berlusconi su Salvini”, “Il Cavaliere irritato per l’ipotesi di sostegno della Lega ai candidati grillini al ballottaggio: ‘Domenica Bertolaso otterrà il gradimento dei cittadini’”, “Il leader del Carroccio: ‘Se ai gazebo della Capitale prevarrà il no, unica soluzione Meloni’. Per la Lega devono votare non meno di 15 mila romani”. Ne scrive Barbara Fiammeri.

Primarie Usa

Sul Corriere la corrispondenza di Giuseppe Sarcina da New York: “E il metalmeccanico bianco sceglie Sanders”, “Nelle primarie in Michigan, Stato delle industrie, il senatore soffia la vittoria alla favorita Hillary. Come Trump ha pescato nel bacino degli operai, grandi delusi. E li invita alla sua rivoluzione”. Scrive Sarcina che “Neanche Bernie Sanders, oltranzista anche nell’ottimismo, si aspettava di vincere in Michigan. Lo Stato della grande tradizione manifatturiera, delle ‘tute blu’, dei solidi sindacati metalmeccanici, della folta comunità afroamericana. Insomma un territorio a misura di Hillary Clinton, secondo le categorie geopolitiche più consolidate e, soprattutto, secondo i sondaggi della vigilia. Bernie avrebbe dovuto perdere con un distacco di 20 punti percentuali. E’ arrivato davanti a Hillary per un punto e mezzo: 49,82% contro 48,28%. Un’impresa”. Trump, in un resort esclusivo, ha arringato i fans in diretta tv “pavoneggiandosi con la sua ricchezza, fatta anche di bistecche, acqua minerale, riviste esposte su un banchetto. Bernie Sanders, più stropicciato del solito, davanti a un microfono senza pubblico, invita gli americani a unirsi ‘alla sua rivoluzione’. Sono già cinque milioni, con donazioni medie di otto dollari a testa. Tutti e due nel Michigan hanno pescato in un bacino che sembrava blindato. Tra cittadini bianchi, maschi adulti, lavoratori delle fabbriche o nell’indotto dell’industria meccanica. Sono gli arrabbiati, sono i grandi delusi. Stanno con Trump e si era capito: molti, si è scoperto l’altra notte, anche con Sanders”.
Su Il Sole 24 Ore: “Anche la ‘rust belt’ sceglie Trump”, “Il messaggio protezionista conquista gli Stati della vecchia industria colpita dalla crisi”, scrive Mario Platero. “Il Michigan, grande Stato della vecchia industria del Nord, patria dell’auto americana, ha scelto Bernie Sanders creando un precedente – scrive Platero- che preoccupa sia la campagna della Clinton che il partito. Il timore è che il Michigan sia un preambolo di quel che succederà la settimana prossima in Illinois, Ohio e Wisconsin. Anche loro sono Stati della ‘Rust Belt’, di quella ‘cintura arrugginita’ composta da Stati che hanno perso interi comparti nel settore manifatturiero, centinaia di migliaia di posti di lavoro e benessere a causa della concorrenza globale. Soprattutto quella cinese. In questi Stati sembra far più presa il messaggio gemello di Bernie Sanders e Donald Trump: via libera al protezionismo, un messaggio che supera il colore politico. Nel caso del partito democratico non c’è da stupirsi: la base e il sindacato sono da sempre contro il libero scambio”. Sul fronte repubblicano, le vittoria di Trump, ormai in 14 Stati, mostrano una “scolatura di fondo tra la base tradizionale e il partito su baluardi ideologici che fino a ieri sembravano incrollabili, come la resistenza all’assicurazione sanitaria o a certi diritti per le donne”.
Su La Repubblica la corrispondenza di Federico Rampini: “Sanders e Trump vincono contro la globalizzazione”, “Si sono aggiudicati il Michigan, Stato-simbolo dell’industria Usa, puntando il dito contro le multinazionali e il mercato libero”.

Il caso Regeni

Sul Corriere un articolo di Ilaria Sacchettoni: “Regeni e il dossier sui sindacati. La pista delle 10mila sterline”, “Il finanziamento da una fondazione. Mattarella vede i genitori: si faccia luce”. Si fa riferimento ad una possibile mail in cui si sarebbe trattato di un possibile finanziamento della “Antipode Foundation”, la cui mission è promuovere ricerche dall’interno, partecipate, dei movimenti di lotta e radicali nel mondo. Diecimila sterline che Regeni avrebbe promesso di condividere con alcuni dei sindacalisti non riconosciuti o perseguitati dal regime.
Su La Repubblica: “Mattarella ai genitori: ‘Faremo di tutto per la verità su Giulio’”, “Il presidente riceve la famiglia Regeni al Quirinale. Casini: il governo reagisca. Il Cairo ci prende in giro”.
Sulla stessa pagina un “colloquio” degli inviati al Cairo Carlo Bonini e Giuliano Foschini con Mohammed Lotfy, della Ong “Egyptiam commission for rights and freedom”, che sta aiutando i legali della famiglia Regeni nella ricerca della verità su quanto accaduto. Parla del “rapporto di sudditanza tra le procure e gli organi della polizia e della sicurezza nazionale”: “i pubblici ministeri in Egitto fanno lavoro di scrivania. Dipendono esclusivamente nella raccolta delle prove dagli organi di polizia e dagli apparati di sicurezza. Ora, poiché stiamo parlando di un caso in cui la polizia per cercare la verità dovrebbe indagare su se stessa, pensare che il pubblico ministero possa avere un ruolo decisivo, è utopia”.

Libia

Sul Corriere a pagina 3 il reportage di Lorenzo Cremonesi da Abu Grein (Libia centrale), “Sulla linea del fronte”: “Verso Sirte, regno dell’Isis in Libia. L’esodo, le esecuzioni e Roma nel mirino”. Cremonesi ha incontrato la “Brigata 166”, che è il fiore all’occhiello degli eredi della rivoluzione del 2011 tra le milizie di Misurata, che combatte l’Isis. Uno di loro, il 67enne Abdullah Mohammad, racconta: “Abu Grein è diventata la nostra prima linea, dopo che i volontari dell’Isis, in maggioranza tunisini (ma anche algerini, afghani e siriani), sono riusciti ad impadronirsi di Sirte con veloci raid dal deserto”. Un altro di loro racconta: “ci si sorveglia a distanza. Da giugno 2015 non abbiamo registrato vittime in questa zona. Ci limitiamo a controllare il territorio ed evitare che Isis utilizzi i civili per infiltrarsi fino a Misurata”. Nelle ultime settimane i 4000 miliziani di Isis sono a corto di carburante e cibo, “noi invece siamo a corto di munizioni per i kalashnikov. Vorremmo armi più leggere e ad alta precisione per i cecchini. Quelle dei jihadisti sono ottime. E loro dispongono di visori notturni migliori. Se voi italiani e la Nato ascoltaste le nostre richiste, la guerra sarebbe già vinta”. Scrive Cremonesi che i pochi civili che risiedono ancora a Sirte raccontano di “esecuzioni di piazza, punizioni esemplari, flagellazioni e soprattutto decapitazioni pubbliche”.

Islamisti e Jihad in Europa

Su Il Mattino, intervista di Nando Santonastaso a Gilles Kepel, che si dice convinto che i servizi segreti occidentali abbiano sottovalutato il pericolo dello jihadismo in Europa: “E’ dal 2005 che la strategia dei jihadisti è nota”; “la loro strategia, dalla nascita del Califfato all’attacco all’Europa nel nome del radicalismo islamico, è nota”; “le intelligence europee, a partire da quella del mio Paese, avevano lavorato sulla dimensione piramidale di Al Qaeda, organizzata dall’alto verso il basso”, “i jihadisti venuti dopo hanno modificato questa impostazione: dal basso verso l’alto, ovvero dalla mobilitazione della coscienze contro i cosiddetti ‘empi’”. Cosa è accaduto nel 2005? “Succede che Abu Mous’ab al-Souri, ritenuto l’ispiratore anche degli attentati di Parigi del novembre 2015, pubblica su Internet il libro ‘Appello alla resistenza islamica mondiale, nel quale di fatto annuncia quel che accadrà”. Indica un obiettivo diverso rispetto ai due jihad precedenti falliti, ovvero quello contro l’Armata rossa in Afghanistan e quello organizzato da Al Qaeda: lancia la resistenza islamica mondiale finalizzata all’Europa, non più l’America. Dove è avvenuto il reclutamento? “Nelle carceri, in primis. Gli arrestati per terrorismo hanno potuto socializzare con i tantissimi musulmani che erano già dietro le sbarre per altri reati”. Internet, il reclutamento in carcere, solo così sono nati i jihadisti di terza generazione? “No, c’è anche una terza componente: il fallimento della cosiddetta primavera araba. E’ stato possibile da allora per tantissimi giovani musulmani arrivare con soli 150 dollari in Siria, Yemen o Libia per fare indottrinamento, addestrarsi all’uso delle armi, pianificare e realizzare attentati”. “Io credo -spiega ancora Kepel- che il jihadismo di terza generazione è qualcosa di nuovo. Si alza sulla rottura culturale tra la visione salafita del mondo e i valori delle società europee come la democrazia, la laicità, la parità tra uomini e donne”. C’è un disegno “chiaro in tutto questo: promuovere l’implosione dell’Europa, la ribellione degli islamisti verso le organizzazioni statuali. Non credo che le stragi abbiano favorito questo progetto, anzi: lo dico con cautela, l’iperviolenza jihadista non ha pagato”.